Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23722 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21229/2011 proposto da:

O.A., elettivamente domiciliata in ROMA CIRCONVALLAZIONE CLODIA 14 A, presso lo studio dell’avvocato PAMELA BONANNI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ARTURO SOFFITTA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI COMO, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6/2011 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 25/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

RITENUTO

Che:

1. O.A., titolare dell’omonima ditta individuale esercente l’attività di produzione e commercio di prodotti da forno, impugnava l’avviso di accertamento notificatole dall’agenzia delle entrate per l’anno 2005 con cui erano stati rideterminati il reddito di impresa, il valore della produzione ed il volume di affari e liquidate le maggiori imposte da lei dovute a titolo di Irpef, Irap ed Iva.

La commissione tributaria provinciale di Como rigettava il ricorso.

La contribuente proponeva appello e la CTR della Lombardia lo accoglieva in parte.

Il giudice d’appello premetteva che nella specie, nonostante la corrispondenza fra gli imponibili dichiarati da O. e gli studi di settore applicabili, l’accertamento eseguito doveva ritenersi legittimo per la presenza di elementi rivelatori dell’evasione (gravi infrazioni commesse dalla contribuente; sua dichiarazione dei redditi esigua; antieconomicità dell’attività, sebbene esercitata nel Comune di Sala Comacina, fiorente centro commerciale e polo turistico di tutto rispetto); riduceva, tuttavia, nella misura del 20% dell’accertato sia il volume di affari, sia il reddito di impresa, sia il valore della produzione, tenuto conto degli errori commessi dall’ufficio nella determinazione dei prezzi di acquisto e di vendita dei prodotti trasformati e commercializzati dalla contribuente.

2. O.A. propone ricorso per la cassazione della sentenza, affidato due motivi. L’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 146 del 1998, artt. 10, 4 e 4 bis. Sostiene che la CTR avrebbe dovuto ritenere precluso l’accertamento induttivo, in quanto la sua dichiarazione era congrua rispetto agli studi di settore e non sussistevano gravi indizi rivelatori dell’evasione, considerato che le uniche irregolarità riscontrate inerivano a diversi periodi di imposta e che Sala Comacina non è un fiorente centro turistico – commerciale, ma un piccolo Comune privo di alberghi e di strutture ricettive.

2. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la CTR ha illogicamente operato la riduzione del 20%, rispetto all’accertato, sia del volume di affari sia del reddito di impresa e del valore della produzione, senza tener conto che tali ultime due voci andavano determinate sottraendo alla componente positiva (fatturato) il totale delle componenti negative, non contestate dall’agenzia delle entrate.

3. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente sul rilievo che l’atto le sarebbe stato notificato tardivamente, il 25 luglio 2011, quando era già decorso il termine breve per proporre impugnazione, nella specie decorrente dal 10.2.2011, giorno in cui O. ha depositato istanza di correzione della sentenza d’appello ed alla quale va pertanto fatta risalire la sua conoscenza legale del provvedimento.

La presentazione di un’istanza di correzione di errore materiale della sentenza è infatti inidonea a far decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., stante la natura amministrativa e non impugnatoria del procedimento di correzione e, conseguentemente, del ricorso che lo introduce, al quale non può applicarsi il principio derogatorio desunto dall’art. 362 c.p.c., comma 2, secondo cui, ai fini della decorrenza di detto termine, la notifica dell’impugnazione equivale, sul piano della “conoscenza legale” da parte dell’impugnante, alla notificazione della sentenza impugnata (Cass. – Sez. U – n. 5053 del 28/02/2017).

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

La ricorrente non pone in dubbio l’astratta correttezza del principio di diritto, cui la CTR si è attenuta, secondo il quale, pur in presenza di uno scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, l’accertamento induttivo non è precluso laddove si riscontrino gravi incongruenze, sintomatiche dell’evasione delle imposte, ma si limita a contestare che, sulla scorta delle risultanze di causa, tale principio potesse trovare applicazione nella fattispecie concreta sottoposta all’esame del giudice d’appello.

La censura si risolve, pertanto, nella denuncia di un vizio di motivazione (cfr. da ultimo, fra moltissime, Cass. nn. 24155/017, 24054/017, 22017/017) ed, esaminata sotto tale profilo, si rivela del tutto carente dei requisiti di specificità richiesti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, in quanto si fonda sulla mera enunciazione di elementi di fatto – che dovrebbero smentire l’accertamento compiuto dalla CTR in ordine alla ricorrenza di circostanze che legittimavano l’operato dell’ufficio – senza chiarirne la decisività e senza precisare se, ed in quale esatta sede processuale, siano stati prodotti e siano rintracciabili i documenti nei quali essi troverebbero riscontro.

5. Il secondo motivo è invece fondato, in quanto il giudice d’appello non ha esplicitato il percorso logico ed argomentativo che lo ha indotto, sulla base della riduzione del 20% del volume di affari, a ridurre nella stessa percentuale anche il reddito di impresa ed il valore della produzione, senza tener conto delle componenti negative idonee ad incidere su tali due voci.

6. Il ricorso va dunque accolto in relazione al secondo motivo proposto e la decisione impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, che regolerà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso ed accoglie il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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