Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23724 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26577/2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

M.A., M.G., MA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA VIALE UMBERTO TUPINI 133, presso lo STUDIO LEGALE DE SORDO & BRAGAGLIA, rappresentati e difesi dall’avvocato VITO ANTONIO MARTIELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 168/2010 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 01/09/2010;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.

RITENUTO

che:

1. M.G. e Ma.Gi. proponevano distinti ricorsi avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione loro notificato, chiedendone l’annullamento in quanto, per errore nella relativa dichiarazione, era stata omessa l’esistenza di debiti cambiari che andavano dedotti, e in corso di causa presentavano istanza di definizione della lite pendente ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 16.

L’agenzia delle entrate opponeva il diniego alla richiesta di definizione agevolata e M.G. impugnava anche il provvedimento di diniego. La commissione tributaria provinciale di Roma, riuniti i ricorsi, li accoglieva e l’appello proposto dall’agenzia delle entrate contro la decisione era respinto dalla CTR del Lazio.

Avverso la sentenza della CTR l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un motivo. Resistono con controricorso i contribuenti, i quali hanno depositato memoria illustrativa.

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione alla L. n. 289 del 2002, art. 16. Sostiene che l’impugnazione era stata proposta avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta principale, sì che la lite pendente aveva ad oggetto un mero atto di liquidazione, che era escluso dal condono: l’ufficio aveva infatti proceduto sulla base di quanto dichiarato in sede di apertura della successione ed i contribuenti non avevano dimostrato l’esistenza di debiti ereditari nei termini consentiti del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 23, comma 4, dedotti solo in sede di impugnazione dell’avviso di liquidazione.

2. Il ricorso è infondato.

Occorre premettere che questa Corte ha affermato il principio secondo cui, in tema di condono fiscale, la controversia concernente l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione emanato sulla base di dichiarazione proveniente dagli eredi, senza rettifica di valori e senza irrogazione di sanzioni, da parte dell’Amministrazione, esula dal concetto normativo di lite pendente e, quindi, dalla possibilità di definizione agevolata ai sensi dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16, atteso che in tal caso l’atto assume una funzione di mera liquidazione del tributo in base ad un semplice calcolo contabile, secondo criteri predeterminati per legge, senza che sia configurabile un atto impositivo od un importo in contestazione al quale parametrare una somma da corrispondere per la chiusura della lite (Cass. n. 20898 del 03/10/2014; Cass. n. 4566 del 25/02/2010). Nel caso che occupa, tuttavia, la controversia non aveva ad oggetto la mera liquidazione dell’imposta di successione operata dall’ufficio sulla base della dichiarazione delle parti, bensì il riconoscimento di passività deducibili derivanti da debiti cambiari che i contribuenti non avevano dichiarato entro il termine di cui al F.Lgs. n. 346 del 1990, art. 23, comma 4 e che intendevano far valere in giudizio sulla base del dedotto principio della emendabilità della dichiarazione.

Incentrandosi, dunque, la controversia, sulla possibilità di ottenere il riconoscimento di passività deducibili non dichiarate entro il ridetto termine, e non già sulla sola liquidazione dell’imposta di successione operata dall’ufficio sulla base della dichiarazione delle parti, essa rientrava tra le liti pendenti definibili ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16.

3. Il ricorso va, dunque, rigettato e le spese processuali, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna l’agenzia delle entrate a rifondere ai contribuenti le spese processuali, che liquida in Euro 5.200,00, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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