LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 17115/2016 proposto da:
D.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Gianluca Vitale giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Prefetto di Torino;
– intimato –
avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE di TORINO, depositata il 26/3/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 5/7/2018 dal cons. PAZZI ALBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. Con ordinanza depositata in data 26 marzo 2016 il Giudice di Pace di Torino respingeva l’opposizione proposta da D.M. avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto della stessa città il 20 febbraio 2016 a seguito del rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per motivi familiari in precedenza presentata dallo stesso D..
In particolare il Giudice di Pace osservava, in merito alle ragioni familiari allegate dal ricorrente, che non ricorrevano le condizioni previste dal D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 28 e 29 per il riconoscimento del diritto a mantenere l’unità familiare nè era consentita alcuna deroga alle modalità di presentazione della relativa istanza regolata dal D.P.R. n. 394 del 1999, art. 9, aggiungendo poi che l’assenza dei presupposti previsti dall’art. 36 T.U., a mente del quale il permesso di soggiorno per cure mediche può essere rilasciato solo a seguito dell’emissione di uno specifico visto di ingresso a tal fine, impediva di valorizzare in alcun modo le condizioni fisiche il cui versava il D..
2. Ha proposto ricorso per cassazione avverso questa pronuncia D.M. al fine di far valere due motivi di impugnazione. L’amministrazione intimata non ha svolto alcuna difesa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 29,30 e 31 Cost., art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6, e art. 13, comma 2-bis, 5 e 6, par. 4, direttiva 2008/115/CE: il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto che il diritto all’unità familiare potesse trovare attuazione e tutela unicamente nell’ambito della procedura di rilascio del visto per ricongiungimento familiare e del permesso per analoghi motivi; al contrario il diritto al riconoscimento dei diritti fondamentali anche nelle formazioni sociali tutelato dall’art. 2 Cost. e il diritto al rispetto della vita privata e familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, da intendersi anche come diritto a non essere separato dal contesto familiare e sociale in cui un individuo è sempre vissuto, impedivano di ritenere, ove non vi fosse necessità di tutelare altri diritti di valore quanto meno analogo, che potesse essere disposto l’allontanamento dello straniero che da tempo soggiornasse in Italia e che qui avesse il sistema delle proprie relazioni familiari e sociali, in assenza di alcuna minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
Il Giudice dell’opposizione, atteso che nel negare il permesso di soggiorno per motivi familiari o nel decretare l’espulsione dello straniero che abbia esercitato il diritto all’unità familiare è necessario tenere conto, ai sensi degli artt. 5, comma 5 (norma da intendersi applicabile, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013, non solo allo straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, ma anche a chi abbia legami familiari nello Stato italiano), e D.Lgs. n. 5 del 2007, art. 13, comma 2-bis, della durata e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno sul territorio nazionale e dell’esistenza di legami con il paese d’origine, avrebbe quindi dovuto procedere a una valutazione della situazione personale del D., che vive dal 1991 in Italia, dove abitano stabilmente la convivente, i due figli e i quattro nipoti.
4.2 Il motivo è fondato.
La giurisprudenza di questa Corte (Cass. 22/7/2015 n. 15362), alla quale il collegio intende dare continuità, ha già avuto modo di chiarire che: i) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, dando attuazione a uno dei principi cardine della Direttiva 2003/86/CE, ha introdotto un rilevante temperamento nell’applicazione automatica delle cause espulsive previste dall’art. 13, comma 2, lett. a) e b), imponendo di tenere conto, nei confronti dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, sia per l’ipotesi dell’ingresso irregolare che per quella della mancanza del permesso di soggiorno originaria o sopravvenuta, anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno nonchè dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il paese di origine; ii) il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, recepisce un sedimentato orientamento giurisprudenziale della Corte Europea dei diritti umani secondo la quale non può aversi interferenza di un’autorità pubblica nell’esercizio del diritto alla vita privata e familiare a meno che questa ingerenza non sia prevista dalla legge e costituisca una misura necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, la prevenzione dei reati e la protezione della salute e della morale; iii) esiste un immanente generale obbligo, introdotto dalla Direttiva 2008/115/CE (attuata con il D.L. n. 89 del 2011 convertito con I. 129/2011), di valutare caso per caso, come è stato espressamente indicato nell’incipit dell’art. 13, comma 2, citato, l’esistenza delle condizioni per l’adozione della misura espulsiva, senza procedere mediante l’applicazione automatica e standardizzata dei parametri normativi; iv) la decisione relativa al rimpatrio secondo i principi stabiliti dalla Direttiva appena citata non può essere assunta sulla base della “semplice considerazione del soggiorno irregolare” ma deve fondarsi su “criteri obiettivi” e “caso per caso” (sesto Considerando della Direttiva 2008/115/CE), dovendo procedersi a un’attenta valutazione della situazione personale al fine di tenere nella debita considerazione la vita familiare, le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato e il rispetto del principio di non-refoulement; v) in sede di adozione della misura espulsiva e della sua esecuzione l’organo pubblico cui è demandata la decisione amministrativa e/o giurisdizionale deve operare – alla stregua del principio di proporzionalità tra il sacrificio del diritto individuale e la salvaguardia dell’ordine pubblico statuale – un corretto bilanciamento tra il diritto dello Stato membro alla conservazione di un regime di sicurezza e di controllo del fenomeno migratorio e il nucleo dei diritti della persona connessi all’applicazione del principio di non refoulement, ai divieti di cui all’art. 3 CEDU e al diritto alla salute e alla vita familiare; vi) la sentenza della Corte Costituzionale n. 202/2013, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale parziale del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 5, nella parte in cui non prevede che la valutazione in concreto della pericolosità sociale da eseguire in sede di rilascio, revoca o rinnovo del permesso di soggiorno possa essere svolta tanto nei confronti dello straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o del familiare ricongiunto quanto nei confronti di chi abbia legami familiari nel territorio dello Stato, ha chiarito che anche in quest’ultima ipotesi deve tenersi conto della durata del soggiorno e del quadro dei legami non solo familiari ma anche sociali, prospettando espressamente l’adozione dell’interpretazione della giurisprudenza EDU relativa all’art. 8 come parametro interposto di costituzionalità della norma impugnata.
