LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –
Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21807/11 R.G. proposto da:
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro-tempore, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
– ricorrenti –
contro
ISOTTA FRASCHINI MOTORI S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Francesco Romanello Pomes, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Riccardo Lombardi, in Roma, Corso Italia, n. 106;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Puglia n. 45/11/11 depositata in data 26 aprile 2011 Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11.7.2018 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.
RITENUTO IN FATTO
A seguito di verifica conclusasi con la notifica di p.v.c., con il quale erano stati contestati rilievi concernenti sopravvenienze passive e rimanenze di magazzino, l’Agenzia delle Entrate rettificava, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) il reddito d’impresa della società Isotta Fraschini Motori s.p.a. ai fini Irap e Irpeg in relazione all’anno d’imposta 2004.
La società contribuente proponeva ricorso chiedendo l’annullamento dell’avviso di accertamento in quanto carente di motivazione e contestando la fondatezza dei recuperi a tassazione.
La Commissione tributaria provinciale, rigettando la eccezione di nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione e ritenendo valide le prove documentali prodotte dalla società, accoglieva parzialmente il ricorso.
In esito all’appello proposto dall’Ufficio ed all’appello incidentale proposto dalla contribuente, che reiterava l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione, la Commissione tributaria regionale, dopo avere affermato la legittimità dell’atto impositivo in quanto contenente tutti gli elementi che avevano generato i rilievi richiamati nel processo verbale di constatazione, accoglieva in parte l’appello dell’Agenzia delle Entrate, confermando i rilievi indicati ai punti 1.1., 1.2., 1.3., 2.1. e 2.3. ed annullando i rilievi indicati ai punti 3.a. parzialmente e 3.b.
In particolare, i giudici di appello, con riguardo alla valutazione delle giacenze relative alle commesse di durata inferiore ai 12 mesi, rilevavano che esse dovevano essere quantificate in base alle spese sostenute nell’esercizio, tenendo conto sia dei costi diretti che di quelli indiretti di fabbricazione, mentre, con riferimento alla valutazione relativa alle commesse ultrannuali, ritenevano non corretto il metodo di valutazione adottato dall’Ufficio.
Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate con tre motivi e la Isotta Fraschini Motori s.p.a. resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 evidenziando che la motivazione della sentenza impugnata è molto sintetica ed enuncia in modo sommario le ragioni del convincimento del giudice, non consentendo di ricostruire l’iter logico giuridico adottato per pervenire alla decisione.
1.1. La censura è infondata.
1.2. La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. n. 22232 del 03/11/2016).
1.3. La C.T.R. ha analizzato ogni singolo rilievo contenuto nell’atto di accertamento ed ha esaminato i motivi di gravame formulati dall’Ufficio, esplicitando le ragioni che l’hanno condotta ad annullare solo due dei recuperi a tassazione, sicchè non è ravvisabile deficienza di giudizio nel ragionamento logico seguito dai giudici d’appello che hanno riformato la sentenza di primo grado, rispondendo a tutte le contestazioni sollevate dall’Agenzia delle Entrate.
2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 92 e 93 nella parte in cui sono stati annullati i rilievi che attengono a “rettifiche rimanenze iniziali infrannuali” ed a “rettifiche rimanenze iniziali ultrannuali”.
Con riguardo al primo rilievo, premettendo che l’art. 92 del t.u.i.r. prevede distinti metodi di valutazione a seconda del tipo di rimanenza, evidenzia che la norma stabilisce che per la valutazione delle commesse di durata infrannuale il metodo da adottare non può che essere quello dei costi specifici e che per la individuazione dei costi si deve fare riferimento all’art. 110 t.u.i.r., il cui comma 1, lett. b) comprende nel costo gli oneri di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali.
Sottolineando che dall’analisi delle commesse della contribuente è emerso che sette di queste prevedevano una durata inferiore a 12 mesi, evidenzia che esse dovevano essere valutate a costi specifici.
Relativamente al secondo rilievo annullato dalla C.T.R., nell’evidenziare che l’art. 93 t.u.i.r. stabilisce che le commesse di durata ultrannuale vanno valutate a fine esercizio in base alla frazione del corrispettivo pattuito, sostiene che la contribuente, a fronte delle anomalie riscontrate dai verificatori nella valutazione al 31/12/2003 di sei commesse di durata ultrannuale, non ha fornito giustificazioni circa l’abbattimento del numero di ore di manodopera indicato a fine 2003 rispetto a quelle indicate nel preventivo.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La Commissione regionale, con riguardo al rilievo n. 3.a (3.1 p.v.c.), ha affermato che nella valutazione delle giacenze relative alle commesse aventi durata inferiore ai dodici mesi i verificatori non hanno tenuto conto di tutte le spese sostenute nell’esercizio, dovendo essere ricompreso in tali spese il costo complessivo di fabbricazione, ovvero non solo i costi diretti ma anche quelli indiretti, secondo quanto previsto dal principio contabile O.I.C. n. 13, ed ha quindi parzialmente annullato il recupero a tassazione ai fini Ires e Irap, quantificandolo in Euro 180.888,00 invece che in Euro 244.200,00.
