LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9581/2018 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO n. 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA LOMBARDI BALARDINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, C.F. *****, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 638/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 14/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.
FATTO E DIRITTO
Rilevato che:
M.M. impugnava la decisione della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze, sez. di Perugia, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine la concessione della protezione sussidiaria o umanitaria;
il tribunale respingeva il ricorso e la decisione è stata confermata dalla corte d’appello di Perugia;
la corte d’appello ha premesso che il gravame si fondava essenzialmente sul pericolo rappresentato dal rientro in *****, paese nel quale di sarebbero verificate le ripetute violazioni dei diritti umani; tuttavia ha soggiunto che il ricorrente, secondo il suo racconto, era stato invitato solamente ad aderire a un gruppo di ribelli, senza alcuna minaccia; e da ciò non era possibile dedurre che il predetto fosse perseguitato o privato dei fondamentali suoi diritti; invero nessun accenno era emerso dal racconto del medesimo circa l’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese, elemento necessario per ottenere la tutela sussidiaria;
M. ricorre per cassazione deducendo due profili di violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e seg. e del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 2 e seg. Cedu);
egli si duole che non siano stati valutati i fatti prospettati alla luce della situazione del paese di origine, dedotta come caratterizzata da conflitti sia tra i ribelli sia con lo Stato, e tale da giustificare l’impossibilità di avvalersi della protezione di quel paese; lamenta che il giudice abbia liquidato ogni questione senza avvalersi del dovere di cooperazione istruttoria officiosa in ordine all’accertamento della situazione oggettiva del paese di origine;
il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.
Considerato che:
il ricorrente aveva invocato la protezione sotto tutti gli indicati profili, politici, sussidiari e umanitari;
dalla stessa sentenza risulta che egli aveva dedotto di aver assistito all’età di dieci anni all’omicidio del padre per mano di ribelli appartenenti al movimento *****, di esser stato a sua volta ferito, di avere negli anni seguenti perso la madre e la nonna, di avere avuto la proposta di unirsi al movimento dei ribelli *****;
la corte d’appello ha premesso che era stato rappresentato il pericolo derivante da un eventuale rientro in Senegal, stanti le ripetute violazioni di diritti umani allegati come caratterizzanti la situazione di quel paese; nondimeno ha liquidato ogni questione dicendo che il ricorrente era stato soltanto invitato ad aderire a un gruppo di ribelli, senza minaccia, e ha ritenuto che da ciò non fosse possibile dedurre la condizione di persecuzione o di privazione di diritti fondamentali, nè l’impossibilità di avvalersi della protezione del paese di origine;
ora questa Corte ha più volte messo in evidenza che in tema di riconoscimento dello “status” di rifugiato politico o della protezione internazionale e umanitaria non opera il tradizionale principio dispositivo proprio del giudizio civile ordinario, ma il giudice prescindendo da preclusioni o impedimenti processuali – ha il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, se del caso utilizzando canali diplomatici, rogatoriali ed amministrativi, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (v. per tutte Cass. n. 25534-16, Cass. n. 26921-17);
ha inoltre avuto modo di precisare che l’esame comparativo dei requisiti necessari per il riconoscimento dello “status” di rifugiato politico ovvero per il riconoscimento della protezione sussidiaria evidenzia un diverso grado di personalizzazione del rischio oggetto di accertamento, atteso che nella protezione sussidiaria si coglie, rispetto al rifugio politico, una attenuazione del nesso causale tra la vicenda individuale e il rischio rappresentato, sicchè, in relazione alle ipotesi descritte al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a) e b), l’esposizione dello straniero al rischio di morte o a trattamenti inumani e degradanti, pur dovendo rivestire un certo grado di individualizzazione, non deve avere i caratteri più rigorosi del fumus persecutionis, mentre, con riferimento all’ipotesi indicata nella lett. c) del medesimo articolo, la situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato nel paese di ritorno può giustificare la mancanza di un diretto coinvolgimento individuale nella situazione di pericolo (v. Cass. n. 6503-14);
a sua volta la protezione umanitaria, quale misura atipica e residuale, copre situazioni da individuare caso per caso, in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento della tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), debba provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in situazione di vulnerabilità (v. Cass. n. 23604-17); il che implica che la relativa valutazione presuppone essa pure una verifica compiuta, di ordine comparativo, della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (v. di recente Cass. n. 4455-18);
essendo stata invocata la protezione internazionale sotto tutti gli indicati profili, oltre che la protezione umanitaria, la corte d’appello non poteva esaurire le questioni mediante gli scarni riferimenti sopra esposti;
da tal punto di vista la corte territoriale ha infranto i citati principi, praticamente sottraendosi a qualunque indagine funzionale ad accertare le condizioni poste al fondo della domanda;
il ricorso va di conseguenza accolto e l’impugnata sentenza cassata con rinvio alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per nuovo esame; essa si uniformerà ai principi sopra esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Perugia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018