LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20472/2011 proposto da:
B.S., elettivamente domiciliato in ROMA VIA FONTI DEL CLITUMNO 12, presso lo studio dell’avvocato ENZO SAVINO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI SAVINO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI;
– intimata –
avverso la sentenza n. 14/2011 della COMM. TRIB. REG. di BARI, depositata il 07/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.
RITENUTO
che:
1. B.S., già amministratore di P.B. Auto s.r.l. in liquidazione, cancellata dal R.I. il 4.7.2002, impugnava l’avviso di accertamento notificatogli in tale qualità dall’agenzia delle entrate, con cui erano stati disconosciuti, ai fini dell’Iva, acquisti intracomunitari effettuati dalla società nell’anno 2001 ed erano state irrogate sanzioni.
La commissione tributaria provinciale di Bari accoglieva in parte il ricorso di B., affermando la sua carenza di legittimazione passiva relativamente alle imposte ed ai relativi accessori – da porsi ad esclusivo carico della società – e dichiarando invece da lui dovute le sanzioni ed i relativi accessori.
B. proponeva appello contro la decisione, lamentando la violazione dell’art. 112 c.p.c. L’appellante sosteneva che la CTP, nel riconoscere solo in parte il suo difetto di legittimazione passiva, aveva violato il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.
La CTR della Puglia rigettava l’appello, escludendo che la CTP, che si era doverosamente pronunciata su tutti i motivi di impugnazione, fosse incorsa nel vizio di ultrapetizione; aggiungeva che l’affermazione del primo giudice, secondo cui la violazione di norme tributarie da parte di una persona giuridica comporta l’imputazione della relativa sanzione anche al soggetto che la rappresenta, il quale ne risponde personalmente, andava confermata.
2. Il soccombente propone ricorso per la cassazione della sentenza, affidato due motivi. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.L. n. 269 del 2003, art. 7, convertito dalla L. n. 326 del 2003. Lamenta che la CTR non abbia tenuto conto del fatto che, per effetto dell’articolo 7 citato, gli amministratori della società non rispondono più delle sanzioni per violazioni di norme tributarie contestate ed irrogate alla società a partire dl 3 ottobre 2003, anche se riferite a periodi di imposta pregressi.
2. Va preliminarmente respinta l’eccezione di inammissibilità del motivo sollevata dall’Agenzia sul rilievo della novità della questione, mai dedotta dal ricorrente nel corso del giudizio di merito: la CTR (nonostante l’unico motivo dell’appello proposto da B. attenesse alla violazione da parte del primo giudice dell’art. 112 c.p.c.) ha infatti espressamente pronunciato sulla questione, affermando che l’amministratore rispondeva delle sanzioni. Ne consegue la piena legittimità dell’impugnazione proposta dal ricorrente contro tale specifico capo della decisione, avverso il quale l’agenzia delle entrate non ha proposto ricorso incidentale deducendo il vizio di extra petizione.
Ciò posto, il motivo è fondato.
Questa Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 7, comma 1, convertito dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, che ha introdotto il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, si applica solo se, alla data di entrata in vigore del decreto (2 ottobre 2003), le violazioni non siano state ancora contestate o la sanzione irrogata, restando applicabile, diversamente, la previgente disciplina di cui del D.Lgs. 18 settembre 1997, n. 472, art. 11, con operatività della responsabilità solidale tra ente collettivo e legale rappresentante della società in carica all’epoca della violazione, stante la disposizione di diritto transitorio di cui all’art. 7, comma 2, del menzionato decreto e la disciplina precedentemente vigente dettata D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 2 e art. 11 (Cass. n. 25993 del 10/12/2014; Cass. n. 9122 del 23/04/2014).
Nel caso che occupa le violazioni sono state commesse nell’anno 2001 ma contestate dall’agenzia delle entrate con avviso di accertamento del 2008: trova dunque applicazione la nuova disciplina, che prevede la riferibilità delle sanzioni esclusivamente alla persona giuridica.
3. All’accoglimento del primo motivo di ricorso consegue la cassazione della sentenza impugnata.
4. Resta assorbito il secondo motivo.
5. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, ed il ricorso originario del contribuente va interamente accolto.
Le spese processuali dei giudizi di merito si compensano tra le parti, stante il consolidarsi in epoca non remota del principio giurisprudenziale in materia, mentre quelle di questo giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie integralmente il ricorso originario del contribuente. Compensa le spese processuali relative ai giudizi di merito e condanna l’Agenzia delle Entrate a rifondere al contribuente le spese processuali di questo giudizio, che liquida in complessivi Euro 10.000,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018