Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.23760 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24488-2012 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO e MAURO RICCI, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

I.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ANGELOZZI, che lo rappresenta e difende, giusta mandato in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7553/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/11/2011 r.g. n. 1372/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2018 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli Avvocati CLEMENTINA PULLI e GIOVANNI ANGELOZZI.

FATTI DI CAUSA

1. L’INPS ricorre avverso la sentenza n. 7553, depositata il 2.11.2011, con la quale la Corte d’appello di Roma, in riforma della decisione del giudice di primo grado, accoglieva la domanda di I.V. volta ad ottenere il riconoscimento della prestazione di cui alla L. n. 222 del 1984, art. 1.

2. In particolare, la Corte d’appello, previa valutazione della documentazione prodotta, affermava la sussistenza dei requisiti di legge necessari per il riconoscimento del diritto alla prestazione.

3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorre l’INPS affidandosi a due motivi. I.V. difende con controricorso e memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Istituto ricorrente, denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. n. 222 del 1984, artt. 1 e 4 e dell’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 345,414,416,421 e 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale proceduto alla ricerca della verità processuale attraverso l’acquisizione, tardiva, di documentazione non allegata a sostegno della domanda, nel giudizio di primo grado.

2. Con il secondo motivo viene dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di secondo grado omesso di dare atto e di valutare la sussistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione.

3. I motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto, strettamente connessi.

4. Il quesito posto con il primo motivo consiste nello stabilire se il requisito contributivo per il riconoscimento dell’assegno di invalidità L. n. 222 del 1984, ex art. 4 debba essere allegato e comprovato con il ricorso introduttivo del giudizio o possa essere acquisito successivamente nel corso del giudizio di secondo grado attraverso l’utilizzazione dei poteri istruttori d’ufficio di cui al combinato disposto degli artt. 421 e 437 c.p.c..

5. In merito, la giurisprudenza di questa Corte (Sent. n. 22484/16) ha affermato che: a) gli artt. 421 e 437 c.p.c., attribuiscono al giudice il potere – dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo e quindi oggetto del dibattito processuale; b) l’inciso “in qualsiasi momento”, contenuto nell’art. 421 c.p.c., comma 2 depone nel senso che il potere inquisitorio può essere esercitato prescindendo dalle preclusioni e dalle decadenze già verificatesi; c) i poteri istruttori del giudice non sono segnati dai limiti previsti nel codice civile: tuttavia, essi incontrano un duplice limite, poichè, da una parte, devono essere esercitati nel rispetto del principio della domanda e dell’onere di deduzione in giudizio dei fatti costitutivi, impeditivi o estintivi del diritto controverso e, dall’altra, devono rispettare il divieto di utilizzazione del sapere privato da parte del giudice; d) gli artt. 421 e 437 dispensano la parte dall’onere della formale richiesta della prova, ma richiedono pur sempre che, dall’esposizione dei fatti compiuta dalle parti o dall’assunzione degli altri mezzi di prova, siano dedotti, sia pure implicitamente, quei fatti e quei mezzi di prova idonei a sorreggere le ragioni della parte e a decidere la controversia, e cioè che significative “piste probatorie” emergenti dagli atti di causa, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado.

6. Nel caso che occupa appaiono all’evidenza presenti gli elementi di cui al punto d) che precede, atteso che risulta, circostanza non smentita da parte ricorrente, che il I. ebbe a depositare presso la Cancelleria del giudice di primo grado l’estratto conto assicurativo, una prima volta il 1/4/2008 ed una seconda il 2/12/2008 (pag. 6 del controricorso) e che, comunque, lo stesso, aveva dedotto nella domanda introduttiva, come ammesso, peraltro, da parte ricorrente, il possesso del requisito contributivo; ciò posto, la sussistenza di tali elementi, conduce a valutare infondato il primo motivo di gravame.

7. Parimenti, in riferimento al secondo motivo, giova rilevare che, seppure con motivazione succinta la Corte territoriale ha dato contezza dell’esistenza del requisito contributivo facendo espresso riferimento all’avvenuta produzione ed acquisizione di documentazione utile ad attestare la sussistenza del requisito stesso; inoltre, va considerato che, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006 prevede l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, e si riferisce, quindi, ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, e non può essere assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni che risulterebbero, nell’ipotesi, inammissibili ed irrilevanti (Cass. n. 21152/2014).

8. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con condanna dell’Istituto ricorrente al pagamento delle spese del giudizio liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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