I giudici di appello, così motivando, non sono incorsi nella violazione di legge denunciata, in quanto hanno correttamente ritenuto, conformemente a quanto previsto dall’art. 92 t.u.i.r., che alla valutazione di dette giacenze devono concorrere i costi di fabbricazione del bene, trattandosi, nel caso di specie, di beni infungibili, aventi specifiche caratteristiche, ai quali è applicabile il criterio di valutazione a costi specifici, ossia rapportato al costo di produzione sostenuto nel periodo d’imposta, ed hanno affermato che i costi sostenuti da considerare, ai sensi dell’art. 110 t.u.i.r., comprendono sia gli oneri diretti di produzione sia gli oneri indiretti, comunque inerenti alla lavorazione, con esclusione degli oneri riconducibili nell’ambito delle spese generali e degli interessi passivi.
La decisione non si pone dunque in contrasto con la disposizione di cui all’art. 92 t.u.i.r., in quanto ai beni e servizi di durata non superiore ai 12 mesi non sono estensibili i criteri dettati per gli altri beni in rimanenza, ma sono applicabili i criteri previsti per i prodotti in corso di lavorazione.
2.3. La sentenza impugnata neppure viola la disposizione di cui all’art. 93 t.u.i.r., che si riferisce alle prestazioni relative a commesse che hanno una durata di esecuzione superiore ai dodici mesi.
A norma dell’art. 93 t.u.i.r., la valutazione delle rimanenze finali delle opere pluriennali deve essere effettuata con il criterio della percentuale di completamento che determina la suddivisione dell’utile totale che scaturisce dall’operazione nei vari esercizi di svolgimento della stessa e proporzionalmente ai lavori eseguiti per ciascun periodo, evitando in tal modo la concentrazione dell’imponibile definitivo nell’ultimo esercizio; tale metodo di valutazione costituisce, quindi, una deroga al principio generale contenuto nell’art. 109 del t.u.i.r., in base al quale i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti alla data in cui le prestazioni sono ultimate.
In sostanza, alla fine dell’esercizio, va stabilita la percentuale del lavoro già effettuato rispetto al totale dell’opera da eseguire, questa percentuale deve essere moltiplicata per il ricavo pattuito e va attribuito il valore ottenuto al lavoro in corso di esecuzione; detto metodo presuppone, quindi, che l’impresa sia in grado di effettuare previsioni attendibili del ricavo totale ed una attendibile stima del costo totale, nonchè una adeguata rilevazione dei cosi sostenuti per la produzione.
2.4. La C.T.R., nel sottolineare che l’Ufficio ha ricalcolato il valore delle giacenze relative alle commesse ultrannuali basandosi sulla variazione del numero di ore di manodopera utilizzato rispetto a quello indicato nei preventivi forniti al cliente, ha ritenuto non adeguato il metodo di valutazione adottato, in quanto, trattandosi nel caso in esame di motori che vengono realizzati sulla base di ordinativi non seriali e che sono progettati con lavorazioni che richiedono l’utilizzo di tecnologie sempre diverse e l’apporto di modifiche, effettuate su richiesta del cliente, anche in corso di lavorazione, non è possibile effettuare previsioni attendibili del lavoro da effettuare e del costo totale da sostenere, che può variare in relazione agli eventuali imprevisti della lavorazione.
Così motivando, i giudici di appello hanno svolto un accertamento in fatto, che non è sindacabile in sede di legittimità, sicchè la censura svolta dalla ricorrente appare diretta ad una nuova valutazione e rideterminazione del calcolo delle rimanenze iniziali che hanno già formato oggetto di esame da parte del giudice di merito.
3. Con il terzo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e lamenta che, poichè oggetto del giudizio non era il recupero di maggiori ricavi, bensì la corretta deduzione di oneri negativi del reddito, spettava al contribuente fornire prova diretta dell’inerenza, certezza e competenza dei costi e dei componenti negativi del reddito.
3.1. La censura è inammissibile, considerato che i giudici di appello con la sentenza impugnata non hanno fatto riferimento alla inerenza dei costi, nè tanto meno ai criteri di ripartizione dell’onere di prova operanti in materia di esistenza, certezza ed inerenza dei costi, ma hanno piuttosto preso in esame il metodo di valutazione delle rimanenze di magazzino al fine di verificare se i recuperi a tassazione operati dall’Amministrazione finanziaria rispondessero ai criteri dettati dagli artt. 92 e 93 t.u.i.r. e, pertanto, il motivo di ricorso, non contenendo specifiche contestazioni alla motivazione posta a base della decisione, non coglie la ratio decidendi della sentenza.
4. In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 4.500,00 per compensi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018