LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2439-2015 proposto da:
R.P., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO PELLICANO’, che li rappresenta e difende, giusta procura in atti;
– ricorrenti –
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO, giusta procura in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2179/2013 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 30/12/2013 r.g. n. 941/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2018 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati ANTONINO PELLICANO’ e CORETTI ANTONIETTA.
FATTI DI CAUSA
1. S.A., + ALTRI OMESSI, impugnano la sentenza n. 2179, depositata il 30.12.2013, con la quale la Corte d’appello di Reggio Calabria confermava la sentenza di primo grado, resa in sede di giudizio di esecuzione, ed avente ad oggetto una precedente declaratoria di accertamento del diritto all’adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola; decisione quella pronunciata nel giudizio di esecuzione che, aveva dichiarato l’inidoneità a costituire titolo esecutivo della sentenza di accertamento del diritto all’adeguamento dell’indennità di disoccupazione agricola, in quanto carente della specificazione sulla misura del “quantum” dell’adeguamento.
2. La Corte territoriale, per quanto qui rileva, dopo aver disposto con ordinanza l’acquisizione di documentazione utile a valutare la liquidità dei crediti oggetto di procedura monitoria, dichiarava inammissibile il gravame, essendosi formato il giudicato per mancata impugnazione del capo della sentenza di primo grado riguardante la liquidità dei crediti azionati in “executivis”.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale ricorrono S.A. e gli altri affidandosi a due motivi. L’INPS difende con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti, denunciano, la violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione al requisito della liquidità del credito accertato e dichiarato nelle sentenze/titolo esecutivo.
2. Con il secondo motivo viene dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione dell’art. 2909 c.c., nonchè l’erronea ed illogica motivazione della statuizione sulla formazione del giudicato sulla parte della sentenza – titolo esecutivo nella quale non risulta specificato il “quantum debeatur”.
3. I motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente in quanto, strettamente connessi.
3. Il primo mezzo di gravame attiene ad aspetti (liquidità del credito) che non sono stati presi in considerazione e non sono, quindi, riconducibili alla “ratio decidendi” ed al “dictum” della sentenza di secondo grado.
4. Infatti, la Corte territoriale ha esaminato i profili attinenti la liquidità dei crediti vantati dai ricorrenti, solo, incidentalmente, in sede di adozione dell’ordinanza istruttoria del 5/11/2013, con la quale veniva disposta l’acquisizione di documentazione utile a valutare, tra l’altro, proprio, la liquidità dei suddetti crediti.
5. Ciò posto, il giudice di secondo grado non è entrato nel merito della valutazione della documentazione acquisita, poichè ha rilevato che, sull’elemento costitutivo della domanda (natura liquida o meno dei crediti azionati dai ricorrenti) si era formato il giudicato, atteso che la relativa statuizione emessa sul punto dal giudice dell’esecuzione non era stata assoggettata a gravame in appello.
6. La pronuncia della Corte di secondo grado appare corretta, e trova conferma nei motivi d’appello sottoposti al suo esame, e concernenti, solo, la violazione del diritto al contraddittorio e l’ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice dell’esecuzione; e quanto ora rappresentato è, ulteriormente, corroborato, come detto, oltre che dal contenuto della sentenza di secondo grado, anche dalla circostanza che tale profilo (inammissibilità del gravame d’appello) non è stato sottoposto a censura in questa sede, posto che parte ricorrente ha contestato, invece, la non corretta applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione alla idoneità della sentenza del giudice dell’esecuzione a costituire pronuncia, la cui natura, consentisse di ritenere formato il giudicato.
7. Di conseguenza, il primo motivo di ricorso è inammissibile sotto il profilo della carenza di interesse, in quanto non scalfisce la base su cui la Corte d’appello ha fondato la declaratoria di inammissibilità del gravame sottoposto al suo esame.
8. Del pari infondato risulta il secondo motivo.
9. La questione sottoposta allo scrutinio del Collegio consiste nello stabilire se, nella fattispecie in disamina, ricorra la preclusione derivante da un giudicato esterno.
10. Va osservato, al riguardo, che ai fini dell’accertamento della preclusione derivante dall’esistenza di un giudicato esterno, è rilevante l’identificazione della statuizione contenuta nella precedente decisione, avuto conto che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa, entro i limiti oggettivi dati dai suoi elementi costitutivi, ovvero della “causa petendi”, intesa come titolo dell’azione proposta e del bene della vita che ne forma l’oggetto (“petitum mediato”), a prescindere dal tipo e dalla natura della sentenza pronunciata (“petitum immediato”).
11. In ragione dei principi suesposti, ritiene il Collegio che, la sentenza n. 1229/2006, emessa in sede di esecuzione dal GL. di Reggio Calabria, si ponga quale giudicato esterno rispetto al gravame d’appello successivo ad essa, in quanto originato da una opposizione all’esecuzione pendente tra le stesse parti ed avente radice nel medesimo titolo esecutivo, a nulla rilevando, quindi, la natura dichiarativa o la liquidità dei crediti azionati con l’esecuzione.
13. Per le considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio liquidate come da dispositivo.
14. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 27 febbraio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018