Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.23777 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1211-2014 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DI SANT’ANDREA DELLA VALLE 6, presso lo studio dell’avvocato STEFANO D’ERCOLE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICOLA PALOMBI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– GI GROUP S.P.A. (già WORKNET S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY 5, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO SICILIANO, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CINZIA CONTI, MICHELE MARDEGAN, giusta delega in atti;

– P.A.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato ENRICO LUBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA CONTE, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 869/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/07/2013 r.g.n. 550/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELLA MARCHESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA MARCELLO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato NICOLA PALOMBI;

udito l’Avvocato ANDREA CONTE.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza nr. 896 del 2013, la Corte di appello di Firenze rigettava il gravame proposto nei confronti della sentenza non definitiva del locale Tribunale (nr. 128 del 2010) che, accertata un’ipotesi di somministrazione irregolare, aveva dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato tra P.S.A. e Telecom Italia S.p.A.; accoglieva, invece, parzialmente l’appello avverso la pronuncia definitiva del medesimo Tribunale (nr. 365 del 2012) che, oltre a condannare Telecom al pagamento dell’indennità ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32 in misura pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, le riconosceva un inquadramento superiore e poneva la relativa retribuzione a base di calcolo della indicata condanna.

2. Per l’unica questione che in questa sede ancora residua, la Corte territoriale osservava che le mansioni svolte dalla P. erano riconducibili al quinto livello del CCNL di settore; nei compiti alla stessa assegnati, infatti, si coglievano i tratti caratteristici dell’operatore specialista “customer care” (id est colui che lavora in autonomia significativa utilizzando procedure non standardizzate bensì personalizzate rispetto al singolo cliente appartenente alla cosiddetta fascia alta adoperando sistemi complessi); era, infatti, emerso che la lavoratrice si occupava del settore di clienti di fascia alta, gestendo in autonomia i servizi assegnati, con capacità di determinarsi sulla tipologia di attività da svolgere, quindi di individuare le relative priorità adoperando sistemi complessi e svolgendo attività anche di back office.

La Corte distrettuale giudicava del tutto irrilevante il fatto che la contrattazione collettiva prevedesse l’inquadramento nel quinto livello del personale che avesse già maturato esperienza specifica; ciò in quanto la previsione collettiva disciplinava l’ipotesi di regolare sviluppo di carriera del personale dipendente mentre, nella fattispecie, rilevava esclusivamente la posizione professionale che, in concreto, la lavoratrice aveva assunto in azienda.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Telecom Italia spa affidato ad un unico ed articolato motivo cui hanno resistito P.S.A. e Gi Group spa, ciascuna con controricorso.

4. Telecom Italia S.p.A. e P.S. hanno depositato memoria ex art. 378 bis cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico ed articolato motivo è dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,2103 e 2697 cod. civ..

Parte ricorrente assume che la Corte di appello avrebbe errato nel riconoscere alla lavoratrice il superiore profilo professionale, non considerando che la lavoratrice era collocata nell’ambito della struttura “*****” affiancata da altri colleghi più anziani, con la supervisione di un Business Manager, svolgendo attività operative di base; le attività più complesse erano sempre coadiuvate dall’intervento del Responsabile o del “Business Manager”; deduce, dunque, l’assenza degli elementi che caratterizzano la declaratoria generale del 5^ livello quali l’elevata conoscenza specialistica del settore, l’autonomia e decisionalità, il potere di coordinamento e controllo delle risorse assegnate; critica, infine, la statuizione, per porsi in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che escludono meccanismi automatici di progressione fondati sul solo decorso del tempo e richiedono i presupposti della permanenza minima nel livello inferiore e della previa valutazione dell’Azienda.

