Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23685 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9309-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che io rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.F.;

– intimato –

nonchè da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CIVITAVECCHIA 7, presso lo studio dell’avvocato PIERPAOLO BAGNASCO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE CIARAMELLA;

– controricorrente incidentale –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 51/2010 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 16/02/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 51/48/10, depositata il 16.02.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania;

ha riferito che all’esito di verifica fiscale, condotta da funzionari delle imposte, l’Agenzia delle Entrate notificava a C.F. l’avviso di accertamento n. ***** con il quale era contestato un maggior reddito ai fini Irpef, Irap ed Iva relativamente all’anno d’imposta 2003.

All’accertamento, eseguito ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, ed all’atto impositivo, seguiva il contenzioso promosso dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta, che con sentenza n. 578/14/2008 accoglieva il ricorso.

L’Agenzia impugnava la pronuncia dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con la sentenza ora censurata rigettava l’appello sull’assunto dell’illegittimo ricorso all’accertamento parziale disciplinato dall’art. 41 bis per carenza di presupposti.

L’Agenzia si duole della sentenza con tre motivi:

con il primo per la sua nullità, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver fondato la decisione sulla sola eccezione, sollevata dal contribuente, in ordine alla legittimità dell’accertamento ex art. 41 bis cit., rispetto alla quale vi era ormai un sopraggiunto difetto di interesse, essendo l’Amministrazione definitivamente decaduta, alla data della pronuncia, dal potere di integrare l’accertamento parziale;

con il secondo per violazione dell’art. 112 c.p.c. per extrapetizione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., e per omessa, insufficiente o illogica motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver mai contestato il contribuente dinanzi al giudice di primo grado la carenza del presupposto della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi;

con il terzo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per l’erronea interpretazione dei presupposti di attivazione dell’accertamento parziale ex art. 41 bis cit.;

chiedeva pertanto la cassazione della sentenza.

Si costituiva il contribuente, che nel controricorso eccepiva l’inammissibilità del ricorso principale per carenza dell’esposizione sommaria dei fatti, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3; nel merito contestava i motivi avversi, di cui chiedeva il rigetto; con ricorso incidentale infine censurava a sua volta la sentenza con due motivi:

con il primo per illogica motivazione della sentenza impugnata in ordine ad un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver rigettato l’eccezione di inammissibilità, pur tempestivamente sollevata dal contribuente in sede di appello con riguardo al mancato deposito dell’avviso di spedizione dell’atto di appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22 e 53, che il giudice regionale attestava presente agli atti mentre così non era;

con il secondo per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 22 e 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’errore processuale in cui era incorso il giudice d’appello nel rigettare la sollevata eccezione di inammissibilità per mancato deposito dell’avviso di spedizione dell’atto di appello.

Chiedeva pertanto, nell’ordine, la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale, in subordine il suo rigetto e l’accoglimento di quello incidentale.

Il contribuente depositava tempestivamente anche memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Considerato che:

Deve esaminarsi preliminarmente l’eccepita inammissibilità del ricorso principale per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3. Il controricorrente sostiene che il ricorso è carente nella sommaria esposizione dei fatti, lamentando che l’atto non sia idoneo a far comprendere, dalla sua sola lettura, la vicenda processuale. L’eccezione è infondata. Il ricorso, sinteticamente, illustra con sufficienza e chiarezza l’iter processuale, facendo riferimento chiaro e inequivocabile all’accertamento, alle imposte rettificate in aumento a seguito dell’accertamento, ai motivi di contestazione del C., alla decisione e alle ragioni della sentenza impugnata. E’ pertanto completo ai fini della sua regolarità processuale, soddisfacendo le prescrizioni richieste dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Per ordine logico deve esaminarsi il ricorso incidentale del contribuente, che, se fondato, definirebbe la controversia con declaratoria di inammissibilità dell’appello introdotto dalla Amministrazione. I due motivi, riguardando la medesima questione, possono essere trattati unitariamente.

