LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
Dott. MIGLIO Francesca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15671/2011 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
– ricorrente –
contro
S.S.;
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale delle Marche, sezione n. 1, n. 334/01/10, pronunciata il 15/04/2010, depositata il 22/04/2010.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 luglio 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle entrate ricorre, con cinque motivi (che, salvo il quarto motivo che ne è privo, si concludono con la formulazione di altrettanti quesiti di diritto), nei confronti di S.S., rimasta intimata, avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale delle Marche (hinc: CTC) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento (che annullava e sostituiva il precedente) che recuperava a tassazione, ai fini IRPEF, per l’anno d’imposta 1987, redditi di partecipazione a due società di capitali, nei confronti delle quali erano stati accertati ricavi non contabilizzati e costi fittizi – ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza impugnata, favorevole alla contribuente.
La CTC ha fondato la decisione su questa asserzione: “L’Ufficio infatti non ha fornito elementi per determinare se ed in che misura i maggiori ricavi e la simulazione dei costi imputate alla società abbiano determinato maggiori utili. Mancando la prova certa di tale presupposto, viene meno anche la presunzione che i maggiori utili siano stati divisi tra i soci e quindi siano stati percepiti dalla contribuente.” (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).
Il Procuratore generale Luigi Cuomo ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Primo motivo di ricorso: “Violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 37, comma 1, n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
L’Ufficio lamenta che la sentenza della CTC sia lacunosa e priva degli elementi essenziali, quali: il contenuto e la motivazione dell’atto impositivo; le difese delle parti dinanzi al giudice di primo grado; la motivazione della sentenza di primo grado; il contenuto del ricorso in appello dell’Amministrazione finanziaria e le controdeduzioni della contribuente; la motivazione della sentenza d’appello; il contenuto del ricorso dell’Ufficio dinanzi alla CTC e le difese di controparte; per tale ragione, secondo la difesa erariale, non sarebbe possibile individuare il thema decidendum.
1.1. Il motivo è infondato.
La sentenza della CTC, seppure assai sintetica, appare sufficientemente chiara e dà conto, tutto sommato, della propria ratio decidendi, riconducibile al difetto di motivazione dell’atto impositivo.
Essa conferma la decisione di secondo grado che, a sua volta, avallava quella di primo grado, di accoglimento del ricorso della contribuente, perchè, testualmente: “l’avviso di accertamento è privo di una chiara esposizione degli elementi costitutivi l’obbligazione tributaria” (cfr. pag. 4 del ricorso per cassazione che riproduce il testo della sentenza della Commissione tributaria di primo grado).
2. Secondo motivo: “Violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
L’Ufficio si duole dell’assenza della necessaria correlazione tra la domanda e la pronuncia della CTC, posto che l’impugnazione della sentenza d’appello era imperniata sulla legittimità degli atti impositivi emessi nel rispetto delle prescrizioni del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 43.
2.1. Il motivo è infondato.
La CTC, nel ravvisare il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento impugnato, ne riconosce, implicitamente, la legittimità formale che l’Amministrazione finanziaria allegava come ragione di gravame della sentenza di secondo grado che, invece, l’aveva negata.
3. Terzo motivo: “Violazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 37, comma 1, n. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.
Un’altra censura attiene all’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata – se la si debba interpretare nel senso che essa riconosce la legittimità formale degli atti impositivi, ma, al contempo, ne afferma l’illegittimità sostanziale – a causa del suo contenuto puramente assertivo.
4. Quarto motivo: “Omessa motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
In subordine, rispetto al terzo motivo, si fa valere la carenza dell’apparato motivazionale della sentenza della CTC, in virtù: a) del consolidato orientamento della Corte secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle società di capitali a ristretta base sociale, è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili; b) della pacifica circostanza che la contribuente era titolare del 50% del capitale sociale della Manifattura Adriatica Srl e del 98% del capitale sociale della Dia Srl; c) dell’accertamento, da parte della CTC, dell’esistenza di maggiori ricavi non dichiarati in capo alle due società e, dunque, dei presupposti legittimanti la verifica, nei confronti dei soci, della percezione di maggiori dividendi.
5. Quinto motivo: “Violazione dell’art. 2697 c.c., del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 41, comma 1, lett. C e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.
L’ultimo rilievo critico concerne l’error in iudicando della sentenza della CTC che ha affermato che sarebbe stato onere dell’Ufficio dimostrare che i maggiori ricavi non dichiarati delle due società, a ristretta base sociale, si fossero tradotti (come del resto i minori costi effettivamente sostenuti), in maggiori utili percepiti dai soci come dividendi, senza considerare che, per consolidata giurisprudenza, in tale ipotesi (società a ristretta base sociale), è legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili.
6. Questi tre motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati.
E’ il caso di richiamare il consolidato orientamento della Corte, al quale il Collegio intende aderire, secondo cui: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base partecipativa, è legittima la presunzione di attribuzione, ai soci, degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, per essere stati, invece, accantonati dalla società ovvero da essa reinvestiti, non risultando tuttavia a tal fine sufficiente nè la mera deduzione che l’esercizio sociale ufficiale si sia concluso con perdite contabili nè il definitivo accertamento di una perdita contabile, circostanza che non esclude che i ricavi non contabilizzati, non risultando nè accantonati nè investiti, siano stati distribuiti ai soci” (Cass. 8/07/2008, n. 18640; in senso conforme, ex multis: Cass. 18/10/2012, n. 17928; 26/11/2014, n. 25108; 14/12/2016, n. 25808; 16/05/2018, n. 12025).
Nella specie, la CTC non ha fatto corretta applicazione di questi principi di diritto, laddove essa ha reputato contra legem, con affermazione anapodittica, che sarebbe stato onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare che i maggiori ricavi e i minori costi (“la simulazione dei costi” come si legge in sentenza), avessero determinato maggiori utili, con il conseguente venire meno della presunzione di distribuzione dei ricavi extracontabili ai soci dell’ente commerciale a stretta base partecipativa.
Al contrario, osserva la Corte che, ricorrendo una simile evenienza, è onere del socio dimostrare che i maggiori ricavi non dichiarati non sono stati distribuiti agli aderenti alla compagine sociale, perchè accantonati o reinvestiti.
7. L’accoglimento del terzo, quarto e quinto motivo comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per il nuovo esame della vicenda, nel rispetto del principio di diritto sopra ricordato, e anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il terzo, il quarto e il quinto motivo di ricorso;
rigetta il primo e il secondo motivo;
cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti;
rinvia alla Commissione tributaria regionale delle Marche, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018