2. Il motivo presenta profili di inammissibilità e di infondatezza.

3. Le doglianze, ancorchè proposte in termini di violazione di legge, si sostanziano, almeno per ciò che riguarda i profili sviluppati nei paragrafi nr. 1.1) – 1.2) – 1.3), nella critica della ricostruzione fattuale operata dalla Corte territoriale, censurandosi la valutazione del materiale probatorio; in parte qua, dunque, le censure configurano vizi di motivazione. Tuttavia, seppure diversamente qualificate, non indicano, nei termini rigorosi richiesti dal vigente testo del predetto art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile alla fattispecie), il “fatto storico”, non esaminato, che abbia costituito oggetto di discussione e che abbia carattere decisivo (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053), sicchè si arrestano al rilievo di inammissibilità.

4. E’, invece, infondato il profilo di censura sviluppato nel quarto paragrafo del motivo e consistente nella denuncia di un erroneo giudizio di sussunzione del fatto (mansioni accertate come assegnate alla lavoratrice) nella ipotesi normativa (5^ livello del CCNL Telecomunicazioni 2005).

Il procedimento logico seguito dalla Corte di appello per la determinazione dell’inquadramento spettante alla lavoratore risulta conforme agli insegnamenti di questa Corte che, con giurisprudenza consolidata, chiarisce come il giudice del merito, a questi fini, debba dapprima identificare le qualifiche o categorie, interpretando le disposizioni collettive secondo i criteri di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., quindi accertare le mansioni di fatto esercitate, ed, in ultimo, confrontare le categorie o qualifiche così identificate con le mansioni svolte in concreto (così ex plurimis, Cass. nr. 8589 del 2015; Cass. nr. 20272 del 2010; Cass. nr. 2174 del 1999). A tale riguardo, è stato anche osservato che il rispetto del c.d. criterio “trifasico” nel giudizio relativo all’attribuzione di un inquadramento superiore a quello già posseduto dal lavoratore, non prevede che il giudice di merito debba attenersi pedissequamente alla ripetizione di una rigida e formalizzata sequenza delle azioni fissate dallo schema procedimentale, ove risulti che ciascuno dei momenti di accertamento, di ricognizione e di valutazione abbia trovato concreto ingresso nel ragionamento decisorio, concorrendo a stabilirne le conclusioni (Cass. nr. 18943 del 2016).

Nel caso concreto, la valutazione compiuta dal giudice di secondo grado si sottrae alle censure che le sono state mosse, atteso che la Corte distrettuale ha valutato compiutamente il contenuto professionale delle mansioni in concreto assegnate alla dipendente e colto, nelle stesse, i tratti qualificanti il superiore livello (id est quello dei lavoratori che “(…) svolgono funzioni per l’espletamento delle quali è richiesta adeguata autonomia e decisionalità nei limiti dei principi, norme e procedure (…) esercitate attraverso (….) ovvero mediante lo svolgimento di compiti specialistici di elevata tecnicalità”), in particolare, evidenziando, quanto all’autonomia e decisionalità, la capacità della lavoratrice di utilizzare “procedure non standardizzate bensì personalizzate rispetto al singolo cliente” e, quanto alla elevata tecnicalità, l’utilizzo di “sistemi complessi”.

5. I profili articolati nell’ultimo paragrafo del motivo relativi alla violazione della clausole del contratto collettivo di categoria e delle norme del codice civile di ermeneutica contrattuale sono inammissibili per difetto di specificità.

Quando sia denunziata in ricorso la violazione di norme del contratto collettivo la deduzione della violazione deve essere accompagnata dalla trascrizione integrale delle clausole, al fine di consentire alla Corte di individuare la ricorrenza della violazione denunziata (cfr. Cass. nr. 25728 del 2013; Cass. nr. 2560 del 2007; Cass. nr. 24461 del 2005) nonchè dal deposito integrale della copia del contratto collettivo (Cass., sez. un., nr. 20075 del 2009) o dalla indicazione della sede processuale in cui detto testo è rinvenibile (CASS, sez. un., nr. 25038 del 2013).

Nella fattispecie di causa le clausole del contratto collettivo di cui si denunzia la violazione sono riportate solo per sintesi del contenuto sicchè non è consentito alla Corte alcun esame del loro effettivo ed integrale tenore testuale.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida, in favore di ciascuna controricorrente, in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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