Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23688 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4339-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CENTRO SERVIZI ANZIANI DI *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 120/2010 della COMM.TRIB.REG. di VENEZIA, depositata il 21/12/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

RILEVATO

che:

l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 120/2010, depositata il 21.12.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto;

ha riferito che il contenzioso trovava origine nel silenzio rifiuto della Amministrazione alla istanza di rimborso Irap, relativa agli anni 1998-2001, richiesto dall’Istituto per Anziani di *****, che fondava la pretesa sul presunto diritto di dedurre dalla base imponibile Irap i contributi versati per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.

Al silenzio della Amministrazione era seguito il contenzioso. La Commissione Tributaria Provinciale di Venezia con la sentenza n. 77/05/2008 accoglieva il ricorso della contribuente. Il giudice di primo grado riteneva infondata l’eccezione di decadenza dal diritto al rimborso per l’anno 1998 per decorrenza dei termini prescritti dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38; riteneva fondate in diritto le istanze di rimborso e assolto dal contribuente l’onere probatorio in ordine alla sussistenza del suddetto diritto. La decisione era appellata dalla Agenzia dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, che con la pronuncia ora impugnata rigettava l’appello.

L’Agenzia censura con tre motivi la sentenza:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver erroneamente considerato tempestiva l’istanza di rimborso Irap per l’annualità 1998;

con il secondo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le erronee argomentazioni con cui avrebbe ritenuto escluso che le retribuzioni corrisposte al personale dipendente fossero considerate già al netto dei premi Inail versati;

con il terzo per violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per aver erroneamente invertito l’onere della prova in ordine alla esclusione dei premi Inail dalle retribuzioni.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.

La contribuente, nonostante la rituale notifica del ricorso, non ha inteso costituirsi.

CONSIDERATO

che:

La controversia si colloca nell’alveo dei criteri di determinazione della base imponibile Irap, che per le aziende equiparate alle Amministrazioni pubbliche è calcolata, ex art. 10 bis, comma 1, sulla base imponibile determinata in un importo pari all’ammontare delle retribuzioni erogate al personale dipendente. L’art. 11 disciplina le deduzioni e tra esse, ex lett. a) della norma, quelle relative ai contributi per le assicurazioni obbligatorie contro gli infortuni sul lavoro.

Nel caso di specie, e diversamente da altri contenziosi insorti in questa materia, l’Agenzia non contesta astrattamente la deducibilità dei suddetti contributi, ma eccepisce la tardività della istanza di rimborso per una annualità dell’imposta, e solleva questione di prova (e di onere della stessa), sulla concreta deducibilità pretesa dall’ente, assumendo che il calcolo della base imponibile riguardava retribuzioni già al netto dei contributi, il cui rimborso pertanto non poteva spettare.

Ciò chiarito, con il primo motivo l’Amministrazione si duole della decisione del giudice d’appello che, a fronte della incontestata data in cui era stata avanzata l’istanza di rimborso per l’anno 1998 (31.10.2003), ha affermato che il termine di 48 mesi per la presentazione dell’istanza ex art. 38 cit. decorreva dal pagamento a saldo, sostenendo poi che tale pagamento “per espressa previsione normativa deve essere effettuato entro il termine di presentazione della dichiarazione IRAP che per l’anno 1998, dal D.P.R. n. 322, art. 2 era stato fissato al 31/10/1999". In base a questa ricostruzione della disciplina la sentenza ha ritenuto tempestivo, perchè nei 48 mesi, la formulazione della istanza di rimborso. L’Amministrazione sostiene invece che tale assunto sia contrario al testo normativo ed alla interpretazione di esso resa dalla Corte di Legittimità.

Il motivo è fondato. Questa Corte ha infatti affermato, con orientamento ormai consolidato, che il termine di decadenza per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte sui redditi in caso di versamenti diretti, previsto dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un’eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all’ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell'”an” e del “quantum” dell’obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all’atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poichè in questa ipotesi l’interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento (Cass., ord. n. 14868/2016; sent. 5653/2014).

Peraltro si è anche chiarito che nell’ipotesi in cui l’importo del quale si chiede la restituzione fosse da considerarsi dovuto nel momento in cui è stato corrisposto, ancorchè in base ad un titolo precario e provvisorio da verificare integralmente all’atto della concretizzazione nella sua effettiva misura, il termine di decadenza previsto dall’art. 38 cit. per la proposizione della relativa istanza decorre dalla data di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, poichè solo con il CUD il contribuente viene a conoscenza dell’importo di queste ultime e solo con la dichiarazione, nella quale vengono trasfusi i dati del CUD, è in grado di verificare se vi sono somme per le quali ha diritto al rimborso (ord. n. 2726/2016; 5653/2014 cit.). Il principio di diritto enucleabile dall’illustrato orientamento, cui questo collegio intende dare continuità, è che la decorrenza del termine deve coincidere con la consapevolezza di un versamento non dovuto, il che può verificarsi al momento del pagamento di un acconto, oppure del saldo, e comunque al momento della presentazione della dichiarazione fiscale, momento ultimo dal quale risulta chiaro al contribuente se i versamenti effettuati siano stati maggiori di quanto dovuto. Non ha alcun rilievo dunque il termine ultimo di presentazione della dichiarazione, quando a ciò si sia già anteriormente provveduto. Nel caso di specie la sentenza impugnata non si è attenuta a questo principio, poichè ha ritenuto di far decorrere il termine dal 31.10.1999, mentre la presentazione della dichiarazione per via telematica risaliva già al 25 settembre 1999 (è la sentenza d’appello a riportare questa data), momento dal quale decorrevano i 48 mesi, ampiamente maturati dunque il 31 ottobre 2003, giorno di inoltro della istanza di rimborso.

