LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12000-2015 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
SATA SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE 21, presso lo studio dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dall’avvocato RUGGERO MOLLO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 72/2014 della COMM.TRIB.REG. di CAMPOBASSO, depositata il 25/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI.
FATTI DI CAUSA
L’Agenzia delle Entrate notificava a Sata Sud spa due avvisi di accertamento, relativi agli anni di imposta 2003 e 2004, con i quali recuperava a tassazione l’indebita deduzione di costi per “consulenze Capogruppo”, sostenuti dalla società controllante totalitaria F.C.s.r.l. e riaddebitati alla controllata Sata Sud spa, quantificati nella misura forfettaria del 1,75 del volume delle vendite della controllata; con conseguente applicazione delle maggiori imposte Ires, Irap ed Iva dovute.
Contro gli avvisi di accertamento la società Sata Sud spa proponeva distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale di Isernia che, previa riunione, li accoglieva con sentenza n.26 del 2008.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello rigettato dalla Commissione tributaria regionale con sentenza del 25.3.2014.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
La società resiste con controricorso. Chiede di dichiarare inammissibile il ricorso perchè privo del requisito della autosufficienza e perchè proposto tardivamente, e comunque ne chiede il rigetto per infondatezza. Deposita memoria con cui segnala la pendenza di altri ricorsi per cassazione proposti dalla Agenzia delle Entrate nei confronti della società e relativi ad altre annualità di imposta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Le preliminari eccezioni di inammissibilità formulate nel controricorso sono infondate. Il ricorso, autosufficiente, è anche tempestivo, dovendosi ribadire che la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46,che ha sostituito con il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza l’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio. (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 15741 del 21/06/2013). Nel caso in esame, poichè la sentenza di primo grado è stata pubblicata il 13.5.2008, è evidente che il prodromico ricorso introduttivo non può che essere stato proposto in data anteriore al 4.7.2009.
2.Primo motivo:” Violazione e falsa applicazione dell’art. 109 TUIRn. 917/1986, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 in materia di deducibilità/detraibilità dei costi e art. 2697 c.c. in materia di onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3", nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento ai fini Ipres ed Iva perchè motivati per relationem con l’accertamento ai fini Iva, nonchè nella parte in cui ha ritenuto la deducibilità fiscale dei costi per il solo fatto che essi erano previsti nel contratto stipulato tra società controllata e società controllante ed ha effettuato un inammissibile ribaltamento sull’Ufficio dell’onere della prova delle esistenza, congruità ed inerenza dei costi, posto invece a carico della società.
Il motivo è fondato. La C.T.R. ha rigettato l’appello dell’Ufficio sulla base di due rationes decidendi: 1) gli avvisi di accertamento sono “assolutamente illegittimi” perchè l’Amministrazione finanziaria ha effettuato verifiche ai soli fini Iva “con esclusione di qualsivoglia verifica ai fini Irpeg ed Irap non potendo l’Ufficio procedere all’accertamento fiscale relativo alle suddette imposte solo per relationem”; 2) la determinazione dei costi per consulenze nella percentuale del 1,75% deve considerarsi “lecito e fondato” in quanto corrispettivo liberamente pattuito tra le parti “non sussistendo alcuna preclusione statuita ex lege attinente la stessa (percentuale)”.
Entrambe le ragioni decisorie sono giuridicamente errate. Con riguardo alla ritenuta illegittimità dell’accertamento delle imposte dirette “per relationem” con l’accertamento ai fini Iva, a prescindere dalla palese contraddittorietà logica dell’annullamento integrale degli accertamenti a fronte di una ritenuta illegittimità parziale degli avvisi nella sola parte relativa all’Irpeg ed Irap, si osserva che dal processo verbale di constatazione (riprodotto nel ricorso) risulta per tabulas che i verificatori hanno assolto l’onere di allegazione degli elementi posti a fondamento della pretesa tributaria indicando distintamente i rilievi relativi alle imposte dirette, all’Irap ed all’Iva, pur nella unitarietà del fatto contestato (indebita deduzione di costi, rilevante sia ai fini della determinazione della base imponibile Irpeg ed Irap, sia ai fini della determinazione dell’Iva detraibile).
L’affermazione per cui i costi per “consulenza, studio e assistenza” (calcolati nella misura forfettaria del 1,75% del volume delle vendite e addebitati dalla controllante F.C. s.r.l. alla controllata Sata Sud spa) sono legittimi per il solo fatto che essi sono stati pattuiti nel contratto stipulato tra le due società infragruppo, attribuisce erroneamente all’autonomia negoziale delle parti la capacità di derogare alle norme imperative previste in ambito fiscale, violando in particolare il disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109, secondo cui: tutti i componenti (positivi o negativi) del reddito di impresa devono essere certi e di ammontare determinabile obiettivamente (comma 1); inoltre i componenti negativi (costi) devono possedere l’ulteriore requisito della inerenza (comma 5), ossia devono avere un nesso di effettiva funzionalità rispetto alla produzione dei ricavi. Nel caso di specie, opponendo l’errata argomentazione della incondizionata deducibilità fiscale dei costi contrattualmente stabiliti, la C.T.R. omette di esaminare le circostanze dedotte nell’atto impositivo e riprese nell’atto di appello dell’Ufficio, in ordine al difetto di effettiva esistenza ed inerenza dei costi per i servizi di “consulenza, analisi e studio”, asseritamente svolti dalla controllante in favore della controllata Sata in assenza di ogni documentazione (diversa dalla mera fatturazione degli importi) attestante la reale prestazione di servizi da parte della controllante a favore della controllata, e l’inerenza funzionale di detti servizi sotto il profilo della necessità o utilità di essi ai fini della attività di impresa svolta dalla società Sata.
2. Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nella parte in cui la C.T.R ha dato rilevanza alla decisione intervenuta in altro processo per altra annualità e senza che tale decisione risulti passata in giudicato.
Il motivo di censura è astrattamente fondato, poichè il giudice di appello, non allega che vi sia stato il passaggio in giudicato della sentenza pronunciata nella controversia tra le stesse parti ed afferente l’Iva dell’anno di imposta 1999, nè considera il principio che l’ipotetico giudicato esterno relativo ad un diverso periodo di imposta non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità. (Sez. 5, Sentenza n. 6953 del 08/04/2015); inoltre, con specifico riguardo all’Iva, deve essere applicata la regola che le controversie in materia di IVA sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell’effettività del diritto Euro-unitario. (Sez. 5, Sentenza n. 8855 del 04/05/2016).
Tuttavia il motivo di ricorso risulta inammissibile perchè il riferimento all’esito favorevole al contribuente della controversia relativo all’Iva 1999 è speso dal giudice ad abundantiam, senza attribuire alla circostanza il valore di una ulteriore, autonoma, ragione decisoria.
In accoglimento del primo motivo la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Molise in diversa composizione perchè, nel giudizio di rinvio,si attenga al principio di diritto sopra indicato. Alla stessa Commissione tributaria regionale è demandata la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo; dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche sulle spese, alla Commissione tributaria regionale del Molise in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018