LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16768/2016 proposto da:
C.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 70, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA PANSINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISPINO IPPOLITO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
ENI S.P.A., P.IVA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CLITUNNO 2, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GREGORIO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 484/2016 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 20/04/2016, R.G.N. 1181/2015;
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
CONSIDERATO
che:
1. con sentenza del 20.4.2016, la Corte di appello di Palermo confermava la decisione del locale Tribunale che aveva respinto, all’esito di c.t.u., l’opposizione avverso l’ordinanza, emessa in fase sommaria il 18.3.2013, di rigetto del ricorso di C.C. inteso alla declaratoria di illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato al predetto dall’ENI s.p.a. il 5.10.2010 per avere, in qualità di addetto operativo in servizio presso il deposito di idrocarburi di *****, causato lo sversamento dal serbatoio n. 12 di ben 95.000 litri di benzina, con grave ed inescusabile violazione delle direttive impartite nella procedura tecnica ambientale HUB.SO/PTA05, per avere dolosamente operato alla valvola di deflusso del serbatoio n. ***** una seconda volta al fine di determinare ulteriore sversamento di prodotto, quando, con il bacino già pieno di benzina a ragione del precedente sversamento, il serbatoio in questione non poteva più contenere acqua ed era evidente il rischio di incendio, per avere dolosamente taciuto la duplice fuoriuscita e per avere lasciato per ore la benzina esposta all’aria con gravissimo rischio di combustione, con conseguente ingente pericolo per l’intero deposito e per la vicina parte della città di Palermo e per avere dolosamente posto in essere atti diretti all’occultamento della benzina sversata provocando il suo deflusso nella rete fognaria del deposito, con conseguente perdita di prodotto e pericolo di danno ambientale;
2. la Corte rilevava che, alla stregua del quadro probatorio acquisito e della perizia tossicologica espletata, doveva ritenersi che il datore avesse fornito la prova di una condotta gravemente lesiva del vincolo fiduciario, legittimante la più grave sanzione disciplinare, non potendo attribuirsi efficacia scriminante al concorso colposo di altri soggetti corresponsabili;
3. di tale decisione domanda la cassazione il C., affidando l’impugnazione ad undici motivi, cui resiste, con controricorso, l’ENI s.p.a.;
4. entrambe le parti hanno depositato memorie ed il P.G. ha concluso con requisitoria scritta depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.
CONSIDERATO
che:
1. preliminarmente, va disattesa l’eccezione di tardività del deposito del ricorso per cassazione, sollevata dall’Eni s.p.a. e tuttavia successivamente abbandonata dalla stessa eccipiente, per essere seguito ritualmente alla notifica del ricorso effettuata il 20.6.2016 il deposito dell’atto notificato in data 11 luglio 2016 (giorno successivo a quello festivo – art. 155 c.p.c., comma 4), nei venti giorni dall’ultima notifica come stabilito dall’art. 369 c.p.c.;
2. con il primo motivo, è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 (principio di immediatezza della contestazione), assumendosi che i diritti di difesa del lavoratore sono stati pregiudicati nel tempo trascorso tra la data dei fatti e quella della contestazione (23.7.2012 – contestazione 18.9.2012) e che la circostanza di avere continuato a svolgere con successo le medesime mansioni e gli stessi drenaggi per due mesi dimostrava che non sussistesse la giusta causa interruttiva del rapporto di lavoro;
3. con il secondo motivo, è denunziato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, rilevandosi che la motivazione della sentenza impugnata non ha preso in considerazione il concreto testo della lettera di contestazione che, per sua stessa ammissione, non era il frutto di un’indagine completa ed approfondita sui fatti, ma solo il frutto delle prime e sommarie indagini;
