Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23707 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20273/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12 è

elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Autosistem s.n.c., G.G. e G.R., rappresentati e difesi dall’Avv. Aldo Fontanelli, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso ed elettivamente domiciliati in Roma, presso il suo studio, in Via Emilio dè Cavalieri, n. 11;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 41/3/2010, depositata il 10 giugno 2010;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 luglio 2018 dal Consigliere Dott. Luigi D’Orazio.

RITENUTO IN FATTO

1. A seguito di processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle entrate emetteva avviso di accertamento, per l’anno 2001, nei confronti della società Autosistem s.n.c. e dei soci G.G. e G.R., recuperando a tassazione Euro 81.135,38 per ricavi non contabilizzati né dichiarati, Euro 99.230,48 per maggiori ricavi da “ricambi”, oltre ad un recupero Iva per cessione di beni.

2. La Commissione tributaria provinciale, dopo aver riunito i ricorsi della società e dei soci, accoglieva solo quello della società per recupero Iva.

3. La Commissione tributaria regionale, invece, accoglieva l’appello dei contribuenti, evidenziando che i ricorrenti avevano prodotto le fatture sia di acquisto che di vendita dei prodotti, che la stessa Agenzia delle entrate, all’esito del procedimento per adesione aveva ridotto le pretese da Lire 375.309.000 a Lire 244.094.000, che con riferimento ad alcuni pezzi di ricambio non si erano trovate le fatture di acquisto nei giorni “immediatamente precedenti” in quanto la società “aveva un grosso magazzino” per la rivendita di autoricambi, che l’Ufficio non aveva tenuto conto delle rimanenze iniziali esistenti sia all’inizio che alla fine dell’esercizio 2001.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Resistevano con controricorso la società ed i soci.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con un unico motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)”, in quanto dal processo verbale di constatazione emergeva che alcuni beni indicati in apposita tabella risultavano acquistati, ma non rivenduti per la somma di lire 8.146.112, che “il suddetto valore totale dei paraurti, parafanghi, parabrezza e cofani” risultati acquistati ma non fatturati per la loro posa in opera, rappresentava il 20% di quello relativo a “tutti” i paraurti, parafanghi, parabrezza e cofani acquistati (Lire 41.517.917), si presumeva che anche tutti gli altri ricambi e merci avevano avuto la medesima sorte, sicché era stato fatturato solo l’80 % delle prestazioni, con operazioni non contabilizzate per Lire 157.100.025. Inoltre, molti paraurti, parafanghi, parabrezza e cofani risultavano rivenduti, ma non erano indicati nelle fatture di acquisto dei “giorni immediatamente precedenti”. L’Agenzia delle entrate, quindi, rileva che non è contestata la circostanza che parte della merce non è stata fatturata in acquisto. Inoltre, l’esistenza di un “grosso magazzino” era una circostanza mai dedotta dalla società. Infine, il magazzino non può interferire sulla ricostruzione reddituale e sull’applicazione del ricarico nella misura del 100%.

1.1.Tale motivo è infondato.

Invero, la circostanza che nel processo verbale di constatazione fosse indicata merce non fatturata in acquisto non è in alcun modo pacifica tra le parti, ma anzi, è stata specificatamente contestata dalla contribuente, tanto che la Commissione regionale nella motivazione della sentenza, anche se nella parte dedicata allo svolgimento del processo, ha affermato che “…i ricorrenti producevano numerose fatture sia di acquisto che di vendita, per dimostrare l’inattendibilità degli accertamenti”. Inoltre, nell’atto di appello proposto da società e soci si legge che “tutte le fatture sia di vendita che di acquisto, singolarmente una per una, fanno analitico riferimento alle singole poste rilevabili dal p.v.c.”.

La presenza di merce in nero è stata contestata dalla società e dai soci con indicazione delle singole fatture collegate proprio alle poste rilevate nel processo verbale di constatazione.

La presenza di un “grosso magazzino” rappresenta, poi, un elemento risultante dagli atti di causa, tanto che nel ricorso originario della società dinanzi alla Commissione provinciale si legge che “…i verbalizzanti si limitano ad esaminare i ricambi acquistati nell’anno 2001…senza tenere conto del magazzino esistente alla data di chiusura dell’esercizio….”(pagina 2 del ricorso). Inoltre, nel medesimo ricorso, sempre a pagina 2, si afferma che “i verbalizzanti si basano su un’affermazione di principio non suffragata da alcuna prova nè ragionamento logico giudico…in quanto non tiene conto delle esistenze di magazzino…”.

La Commissione regionale, quindi, con congrua e logica motivazione, ha dato conto del fatto che i ricorrenti hanno prodotto in giudizio numerose fatture di acquisto e di vendita per dimostrare l’inattendibilità degli accertamenti, della produzione nel giudizio di appello dei prospetti riepilogativi delle fatture prodotte, dell’esito del procedimento con adesione con cui il reddito è stato ridotto da Lire 375.309.000 a Lire 244.094.000, della esistenza di un “grosso magazzino” dal quale venivano presi i pezzi di ricambio da sostituire, sicché era possibile che i prezzi venduti non risultassero dalle fatture di acquisto emesse nei “giorni immediatamente precedenti”, proprio perché tratti dalle rimanenze del magazzino.

2. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rimborsare in favore dei resistenti le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 7.000,00, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15 %.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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