Lamenta il contribuente che, a fronte della eccepita inammissibilità dell’appello, sollevata per mancato deposito della copia della ricevuta di spedizione dell’atto d’impugnazione notificato, il giudice regionale ha affermato che essa risultava prodotta e depositata in giudizio. Al contrario invece di essa non vi sarebbe traccia, come attestato dalla segreteria della Commissione Tributaria Provinciale di Caserta. Da ciò il contribuente desume un vizio motivazionale della sentenza, per la sua illogicità, nonchè un errore processuale per non aver dichiarato l’inammissibilità dell’appello.

I due motivi sono inammissibili. A parte l’irrilevanza della attestazione di segreteria sulla quale il contribuente fonda le sue censure, intervenuta il 18 aprile 2011 e dunque dopo oltre quattordici mesi dal deposito della sentenza del giudice d’appello -intervallo temporale durante il quale il documento, prima depositato, può essere stato smarrito-, vi è che se anche astrattamente si considerasse il fatto, ossia una pronuncia della Commissione che afferma l’esistenza della copia della ricevuta di spedizione dell’atto di appello, pur in mancanza della stessa, ci si troverebbe di fronte ad un errore percettivo, il cui rimedio giurisdizionale è costituito dall’azione di revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e non dal ricorso per cassazione.

Esaminando ora i motivi del ricorso principale, anche essi possono essere trattati unitariamente, criticando sotto i profili del vizio motivazionale e della violazione di legge, sostanziale e processuale, l’unica questione e l’unico argomento sul quale la sentenza impugnata ha fondato la decisione, ossia l’inappropriato ed illegittimo ricorso all’accertamento parziale disciplinato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, per carenza dei presupposti. La sentenza in particolare ha affermato che “…l’utilizzo dell’accertamento parziale, il cui obiettivo è quello di agevolare il recupero dei tributi, consentendo all’Ufficio anche di reiterare la pretesa fiscale, nella fattispecie, invece, viene precluso dall’assoluta carenza del necessario presupposto costituito dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, atti o fatti che, come detta il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, debbono essere specificatamente indicati nell’avviso, a pena di nullità. L’organo accertatore, per giunta, incurante della necessità di acquisire segnalazioni dal Centro Informativo delle II.DD., dalla Guardia di Finanza, oppure dai dati in possesso dell’Anagrafe Tributaria, la cui sopravvenuta conoscenza o conoscibilità realizzerebbe le condizioni preliminari indicate dal combinato disposto dell’art. 41-bis e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, ai fini della legittimità dell’accertamento parziale, deduce che la pretesa è infondata ed è “superata pacificamente dal fatto che, trattandosi di un avviso di accertamento redatto all’inizio dell’anno e relativo ad un’annualità d’imposta in scadenza, ha regolarmente redatto l’atto anche e non solo sulla scorta del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis…” Ovvero, la sopravvenuta urgenza di notifica supera “pacificamente” la sopravvenienza di conoscenza di nuovi elementi di cui al 41-bis, con buona pace della legittimità dell’accertamento impugnato. La nullità dell’atto è assorbente di tutte le altre questioni eccepite dall’Ufficio.”.

Per quanto comprensibile, la motivazione della sentenza sostiene che l’accertamento difettava dei presupposti della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, atto o fatti, da indicare specificamente nell’avviso d’accertamento a pena di nullità. Inoltre censura l’atto impositivo perchè l’Amministrazione avrebbe ignorato la necessità di acquisire segnalazioni dagli organismi elencati nell’art. 41 bis cit. Su tali assunti conclude per l’illegittimità dell’accertamento eseguito ai sensi della predetta norma.

Il ricorso all’accertamento parziale previsto dall’art. 41 bis rappresenta uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza di attendibili posizioni debitorie. Esso non preclude una integrazione dell’accertamento medesimo, anzi a tal fine, a differenza di quello generale previsto dall’art. 43 del medesimo D.P.R., non richiede la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte della Amministrazione, da indicare in modo specifico a pena di nullità del nuovo accertamento (non di quello già espletato). Quanto al presupposto della segnalazione proveniente dalla GdF o dagli altri organi indicati nell’art. 41 bis, oppure dall’Anagrafe Tributaria, questa Corte ha chiarito innanzitutto che la segnalazione pervenuta non deve essere necessariamente di particolare semplicità, requisito che non emerge dal contesto normativo, potendo invece basarsi su una verifica generale (cfr. Cass., sent. 11057/2006; 2833/2008; 2761/2009). Ha inoltre chiarito che può essere legittimamente adottato anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento generale, essendo irrilevante che la segnalazione provenga da un soggetto estraneo all’amministrazione o da fonti ad essa interne (cfr. Cass., sent. 27323/2014).

