LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4046/2011 R.G. proposto da:
LE MAGOT CLUB, rappresentato e difeso dall’avv. Pasquale Fronzino, elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico n. 101, presso lo studio dell’avv. Mario Lupis.
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione n. 8, n. 263/08/09, pronunciata il 16/12/2009, depositata il 18/12/2009.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 luglio 2018 dal Consigliere Riccardo Guida.
FATTI DI CAUSA
Le Magot Club ricorre, con tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania (hinc: CTR) in epigrafe che – in controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai fini IRPEG, IRAP, IVA, per l’anno d’imposta 2001, maggiori redditi non dichiarati a seguito del disconoscimento della natura non commerciale dell’ente, desunta dalla mancanza, nella contabilità, di notizie sulla sua attività no profit – ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato il ricorso della contribuente.
Il giudice d’appello, in merito all’asserita violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, ha osservato di avere sollevato questione di legittimità costituzionale della norma che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 244/2009, ha dichiarato inammissibile.
La CTR, inoltre, ha negato il dedotto vizio di motivazione dell’atto impositivo perchè il processo verbale di constatazione da cui esso era scaturito era stato notificato al presidente dell’associazione, sicchè non era necessaria la sua allegazione all’avviso di accertamento che, peraltro, riportava compiutamente l’iter logico-giuridico seguito dall’Organo impositore.
Infine, ha escluso che la contribuente avesse dato la prova dell’assenza dei parametri, illustrati dall’art. 149 TUIR, che giustificavano la sua qualificazione come ente commerciale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
a. Preliminarmente si rileva che, con nota dell’11/09/2012, l’avv. Mario Lupis, domiciliatario della ricorrente, ha depositato “ad ogni effetto di legge” il certificato di morte del difensore della contribuente, avv. Pasquale Fronzino, deceduto il *****, (come da allegato certificato di morte).
Nel giudizio di cassazione il decesso dell’unico difensore non determina l’interruzione del processo, bensì – ove sia attestato nella forma legale della relata di notifica dell’avviso di udienza – attiva il potere della Corte, posto al fine di assicurare il diritto di difesa nella fase finale della trattazione, di differire l’udienza disponendo la comunicazione della stessa alla parte personalmente onde consentirle di nominare un nuovo difensore (Cass. sez. un. 13/01/2006, n. 477; Cass. sez. un. 23/01/2006, n. 12060).
Nella specie, tuttavia, l’evento in esame risale a più di cinque anni fa; in questo ampio lasso di tempo la parte avrebbe potuto munirsi di un nuovo difensore, ragione per cui, anche in assenza di un differimento dell’udienza, il diritto di difesa della ricorrente non appare menomato (Cass. 20/09/2013, n. 21608).
1. Primo motivo di ricorso: “Violazione o falsa applicazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”.
Si denuncia che la CTR nulla abbia statuito sull’eccezione della contribuente (sulla quale il giudice di primo grado, a ciò sollecitato su istanza di parte, aveva omesso di pronunciarsi), di mancato rispetto del termine di 60 giorni tra il rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni e l’emissione dell’avviso di accertamento, ai sensi dell’art. 12, comma 7, cit..
La ricorrente rileva che il giudice d’appello, con riferimento a tale norma, si è limitato a dare atto di avere sollevato questione di legittimità costituzionale, dichiarata inammissibile dalla Consulta, con ordinanza n. 244/2009.
2. Secondo motivo: “Violazione o falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7”.
Si fa valere l’errore di diritto della sentenza impugnata che non avrebbe ravvisato la nullità dell’avviso di accertamento, emesso precocemente, senza l’indicazione dei motivi d’urgenza che ne giustificavano l’emissione anticipata.
3. Terzo motivo: “Omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 5”.
Si deduce, infine, la lacuna motivazione della sentenza impugnata, priva dell’effettiva esposizione delle ragioni poste a base del rigetto dell’eccezione relativa al suindicato vizio dell’atto impositivo.
4. I tre motivi, da esaminare congiuntamente perchè connessi, sono fondati.
Costituisce ius receptum che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, comporta l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, ad eccezione dei casi di “particolare e motivata urgenza” (Cass., sez. un. 29/07/2013, n. 18184; 24/09/2014, n. 20074; 31/01/2017, n. 2471; 17/01/2018, n. 998).
Dette pronunce della Corte statuiscono che, a fronte di un avviso di accertamento emesso “prematuramente” e, come nella specie (aspetto, questo, non controverso), privo dell’enunciazione dei motivi di urgenza che lo legittimano, il contribuente può anche limitarsi ad impugnarlo per il solo vizio della violazione del termine.
In una simile evenienza la querelle tra Fisco e contribuente si sposta in sede contenziosa, nella quale sarà onere dell’Ufficio provare che, quando fu emesso l’atto impositivo, ricorreva il requisito esonerativo del rispetto del termine, ossia una valida e “particolare” (cioè riferita allo specifico rapporto tributario in questione) ragione d’urgenza, idonea a giustificare l’anticipata emissione del provvedimento.
La CTR, dal canto suo, ha completamente trascurato questo decisivo profilo di diritto, sul quale, in sostanza, ha omesso di prendere posizione, e si è limitata a ricordare che la Consulta aveva dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma, sollevata dal medesimo giudice d’appello.
Un simile esito del giudizio costituzionale, però, non sollevava la CTR dall’obbligo di confrontarsi con la doglianza della contribuente circa la prospettata nullità dell’avviso di accertamento emesso ante tempus.
Nella specie, a giudizio della Corte, la dimostrazione dell’urgenza, comunque, non è stata data, in quanto l’Ufficio, gravato del relativo onere probatorio, ha solo laconicamente affermato che la “lesione” dell’art. 12, comma 7, cit.: “comporta l’illegittimità del procedimento (con conseguente caducazione dell’atto finale), nel cui ambito si è verificata, a condizione che abbia effettivamente pregiudicato un diritto del contribuente” (cfr. pag. 10 del controricorso dell’Agenzia delle entrate); circostanza, quest’ultima, che, secondo la tesi erariale, non ricorrerebbe nella vicenda in esame.
5. L’accertamento dell’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus comporta l’accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, coll’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente.
6. Le spese dei gradi di merito vanno compensate; invece, le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata;
decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito;
condanna l’Agenzia delle entrate a pagare alla ricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 2.000,00, a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018