Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23793 del 01/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21940/2016 proposto da:

IL RIFUGIO DEL PRINCIPE SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA 5, presso lo studio dell’avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI QUERCIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 495/13/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 29/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. MAURO MOCCI.

RILEVATO

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., Delib. di procedere con motivazione semplificata;

che Il Rifugio del Principe s.r.l. in liquidazione propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Bari. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto l’impugnazione della società avverso un avviso di accertamento IRES, per l’anno 2006.

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, col primo, la contribuente invoca violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 153 e 180 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, L. n. 890 del 1982, art. 4, comma 3 e art. 5, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3: la CTR, dopo aver rilevato la mancata costituzione dell’appellata e l’omessa tempestiva produzione delle ricevute di ritorno della notifica a mezzo posta dell’appello, avrebbe dovuto immediatamente dichiarare l’inammissibilità del gravame;

che, col secondo, la ricorrente assume violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e art. 115 c.p.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3: i giudici di appello avrebbero statuito sulla scorta di eccezioni nuove, introdotte ex adverso in sede di appello, mentre avrebbero dovuto considerare che gli elementi portati dalla società rappresentavano altrettante circostanze pacifiche, perchè non contestate;

che l’Agenzia si è costituita con controricorso;

che il primo motivo è fondato;

che nel processo tributario, allorchè l’atto di appello sia notificato a mezzo del servizio postale (vuoi per il tramite di ufficiale giudiziario, vuoi direttamente dalla parte ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16) e l’appellato non si sia costituito, l’appellante ha l’onere – a pena di inammissibilità del gravame – di produrre in giudizio, prima della discussione, l’avviso di ricevimento attestante l’avvenuta notifica, od in alternativa di chiedere di essere rimesso in termini, ex art. 184- bis c.p.c., per produrre il suddetto avviso e di essersi attivato per tempo nel richiedere un duplicato all’amministrazione postale, previa dimostrazione di averlo incolpevolmente perduto (Sez. 5, n. 9769 del 14/04/2008; analogamente, Sez. 5, n. 19623 del 01/10/2015); che, nella specie, dalla lettura del verbale di secondo grado, emerge come il Collegio avesse rilevato la carenza in atti della ricevuta di notifica del gravame e come il rappresentante dell’Ufficio si fosse limitato a chiedere sic et simpliciter un rinvio per il deposito dell’originale, senza alcuna formale istanza di rimessione in termini e senza addurre alcuna giustificazione, sicchè la concessione dell’invocato termine da parte della CTR è avvenuta in violazione dell’intervenuto giudicato;

che il secondo motivo resta assorbito;

che la sentenza impugnata va dunque cassata, con la coeva declaratoria di inammissibilità dell’appello;

che le spese del giudizio di secondo grado devono essere interamente compensate fra le parti, mentre quelle di cassazione vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e dichiara l’inammissibilità dell’appello.

Compensa le spese del giudizio di secondo grado e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore della ricorrente, in Euro 2.000, oltre spese forfettarie in misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2018

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