I principi in precedenza illustrati comportano da un lato l’estensione dell’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, alla valutazione anche della posizione del cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro paese ancorchè questi non si trovi nelle condizioni di richiedere formalmente il ricongiungimento familiare, secondo un ampliamento del diritto all’unità familiare formatosi in sede di giurisprudenza EDU sull’art. 8, dall’altro l’integrale equiparazione, nell’esame della situazione soggettiva del cittadino straniero, fra vita privata e vita familiare, in conformità al paradigma interpretativo dell’art. 8 Convenzione EDU che non prevede gradazioni o gerarchie tra le due estrinsecazioni del diritto fondamentale contenuto nella norma.
Nel caso di specie il titolo espulsivo è costituito dal mero mancato possesso di un valido ed efficace permesso di soggiorno, secondo il disposto dell’art. 13, comma 2, lett. a) e b), T.U.I..
Il provvedimento impugnato ha però del tutto omesso di esaminare l’esistenza di un legame familiare dell’interessato, verificando la presenza di un nucleo radicatosi in Italia e sviluppatosi esclusivamente nel nostro paese, la durata del suo soggiorno e la sussistenza di un rapporto con il paese d’origine, rimanendo così integrato il vizio di motivazione denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Oltre a ciò il giudice del merito non ha operato alcun bilanciamento tra il diritto dell’autorità statuale alla conservazione di un regime di sicurezza e di controllo del fenomeno migratorio ed il diritto del ricorrente alla vita privata e familiare, mancando di eseguire quella valutazione caso per caso direttamente imposta dall’art. 13, da interpretarsi alla luce del divieto di automatismo valutativo imposto sia dalla Direttiva 2008/115/CE, sia dal quadro della tutela del diritto affermato nell’art. 8 CEDU come riconosciuto dalla Corte di Strasburgo.
5.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e art. 35,comma 3, e degli artt. 2 e 32 Cost. in relazione alle condizioni di salute del ricorrente: il Giudice di Pace avrebbe erroneamente evitato di dare rilievo alle condizioni di salute del D. in ragione del mero mancato esperimento della procedura di ingresso per cure mediche senza considerare che l’espulsione violava il diritto alla salute tutelato dalle norme costituzionali e internazionali e costituiva un trattamento inumano e degradante.
5.2 Anche sotto questo profilo il ricorso è fondato.
In vero secondo la giurisprudenza di questa Corte la garanzia del diritto fondamentale alla salute del cittadino straniero che comunque si trovi nel territorio nazionale impedisce l’espulsione nei confronti di chi potrebbe subire dall’immediata esecuzione del provvedimento un irreparabile pregiudizio, dovendo tale garanzia comprendere non solo le prestazioni di pronto soccorso e di medicina d’urgenza, ma anche tutte le altre prestazioni essenziali per la vita (Cass., Sez. U., 10/6/2013, n. 14500, Cass. 27/6/2016 Cass. n. 13252).
Ciò nonostante il provvedimento impugnato si è limitato a fare ricorso a un erroneo automatismo che escluderebbe la rilevanza delle condizioni di salute in mancanza dell’esperimento della procedura di ingresso prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 36 e ha totalmente omesso ogni valutazione della peculiare situazione sanitaria in cui versava il D., senza indagare se questi avrebbe potuto subire un pregiudizio alla sua salute di carattere irreparabile in conseguenza della espulsione.
6. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, con rinvio a un diverso magistrato dell’ufficio del Giudice di Pace di Torino, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese di questo grado di giudizio.
PQM
La Corte accoglie i motivi di ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Giudice di Pace di Torino in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2018