4. con il terzo, si rileva la nullità della sentenza e la violazione dell’art. 112 c.p.c., sulla asserita mancanza di ogni pronuncia in ordine ai rilievi attinenti alla incompatibilità dei fatti con la natura di benzina del liquido emunto dal serbatoio n. *****, costituendo i fatti la dimostrazione che il liquido fosse acqua ed a conforto della doglianza si richiamano deposizioni di testi che sarebbero contraddittorie o comunque in contrasto con risultanze della c.t.u.;
5. omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti è ascritto alla decisione impugnata con il quarto motivo, sul rilievo dell’acritica riformulazione da parte della sentenza in sede di reclamo delle ragioni della sentenza di primo grado, senza che fossero confutati nella sostanza i motivi di reclamo, in relazione anche alla circostanza dell’incolumità del ricorrente e del teste F. che, in contatto con vapori di benzina, ne avrebbero riportato sicuramente conseguenze alla salute;
6. con il quinto motivo, si lamenta omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione all’ipotesi sostenuta dal C.T.P., in contrasto con la ricostruzione del C.T.U., del fermo della discarica che avrebbe determinato un diverso calcolo del litri d’acqua del tampone presenti nel serbatoio;
7. violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., è dedotta con il sesto motivo, assumendosi che, anche con riguardo alla vicinanza della prova da parte dell’ENI, la stessa non aveva assolto agli oneri ad essa incombenti, avendo fornito prove concernenti un periodo successivo alla presenza in loco del C. e dello Spina, che avevano effettuato i due drenaggi, con possibilità che la situazione valorizzata potesse essere frutto di manipolazioni avvenute ad opera di terze persone;
8. con il settimo motivo, sono dedotte nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale omesso l’esame del quinto motivo di reclamo;
9. omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti in relazione agli stessi argomenti indicati nel precedente motivo è il vizio prospettato nell’ottavo motivo;
10. si denunzia col nono motivo la nullità della sentenza per avere omesso la Corte del merito l’esame del sesto motivo di reclamo;
11. nullità della sentenza e violazione dell’art. 416 c.p.c., nonchè del principio del contraddittorio sono dedotte nel decimo motivo, in relazione alle dichiarazioni di M.R., in quanto rese al di fuori del contraddittorio;
12. con l’undicesimo motivo ci si duole infine della violazione dell’art. 91 c.p.c., contestandosi la condanna del ricorrente alle spese del giudizio, laddove il giudice del reclamo avrebbe dovuto accogliere le pretese del reclamante;
13. per disattendere il primo motivo è sufficiente richiamare la pronuncia recentemente resa dalle S.U. di questa Corte, del 27.12.2017 n. 30985, che, con riguardo alla questione dibattuta ha affermato che, sebbene la mancanza di tempestività della contestazione disciplinare può indurre a ritenere, fino a quando la stessa non venga eseguita, che il datore di lavoro voglia soprassedere al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore, il requisito della tempestività va inteso in senso relativo, come costantemente ritenuto da consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le altre, Cass. 25.1.2016 n. 1248, Cass. 12.1.2016 n. 281, Cass. 19.6.2014 n. 13955), potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richiedano uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo;
14. nel caso considerato è indubitabile che si ricadesse nell’ipotesi da ultimo descritta, attesa la difficoltà di accertamento dei fatti e la complessità della struttura organizzativa;
15. con riferimento al secondo motivo, proprio l’assunto del ricorrente, relativo all’essere la contestazione il frutto di iniziali indagini e non di un definitivo accertamento dei fatti è di conforto alla ritenuta tempestività della contestazione, effettuata senza attendere un definitivo accertamento completato da indagini tecniche; va anche e prima ancora osservato che la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è precluso in relazione a sentenze di merito che configurino l’ipotesi di “doppia conforme”, come si è verificato nella specie in rapporto alla specifica questione dibattuta ed al deposito del reclamo ben oltre il mese di settembre 2012 (D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012 n. 134).