Può allora affermarsi che l’accertamento parziale, fondato su segnalazioni per le quali è irrilevante che siano semplici o complesse, e la cui finalità è quella di perseguire la sollecita emersione di materia imponibile, può essere integrato da un successivo accertamento, senza che si renda necessario specificarne gli elementi sopraggiunti, come invece prescritto nella ipotesi di integrazione dell’accertamento (generale) previsto dall’art. 43 cit. Coerenza tuttavia vuole che l’accertamento non sia a singhiozzo, e cioè che, dopo un primo accertamento parziale, ne segua un altro basato su altri elementi acquisiti sin dall’origine ma non contestati, perchè ciò pregiudica una linea difensiva unitaria e complessiva da parte del contribuente.

Tendenzialmente infatti l’accertamento deve essere unico nei confronti del contribuente, trovando tale principio deroga o nella ipotesi che la sollecita emersione di materia imponibile giustifica un accertamento parziale che può essere poi integrato (41 bis), oppure, qualora l’accertamento sia stato generale, nella identificazione di nuovi elementi entro i termini di scadenza dei poteri accertativi della Amministrazione (art. 43). Ad un tempo, ed in ogni caso, qualora l’accertamento sia esplicato al di fuori delle ipotesi consentite, l’eccezione di illegittimità può riguardare l’eventuale successivo esercizio dell’attività accertatrice, non quello già eseguito, perchè è con il secondo che si incide sulle garanzie difensive del contribuente.

Perimetrata l’area applicativa dell’accertamento parziale, per quello che qui interessa, è del tutto erroneo affermare, come ha fatto il giudice regionale, che l’accertamento eseguito ai sensi dell’art. 41 bis nei confronti del C. imponeva la specifica indicazione, a pena di nullità, dei nuovi elementi, atti o fatti, la cui conoscenza era sopravvenuta. Con tale affermazione infatti la sentenza impugnata ha erroneamente sovrapposto la disciplina prevista dall’art. 43 a quella di cui all’art. 41 bis. Quell’obbligo sanzionato con la nullità dell’accertamento trova ragione nella ipotesi di un accertamento generale, non invece in quello parziale, nel quale anzi proprio la sollecita emersione di materia imponibile consente una rideterminazione dell’imponibile, e della relativa imposta, che non pregiudica la sua possibile e futura integrazione (anche in questo caso nei limiti ovviamente della decorrenza dei termini di esplicazione dei poteri accertativi). La sentenza erra anche nell’affermare la necessità che la segnalazione dovesse essere acquisita da uno degli organi indicati nell’art. 41 bis, poichè, come da tempo la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, essa può trovare fonte nello stesso ufficio titolare del potere di accertamento (27323/2014 cit.). Ma soprattutto erra nell’aver ritenuto nullo l’accertamento perchè illegittimo, non avendo considerato che esso, anche qualora eseguito al di fuori delle prescrizioni previste dall’art. 41 bis – o dall’art. 43 – avrebbe potuto determinare l’illegittimità del successivo accertamento, non già di quello già esplicato. Nel caso di specie era pacifico ed incontestato che a quell’accertamento parziale non era seguita alcuna integrazione, sicchè restava l’unico atto di controllo della materia imponibile, senza che il contribuente potesse in alcun modo lamentare lesioni al suo diritto di difesa unitaria e complessiva.

In conclusione va affermato il principio secondo cui “in materia di accertamento, il mancato rispetto delle prescrizioni previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, comma 1, e dall’art. 43, comma 3 del medesimo decreto, può determinare l’illegittimità dell’accertamento successivo e non di quello già esplicato”.

Ritenuto che:

La sentenza del giudice regionale non si è attenuta al suddetto principio di diritto, e pertanto il ricorso della Agenzia va accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che in diversa composizione dovrà decidere sulle contestazioni di merito sollevate dal contribuente avverso l’accertamento impugnato, non esaminate nella sentenza cassata per assorbimento, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale; accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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