La sentenza va pertanto cassata nella parte in cui ha accolto le ragioni di rimborso della contribuente con riguardo all’anno d’imposta 1998.

Con il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati unitariamente perchè riguardanti la medesima questione, ossia l’inesistenza del diritto al rimborso dei contributi Inail, sia sul piano probatorio, sia in ordine alla generale considerazione che tali costi risultavano comunque già esclusi dall’ammontare delle retribuzioni dei dipendenti, l’Amministrazione lamenta sia un vizio motivazionale della sentenza d’appello, per aver omesso di indicare gli elementi da cui avrebbe tratto il proprio convincimento sulla inclusione dei contributi Inail nell’ammontare retributivo – da ciò derivandone il diritto alla deduzione -, sia il vizio di legge per l’inversione dell’onere della prova sui fatti che dimostrino l’inesistenza dell’obbligo di versamento, in tutto o in parte, di un’imposta ai fini dell’istanza di rimborso proposta dal contribuente.

La ricorrente sostiene che la motivazione con la quale il giudice regionale ha respinto l’appello dell’ufficio sia insufficiente o contraddittoria laddove ha escluso che gli importi dichiarati quali retribuzioni corrisposte ai dipendenti fossero già al netto dei premi Inail. La sentenza sul punto afferma che “…il Collegio osserva che i giudici di primo grado hanno rilevato – ed è in tutta evidenza che ciò hanno fatto sulla base degli atti in loro possesso – che l’Istituto non ha mai detratto i premi INAIL dalla base imponibile in quanto ha indicato nella dichiarazione le retribuzioni al lordo di tali contributi. Verificati gli atti e la documentazione prodotta dalla parte anche in sede contenziosa anche questo Collegio non può che confermare quanto i primi giudici ebbero correttamente a rilevare nella motivazione della sentenza appellata” (terz’ultimo e penultimo capoverso di pag. 3). E ancora, nel secondo capoverso di pag. 4, nella pronuncia si afferma conclusivamente che “l’istituto ad avviso del Collegio ha fornito tutti gli elementi utili ad escludere che gli importi dichiarati quali retribuzioni corrisposte al personale dipendente fossero già al netto dei contributi INAIL versati nel corso degli anni. Il motivo di gravame va disatteso la sentenza appellata confermata sul punto”.

Ebbene, in materia di vizio di motivazione la Corte ha affermato che la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cfr. Cass., Sez 5, ord. n. 19547/2017; sent. n. 17477/2007). Nel caso di specie il giudice, senza illogicità o incongruenze o errori materiali, ha ritenuto che dal vaglio degli atti e della documentazione prodotta dalla parte si pervenga ad un giudizio favorevole alla contribuente, ossia che l’Istituto non ha mai detratto i premi Inail dalla base imponibile, e ciò è quello che sostiene avrebbe fatto anche il giudice di primo grado. E, ancora, insiste nell’affermare che l’istituto ha fornito tutti gli elementi utili a dirimere nel senso per lui favorevole la controversia. A fronte di queste argomentazioni, nelle quali è vero che non ci sono riferimenti a specifici documenti, ma a questi si fa ripetutamente riferimento a conforto del giudizio, l’Amministrazione nega che vi fosse documentazione idonea a raggiungere quelle conclusioni. In tal modo però sostiene l’erroneità delle valutazioni del giudice regionale – peraltro senza neppure individuare quali determinanti e diversi documenti proverebbero il contrario – che si traduce nel tentativo di una rivalutazione nel merito della vicenda, inibita in sede di legittimità.

Quanto alla censura con cui l’Amministrazione si duole della violazione dell’art. 2697 c.c. per l’erronea inversione dell’onere della prova, la ricorrente non coglie nel segno. La sentenza, affermando che la documentazione era in ogni caso già nella disponibilità dell’Agenzia, che poteva per suo conto eseguire le verifiche sul rigo IQ1 della dichiarazione fiscale al fine di accertare l’inserimento dell’imponibile lordo corrisposto ai dipendenti, fa un’affermazione rafforzativa rispetto alle verifiche documentali già eseguite e su cui ha principalmente fondato la decisione. Il passaggio motivazionale non risulta dunque decisivo per la decisione assunta, sicchè nell’economia della motivazione resta del tutto marginale, senza che possa ritenersi che per esso la sentenza sia affetta da vizio di legge.

In conclusione il secondo e il terzo motivo sono infondati.

Considerato che:

All’accoglimento del primo motivo e al rigetto del secondo e terzo segue la cassazione della sentenza limitatamente al primo motivo. Poichè peraltro non vi è necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, dando atto, come già riconosciuto dalla Commissione regionale, che alla contribuente spettava il rimborso d’imposta richiesto ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38 avverso il quale si è formato il silenzio rifiuto della Agenzia, relativamente agli anni 1999, 2000 e 2001, mentre, relativamente all’anno d’imposta 1998 nulla spettava per intervenuta decadenza dei termini per proporre l’istanza di rimborso.

Le spese processuali dei gradi di merito e del presente giudizio di legittimità vanno compensate in ragione della reciproca soccombenza.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo, rigetta il secondo ed il terzo. Cassa la sentenza impugnata in riferimento al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente limitatamente all’anno d’imposta 1998, per intervenuta decadenza dalla proposizione dell’istanza di rimborso; compensa le spese processuali dei gradi di merito e del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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