LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4454/2014 proposto da:
RE.MA. DI M.M. & C. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL MASCHERINO 72, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA PETRILLI, rappresentato e difeso dall’avvocato COSTANTINO GULLI’, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
G.F.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 691/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 14/08/2013, R.G.N. 824/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/05/2018 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 14.8.2013, la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza dl Tribunale di Ascoli Piceno, che aveva respinto l’opposizione proposta dalla società avverso il precetto notificato da G.F. alla società Re.Ma. di M. M & c. a r.l. in data 17.5.2010, dichiarava inefficace quest’ultimo “limitatamente agli importi eccedenti le spese legali ed i relativi interessi legali dal deposito della sentenza e della notificazione del precetto, la somma capitale di Euro 42.594,97 e la rivalutazione secondo gli indici ISTAT del costo della vita per le famiglie dei lavoratori dipendenti e gli interessi da calcolarsi al saggio legale sulle somme annualmente rivalutate, con decorrenza dalla maturazione dei singoli ratei”, dichiarando cessata per il resto la materia del contendere e compensando tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
2. Rilevava la Corte che era infondata la doglianza volta a contestare la riconosciuta natura di titolo esecutivo della sentenza di cui il precetto minacciava l’esecuzione, atteso che la motivazione della decisione indicava esattamente la misura della retribuzione globale di fatto alla quale doveva parametrarsi il risarcimento dovuto per il licenziamento dichiarato illegittimo con riferimento ai limiti anche temporali entro cui andava effettuato il calcolo delle mensilità spettanti, cosicchè la determinazione degli importi esigibili era da ritenere “liquida”, essendone consentita la determinazione in base ad elementi desunti dal titolo in forza di mera operazione aritmetica.
3. Riteneva, invece, di accogliere la doglianza con la quale si rilevava che l’opposizione era stata rigettata pur avendo il creditore dato atto che la contestazione degli importi per capitale era fondata e dichiarato di recepire il minore importo risultante dalla rielaborazione corretta del calcolo compiuta dal debitore opponente.
4. In relazione alla parziale rinuncia al precetto, doveva, poi, ritenersi parzialmente cessata la materia del contendere, con riflessi sulla regolamentazione delle spese in termini di parziale soccombenza virtuale.
5. Fondata era ritenuta anche la contestazione relativa al calcolo degli accessori in rapporto alla loro decorrenza, da ancorarsi alla data di maturazione dei singoli ratei e non alla data di maturazione della prima mensilità.
6. Di tale decisione domanda la cassazione la società, affidando l’impugnazione a due motivi. Il G. è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, è dedotta violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè del n. 3 della stessa norma, con riferimento all’art. 113 c.p.c. e art. 111 Cost., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, assumendosi che la motivazione della Corte anconetana si risolva in una mera petizione di principio che non consente alla parte di ricostruire l’iter logico giuridico posto a fondamento della decisione, limitatasi a richiamare la correttezza di quella di primo grado in ordine alla liquidità degli importi esigibili.
2. Con il secondo motivo, si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c., nonchè degli artt. 112 e 113 c.p.c., con riferimento alla mancata indicazione del numero complessivo delle mensilità cui ancorare il calcolo del risarcimento.
3. Il primo motivo è inammissibile nei termini in cui è formulato.
4. E’ stato reiteratamente affermato da questa Corte che “la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata “per relationem” ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purchè il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame” (cfr. Cass. 19.7.2016, n. 14786, Cass. 23.9.2016 n. 18754).
3. Peraltro, in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fineritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali (cfr., da ultimo, Cass., s. u., 20.3.2017 n. 7074).
4. Nella specie non può affermarsi che la sentenza impugnata non abbia reso agevole il controllo di cui al punto 2, laddove, invece, emerge, per come risulta articolata la censura, la carenza relativa agli elementi indicati al punto 3, sicchè il motivo deve ritenersi inammissibile.
5. Peraltro, quanto al secondo motivo, la parte ricorrente non ha neanche trascritto il dispositivo della sentenza 337/10, costituente il titolo esecutivo, per consentire a questa Corte di verificare se i dati potessero essere tratti dal contenuto del titolo medesimo e non da elementi esterni (cfr., tra le tante, Cass. 5.2.1011 n. 2816, Cass. 31.5.2013 n. 13811, Cass. i.10.2015 n. 19641, Cass. 21.12.2016 n. 265619) ed in ogni caso la censura è inammissibile anche laddove rileva la mancanza di limiti temporali della condanna, essendo evidente che non poteva che aversi riguardo a tutte le mensilità dovute dal licenziamento alla reintegra, così come disponeva la norma in tema di recesso datoriale ratione temporis applicabile.
6. Alle stregua di tali considerazioni, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
7. Nulla va statuito sulle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Ciaccia svolto attività difensiva;
8. Sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
PQM
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato D.P.R..
Così deciso in Roma, il 24 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018