LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – rel. Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 26781/2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CARVIN SRL;
– intimato –
Nonchè da:
CARVIN SRL, elettivamente domiciliato in ROMA LARGO MESSICO 3, presso lo studio dell’avvocato MARCO DE ROSSI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI FERDINANDO BERARDI;
– controricorrente incidentale –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 467/2010 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 14/09/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO.
FATTO E DIRITTO
RITENUTO CHE:
1. Carvin s.r.l., esercente l’attività di commercio all’ingrosso di carni, impugnava l’avviso di accertamento notificatole, con cui era stato rettificato il reddito da essa dichiarato nell’anno 2003 ai fini Irpeg, Irap ed Iva.
La commissione tributaria provinciale di Roma accoglieva il ricorso.
L’appello proposto contro la decisione dall’Agenzia delle entrate era respinto dalla CTR del Lazio, fa quale rilevava che, a fronte dell’accertamento effettuato dall’ufficio con metodo analitico induttivo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,la società aveva dedotto circostanze e fatti, suffragati da idonea documentazione, che avevano consentito di vanificare le violazioni contestate e che, inoltre, mancava qualsiasi riscontro esterno della supposta evasione, quale, ad es., la verifica sulle movimentazioni bancarie della contribuente.
2. Avverso la sentenza della CTR l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un motivo. Carvin s.r.l. resiste con controricorso, con il quale propone ricorso incidentale, affidato ad un motivo ed illustrato con memoria.
CONSIDERATO CHE:
1. Con l’unico motivo, la ricorrente principale deduce vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Contesta le ragioni in base alle quali, a fronte dell’analisi operata dai verificatori, la CTR ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento, rilevando: che la regolare tenuta della contabilità della società non poteva costituire elemento atto ad escludere evasioni di imposte; che il campione (10/0) delle fatture analizzate atteneva al principale ramo d’attività di Carvin, dal quale la società ricavava il 90% del fatturato, e non poteva pertanto essere considerato scarsamente significativo; che non ricorreva il presunto errore dei verbalizzanti nella determinazione della quantità di carne acquistata da un fornitore tedesco, in quanto i dati riportati nel processo verbale di constatazione corrispondevano a quanto indicato dall’amministratore della società, che si era offerto di tradurre le fatture. Lamenta, infine, che la CTR abbia giustificato lo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli accertati in ragione del calo naturale della carne e delle oscillazioni del mercato, senza precisare se la differenza fosse dovuta all’uno o all’altro dei due fattori.
3. Il motivo è inammissibile.
Il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 27162 del 23/12/2009). L’esame degli elementi oggetto di valutazione, laddove non siano evidenziati vizi logici, costituisce, dunque, accertamento di merito che esula dai limiti del controllo di logicità della motivazione affidato alla corte di legittimità.
Nella specie le doglianze illustrate nel motivo, lungi dall’evidenziare lacune nel ragionamento decisorio seguito dalla CTR, si sostanziano nella richiesta di una diversa lettura delle circostanze istruttorie, conforme alle aspettative della ricorrente. Ne deriva l’insussistenza del dedotto vizio motivazionale, non potendo imputarsi al giudice del merito di essere giunto, nell’esercizio della propria attività valutativa dei mezzi di prova offerti dalle parti, a ritenere che la ricostruzione induttiva del reddito della contribuente fosse stata operata sulla scorta di elementi presuntivi non connotati da gravità, precisione e concordanza e che anzi risultavano in parte errati (a nulla rilevando l’imputabilità dell’errore all’incapacità dell’amministratore della società di tradurre i documenti fiscali redatti in tedesco) ed in parte smentiti da dati di comune conoscenza (il calo naturale del peso della carne, l’andamento del mercato) e che, inoltre, non erano corroborati da elementi di riscontro esterni, desumibili da indagini condotte sui conti bancari della società.
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, la contribuente deduce violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15,artt. 91 e 92 c.p.c., e carenza di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la CTR dichiarato assorbito il motivo del suo appello incidentale che censurava la statuizione di compensazione delle spese del giudizio di primo grado, e per aver compensato anche le spese del giudizio di gravame, nonostante l’integrale soccombenza dell’agenzia delle entrate, senza motivare la decisione.
4. Il motivo è fondato.
Il giudizio è stato instaurato nel 2006.
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, allora vigente disponeva: “1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza. La commissione tributaria può dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, a norma dell’art. 92 c.p.c., comma 2”.
L’art. 92 cit., nel testo applicabile ratione temporis, modificato dalla L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, e non ancora ulteriormente riformato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11, prevedeva a sua volta che “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”.
La CTR non ha assolto all’obbligo di indicare “i giusti motivi” della compensazione delle spese del grado, disposta in ragione di un’affermata, ma non evincibile, “peculiarità” delle questioni trattate, senza dar conto degli elementi che l’avrebbero caratterizzata.
Ha inoltre erroneamente e contraddittoriamente dichiarato assorbito l’appello incidentale di Carvin, che chiedeva la riforma della pronuncia di compensazione delle spese del giudizio di primo grado, nonostante anche nel giudizio d’appello la società fosse risultata interamente vittoriosa.
5. Accolto il ricorso incidentale, la sentenza impugnata va cassata nei capi concernenti la statuizione sulle spese del primo e del secondo grado.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con la liquidazione delle spese dei giudizi di merito che, come quelle di questo giudizio, che seguono la soccombenza, si liquidano in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e, decidendo nel merito, condanna l’agenzia delle entrate a rifondere alla contribuente le spese processuali dei tre gradi di giudizio, che liquida in Euro 9.000,00 per quello di primo grado, in Euro 9.000,00 per quello di secondo grado ed in Euro 10.000,00 per il presente giudizio di legittimità, oltre, per tutti e tre i giudizi, rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018