LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12747/2013 proposto da:
L.M.R.E., elettivamente domiciliata in Roma, via Germanico n. 211, presso lo studio dell’avvocato Fabio Criscuolo, rappresentata e difesa dagli avvocati Domenico Calderoni e Salvatore Francesco Riverso, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
M.A.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Q. Varo n. 33, presso lo studio dell’avvocato Marco Ponteduro, rappresentato e difeso dall’avvocato Gregorio Tino, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1246/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 13/11/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30/03/2018 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTI DI CAUSA
1.- L.M.R. ricorre per cassazione nei confronti di M.A., svolgendo tre motivi avverso la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Catanzaro in data 13 novembre 2012, in esito al giudizio di rinvio che ha fatto seguito alla pronuncia resa da questa Corte il 14 luglio 2010, n. 16556.
2.- La vicenda processuale muove dal decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Catanzaro nel febbraio 1997 con il quale M.A. intimava a L. il pagamento delle somme portate da otto assegni bancari, assumendo che fossero stati emessi su delega della debitrice dal marito della stessa, a favore di sè medesimo, e successivamente girati in bianco.
Il Tribunale di Catanzaro accoglieva l’opposizione della L. al provvedimento monitorio, con decisione che veniva poi confermata dalla Corte di Appello. Secondo i giudici del merito, il “mero possesso dei titoli cartolari, privi della indicazione del beneficiario, non era idoneo al fine dell’individuazione del debitore”; e gli assegni “non potevano neppure valere come promessa di pagamento” (così nel resoconto fornito da Cass., n. 16556/2010).
La sentenza d’appello, impugnata da M., veniva però cassata da questa Corte, in base al rilievo che, ai sensi della Legge Assegni e della norma dell’art. 1992 c.c., “il possessore di un assegno bancario in cui non figuri l’indicazione del portatore… ha diritto al pagamento dello stesso in base alla sola presentazione del titolo senza che, se presentato direttamente all’emittente, questo possa pretendere che il titolo contenga anche la firma di girata di colui che ne chiede il pagamento”.
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte calabrese stabiliva che l’appello proposto da M. contro la pronuncia di primo grado risultava fondato in relazione a sette degli assegni oggetto del provvedimento monitorio, l’ottavo risultando invece emesso dal Palmieri in proprio, senza delega della L..
3.- M.A. resiste con controricorso, con il quale ha pure formulato richiesta di condanna di L.M.R. “al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96, comma 1 e/o comma 3 da liquidarsi equitativamente”.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso assume nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per avere da un lato revocato il decreto ingiuntivo, accogliendo in parte l’opposizione, e, ciò nonostante, dall’altro condannato l’odierna ricorrente al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria “come da decreto”.
2. – Il secondo motivo denuncia falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Esso sostanzialmente lamenta che il giudice del rinvio non ha preso in considerazione tutte le eccezioni, i rilievi e le difese che L. aveva formulato in sede di opposizione dinanzi al Tribunale di Catanzaro, perchè, nell’accogliere l’opposizione, si era fermato alla “ragione più liquida”.
3.- Il terzo motivo deduce “inesistenza della notifica dell’atto di citazione in riassunzione presso la Corte di Appello di Catanzaro. Nullità del giudizio di rinvio celebrato innanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro. Omessa e insufficiente motivazione della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 “.
Ad avviso della ricorrente la notifica dell’atto sarebbe giuridicamente inesistente, ai sensi dell’art. 148 c.p.c., e perciò non suscettibile di sanatoria, stante l’illeggibilità, nella relata, della sottoscrizione dell’addetto alla notificazione, con conseguente impossibilità della sua identificazione.
4.- Il primo motivo è infondato.
E’ invero nozione di base che l’opposizione a decreto ingiuntivo dia luogo a un ordinario giudizio di cognizione sull’intera domanda monitoria. Pertanto, provato parzialmente il credito, sulla somma spettante all’ingiungente sono dovuti gli accessori nella misura indicata nel provvedimento, ove, come nel caso di specie, secondo quanto accertato nella sentenza impugnata, l’opponente non abbia svolto specifiche contestazioni in ordine alla loro debenza.
5.- Il secondo motivo è inammissibile.
Secondo quanto espressamente rilevato dalla corte territoriale – con accertamento che la ricorrente non ha in alcun modo contestato -” L. non ha prodotto nella presente fase il proprio fascicolo di parte relativo ai precedenti gradi”. “Sicchè nulla può dirsi” prosegue la sentenza – in ordine alla “asserita malafede del M.” e pure in ordine all’assunto che la stessa ” L. non abbia conferito delega al marito P.”, “non risultando nemmeno prodotto il documento menzionato in atti” a tale proposito. Nulla può dirsi, dunque, sui temi probatori a cui fa cenno la censura in esame.
6.- Il terzo motivo è infondato, atteso che l’avvenuta costituzione in giudizio della signora L. ha sanato, per conseguimento dello scopo, ogni eventuale e ipotetico vizio della notifica (cfr., da ultimo, Cass., 16 febbraio 2018, n. 3805).
7.- In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
Il Collegio inoltre ritiene che ricorrano i presupposti per la condanna della ricorrente al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., comma 3, a carico della ricorrente (rilevando al riguardo la totale soccombenza solo rispetto al singolo grado di giudizio: cfr. Cass., 27 agosto 2013, n. 19583). Il ricorso si fonda su motivi la cui palese infondatezza e/o inammissibilità poteva essere senz’altro colta con l’uso dell’ordinaria diligenza (cfr., tra le pronunce più recenti, Cass., 14 settembre 2016, n. 18057; Cass., 9 febbraio 2017, n. 3464).
In via equitativa il danno può essere liquidato nella misura di Euro 1000,00.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 4.200,00 (di cui Euro 200,00, per esborsi), oltre rimborso forfetario e accessori di legge, nonchè a versare al controricorrente, a titolo di responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 3, la somma di Euro 1000,00.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis articolo cit.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 marzo 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018
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