LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27516/2014 R.G. proposto da:
M.M.S., Mo.Ro., Mo.Ni., quali eredi di Mo.Gi., rappresentate e difese dall’avv. Raffella Renzini Rossi, con domicilio eletto in Roma, Via Michelini Tocci 50, presso lo studio dell’avv. Carlo Visconti;
– ricorrenti –
contro
B.G. e Ba.Pi., rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Croce David, con domicilio eletto in Roma Via Massarosa 3, presso lo studio dell’avv. Giancarlo Amici;
– controricorrenti-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 1931/2013, depositata in data 4.11.2013;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 8.5.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
M.M.S., Mo.Ro. e Mo.Ni. hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 1931/2013.
L’impresa edile G.- C.- O. aveva ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di B.G. e B.P., per il pagamento del saldo dei lavori di costruzione di un capannone da adibirsi ad allevamento di conigli.
Gli ingiunti, proponendo opposizione ex art. 645 c.p.c., avevano eccepito la sussistenza di vizi delle opere ed avevano chiesto in via riconvenzionale il risarcimento dei danni.
L’opposta aveva – quindi – chiamato in causa Br.Fa. e Mo.Gi. in qualità di progettisti e direttore dei lavori, per essere manlevata in caso di soccombenza, proponendo nei confronti dei committenti un’ulteriore domanda di risarcimento del danno da lucro cessante a causa del recesso anticipato da un diverso contratto di appalto, relativo alla costruzione di un secondo capannone.
Infine, G., W. e B.P. avevano convenuto in un autonomo giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro, Mo.Gi., Br.Fa. e l’impresa edile G.- C.- O. per ottenerne la condanna solidale al risarcimento del danno per la rovina delle opere appaltate, ai sensi dell’art. 1669 c.c..
Disposta la riunione delle cause, il Tribunale di Pesaro ha revocato il decreto ingiuntivo, compensando le somme spettanti all’impresa a titolo di corrispettivo,con l’importo dei danni subiti dai committenti; ha accolto la domanda proposta dall’impresa per il recesso dal secondo contratto di appalto, rigettando le domande verso il Mo. ed il Br..
La Corte d’appello di Ancona, su impugnazione principale dei B. e su quella incidentale dell’impresa, ha riformato la sentenza e, previa declaratoria di inefficacia del decreto ingiuntivo, ha condannato i B. al pagamento di Lire 7.477.760 a titolo di saldo del prezzo dell’appalto e di risarcimento del danno per il recesso anticipato dal secondo contratto di appalto, confermando il rigetto di tutte le domande proposte nei confronti dei due tecnici. La sentenza è stata parzialmente cassata da questa Corte con pronuncia 10860/2007, la quale, in accoglimento del primo e del secondo motivo di ricorso, ha annullato la decisione relativamente alla condanna dei committenti al pagamento del saldo dei lavori e al rigetto della domanda di responsabilità proposta da questi ultimi nei confronti dell’impresa appaltatrice; ha dichiarato assorbito il terzo motivo ed ha respinto il quarto, unitamente all’unico motivo del ricorso incidentale proposto da Br.Fa., confermando i capi di sentenza con cui era stata esclusa la responsabilità di questi e di Mo.Gi..
Ha cassato parzialmente la sentenza di appello ed ha rinviato la causa ad altra sezione della Corte distrettuale di Bologna anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
Riassunto il giudizio sia da Br.Fa. che da M.M.S., Mo.Ni. e Mo.Ro., in qualità di eredi di Mo.Gi., la Corte distrettuale ha dichiarato inammissibili le domande proposte dalle attuali ricorrenti, osservando che, per effetto del rigetto del quarto e quinto motivo di ricorso, i capi di pronuncia relativi alla responsabilità dei tecnici erano passati in giudicato, per cui competeva al giudice di legittimità pronunciarsi sulle spese, le quali, in mancanza, dovevano ritenersi implicitamente compensate.
Il ricorso si sviluppa in un unico motivo, illustrato con memoria. B.G. e B.P. hanno depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo di ricorso si censura la violazione dell’art. 113 c.p.c., comma 1 e art. 385 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza violato la pronuncia di cassazione n. 10860/2007, con cui era stato esplicitamente devoluta alla Corte di Bologna la pronuncia sulle spese di legittimità, non considerando inoltre che la causa era stata riassunta solo dalle ricorrenti e da Br.Fa. in quanto i rapporti tra l’impresa appaltatrice ed i committenti erano stati definiti transattivamente nella pendenza del termine di riassunzione; che, avendo questa Corte rimesso al giudice del rinvio la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità, dette spese non potevano ritenersi compensate; che, infine, doveva tenersi conto che Mo.Gi. era risultato totalmente vittorioso all’esito del giudizio e che quindi le ricorrenti, in qualità di eredi, avevano titolo ad ottenere il rimborso delle spese di lite.
Il motivo è fondato.
Mo.Gi. era stato chiamato in causa a titolo di manleva dall’impresa appaltatrice, nel giudizio di opposizione promosso da G. e B.P. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla predetta appaltatrice per il pagamento del corrispettivo di lavori edili. Era stato, inoltre, convenuto in un autonomo giudizio promosso dai committenti per ottenere il risarcimento dei danni provocati dai difetti delle opere appaltate ai sensi dell’art. 1669 c.c.
Tutte le suddette domande sono state respinte dal Tribunale con pronuncia che la Corte d’appello di Ancona ha confermato con decisione passata in giudicato a seguito del rigetto dei motivi con cui essa era stata censurata, in parte qua, in sede di legittimità.
La causa è stata rimessa al giudice del rinvio anche per la liquidazione delle spese processuali ma, in pendenza del termine ex art. 392 c.p.c., i B. e l’impresa G.- C.- O. hanno transatto la lite per cui la causa è stata riassunta dalle sole ricorrenti, al solo scopo di ottenere l’attribuzione delle spese.
Il giudice del rinvio ha – tuttavia – giudicato inammissibile la riassunzione opinando che, avendo la Corte di legittimità definito la posizione del Mo., avrebbe dovuto essa stessa liquidare le spese, asserendo che i limiti del giudizio di rinvio sono anche quelli che derivano dal giudicato determinato dalla pronuncia di legittimità, potendo il giudice del rinvio pronunciare solo sulle questioni oggetto della pronuncia rescindente.
In tal modo la sentenza, disattendendo il chiaro dictum della sentenza n. 10860/2007, si è posta in diretto contrasto con quanto previsto dall’art. 385 c.p.c., copmma 3 il quale, nel caso di cassazione con rinvio della sentenza impugnata, consente al giudice di legittimità di pronunciare sulle spese o di rimetterne la decisione al giudice del rinvio e ciò con riferimento sia ai capi cassati che a quelli la cui impugnazione di legittimità sia stata respinta, benchè su singoli capi oggetto di impugnazione in cassazione si sia formato il giudicato.
Inoltre, poichè la regolazione delle spese era stata rimessa al giudice del rinvio, non ricorreva alcuna omissione di pronuncia nè una pronuncia implicita di compensazione.
Il ricorso è quindi accolto e la sentenza impugnata è cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna che pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Bologna che pronuncerà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 8 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018
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