16. quanto al terzo motivo, non è configurabile alcuna omissione di pronuncia in relazione a deduzioni non consacrate in uno specifico motivo, che non viene neanche puntualmente riprodotto nel presente ricorso, e comunque il riferimento alle deposizioni richiamate nel corpo dello stesso motivo non assume alcuna rilevanza rispetto al motivo così come formulato, che sollecita piuttosto una rivisitazione del merito non consentita nella presente sede di legittimità;
17. vale anche per il quarto motivo quanto considerato in ordine al divieto di deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per l’ipotesi di “doppia conforme” e, comunque, deve porsi richiamo al principio espresso da questa Corte secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che denunci, quale vizio di motivazione, l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà fattuale, poichè è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come l’unica possibile (cfr. Cass. 23.12.2015 n. 25927);.
18. le censure formulate con il quinto e sesto motivo si traducono in una mera diversa lettura delle risultanze istruttorie sollecitata dal ricorrente, e la violazione dell’art. 2697 c.c., sull’inversione degli oneri probatori è mal prospettata poichè, in realtà, nella specie, la violazione della norme denunciata è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nella richiesta di un nuovo apprezzamento nel merito del materiale probatorio, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione;
19. quanto al settimo motivo, deve rilevarsi, a confutazione del medesimo, che il motivo di reclamo – sul quale si appunta il rilievo di adesione apodittica del giudice del reclamo alle conclusioni del Ctu pur essendone stata richiesta una valutazione che avesse riguardo alle contestazioni alle stesse sollevate – non è riprodotto nel corpo del presente ricorso ed inoltre, poichè non è trascritto neanche il contenuto delle contestazioni, può essere richiamata Cass. 12.2.2013, secondo cui nel giudizio d’appello rimangono estranee al dibattito processuale le considerazioni critiche, mosse dalla parte al consulente tecnico d’ufficio sulla base delle osservazioni del proprio consulente, che non siano state trasfuse in specifici motivi di impugnazione della sentenza, formulati nel rispetto delle prescrizioni stabilite dall’art. 342 c.p.c., dovendosi le argomentazioni critiche dell’appellante contrapporre non alla relazione di perizia espletata in primo grado, ma al fondamento logico-giuridico della decisione impugnata;
20. in ordine all’ottavo motivo, vale la preclusione della doppia conforme e comunque la sua prospettazione è incompatibile con il vizio come dedotto nel motivo precedente; non si riportano, poi, le critiche del CTP mosse alle conclusioni del consulente d’ufficio, sicchè non può applicarsi il principio secondo cui è affetta da vizio di motivazione la sentenza con la quale il giudice di merito, a fronte di precise e circostanziate critiche mosse dal consulente tecnico di parte alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, non le abbia in alcun modo prese in considerazione e si sia invece limitato a far proprie le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, non essendo esonerato dall’obbligo di spiegare le ragioni per le quali sia addivenuto ad una conclusione anzichè ad un’altra (cfr. Cass. 1.3.2007 n. 4797, Cass. 24.4.2008 n. 10688, Cass. 2.12.2011 n. 25863, Cass. 21.11.2016 n. 23637);
21. il nono motivo è formulato in maniera inammissibile perchè si trascrivono i capi di prova asseritamente non ammessi ma non il motivo che contiene le censure che avrebbero dovuto dare sostegno alla richiesta di ammissione delle prove, che, peraltro, non si indicano neanche come già dedotte in primo grado, salva l’esistenza di sviluppi processuali o l’esistenza di motivi idonei a consentirne l’ istanza nel giudizio di reclamo;
22. il decimo motivo è ugualmente inammissibile per mancanza di specificità, in quanto non si spiega e, prima ancora, non si adduce la decisività delle suddette dichiarazioni nel contesto probatorio complessivo valutato dal giudice del merito;
23. coerente con il rigetto del reclamo è poi la regolamentazione delle spese, con accollo delle stesse al ricorrente che è risultato soccombente anche in tale giudizio di legittimità, sicchè il relativo capo della decisione, oltre ad essere immune dalle critiche avanzate, neanche quale riflesso di un accoglimento del ricorso nel presente giudizio può essere passibile di una modifica riferita ad una diversa statuizione sulle spese;
24. alla luce delle svolte considerazioni, il ricorso va complessivamente respinto;
25. le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo;
26. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 1ottobre 2018
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