LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3356-2016 proposto da:
PROVINCIA REGIONALE MESSINA (OGGI CITTA’ METROPOLITANA DI MESSINA) *****, in persona del Commissario Straordinario-legale rappresentante pro tempore Dott. R.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FULCIERI PAOLUCCI DE CALBOLI 1, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FUSCO, rappresentata e difesa dagli avvocati FABIO SFRAVARA, GAETANO CALLIPO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
B.M.T. *****, C.N. *****, B.L. *****, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA SERRADIFALCO 7, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO FAVA, rappresentate e difese dall’avvocato NUNZIO GIANNETTO giusta procura in calce al controricorso;
G.C., GI.CL., elettivamente domiciliate in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 229, presso lo studio dell’avvocato UGO DI PIETRO che le rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 424/2015 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 02/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 28/05/2018 dal Consigliere Dr. CIGNA MARIO;
FATTI DI CAUSA
Con citazione 23-9-2009 B.A. e C.A., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulle figlie minori B.L. e B.M., convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto la Provincia Regionale di Messina (proprietaria della strada) e G.A. (titolare dell’omonima ditta individuale alla quale era stato dato in appalto il lavoro di costruzione di un muro di protezione e l’apposizione di barriere protettive), per sentirli condannare in solido, previa affermazione di loro concorrente responsabilità, al risarcimento dei danni patiti a seguito del decesso della congiunta B.D. (rispettivamente figlia e sorella) avvenuto in seguito ad incidente stradale verificatosi il ***** in *****, via *****, allorquando la stessa, mentre viaggiava alla guida di un ciclomotore, superata una curva, era andata a finire, dopo un volo di parecchi metri, in un burrone, dove in seguito era stata ritrovata priva di vita.
I convenuti, costituitisi, contestarono l’an ed il quantum debeatur.
Nel corso del giudizio si costituirono in proprio, per avere raggiunto la maggiore età, B.L. e B.M. nonchè, dopo il decesso di B.A., quest’ultime e C.A., quali sue eredi.
Al termine dell’espletata Istruttoria, l’adito Tribunale, con sentenza 28-5-2009, rigettò la domanda, ritenendo che la causa dell’incidente era da ascriversi esclusivamente all’imperizia della giovane che, in assenza di una situazione di pericolo occulto, era volata sopra il muretto, scavalcandolo a causa di una non perfetta padronanza del mezzo nonchè della velocità, non consona allo stato dei luoghi, e della carenza di battistrada sulla ruota posteriore.
Con sentenza 18-6/2-7-2015 la Corte d’Appello di Messina, in riforma dell’impugnata sentenza, ha dichiarato che il predetto sinistro si era verificato per fatto e colpa ascrivibile per il 40% alla Provincia Regionale di Messina e per il 60% alla stessa vittima B.D. e, per l’effetto, ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata nei confronti del G. ed ha condannato la Provincia al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di Euro 149.333,33 in favore della C. (in proprio e nella sua qualità) e della somma di Euro 85.333,33 per ciascuna in favore di B.L. e B.M.T. (in proprio e nella toro qualità), oltre rivalutazione ed interessi, regolamentando anche le spese di lite.
In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte, considerato rientrante nel potere ufficioso del Giudice qualificare giuridicamente la domanda nonchè indicare la norma applicabile in base ai fatti dedotti dalle parti e ribadito che la responsabilità da cosa in custodia poteva essere configurata anche nei confronti della P.A., ha innanzitutto ritenuto corretto l’avvenuto esame del caso in questione, da parte dei Tribunale, alla luce dell’art. 2051 c.c.; ciò posto, ha poi escluso ogni responsabilità della ditta appaltatrice G.A. (in quanto il sito dei lavori era distinto ed estraneo rispetto a quello de sinistro), mentre ha ritenuto sussistenti elementi di colpa sia a carico della Provincia sia (in misura preponderante: 60%) a carico della stessa danneggiata B.D.; nello specifico, a carico della Provincia in quanto la stessa, pur consapevole del precario stato della strada e della pericolosità del tratto in questione (se non altro per la presenza di un burrone che avrebbe richiesto l’approntamento di idonee barriere mentre quelle esistenti erano basse ed inclinate ed in alcuni punti mancanti), ciò nonostante non aveva tempestivamente installato adeguati guardrail (omissione non scriminata dall’invocato potere discrezionale della P.A., che comunque deve attenersi al principio del neminem laedere); a carico della danneggiata in quanto, viaggiando ad una velocità di circa Kmh 30, aveva dimostrato di non avere padronanza del ciclomotore (non suo, e di cui aveva avuto una occasionale disponibilità), non arrestandone la marcia, o non controllandolo nella direzione di mantenimento della destra, ed arrivando sino al margine della corsia opposta con una velocità tale da fuoriuscire e continuare nel precipizio sino ad oltre dieci metri.
Avverso detta sentenza la Provincia Regionale di Messina (oggi Città Metropolitana di Messina) propone ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi.
B.L. e B.M.T. e C.A., in proprio e quali eredi di B.A. e B.D., resistono con controricorso e successiva memoria.
G.C. e Gi.Cl., quali eredi del defunto G.A., resistono con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 2051 c.c., si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto sussistente (la responsabilità della Provincia ai sensi dell’art. 2051 c.c., senza che gli attori in primo grado avessero invocato l’applicazione di tale norma.
Il motivo è infondato.
Come già precisato da questa S.C., “la domanda di affermazione della responsabilità per cosa in custodia (in virtù dell’art. 2051 c.c.) deve essere considerata, dal giudice d’appello diversa e nuova e, dunque, inammissibile, rispetto a quella che in primo grado aveva avuto ad oggetto la normale responsabilità per fatto illecito (ai sensi dell’art. 2043 c.c.) solo nel caso in cui essa implichi l’accertamento di fatti in tutto o in parte diversi da quelli allegati e provati nel primo giudizio. Pertanto, allorquando, invece, sin dall’atto introduttivo della causa, l’attore abbia riferito il danno all’azione causale svolta direttamente dalla cosa, l’invocazione della speciale responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., si risolve nella richiesta di una diversa qualificazione giuridica del fatto, consentita al giudice d’appello” (Cass. 4591/2008).
Nel caso di specie gli attori, sin dalla citazione, hanno evidenziato la precarietà delle condizioni della strada in questione (in alcuni punti priva di parapetto), espressamente specificando che sulla stessa la Provincia, che ne era a proprietaria, avrebbe dovuto “vigilare” ed “eseguire i necessari lavori di costruzione dei muri di protezione e di installazione dei guardrail lungo il ciglio”, facendo in tal modo quindi riferimento sia all’azione causale svolta direttamente dalla cosa sia al potere di controllo, vigilanza e manutenzione riconosciuto alla Provincia quale proprietaria, e quindi alla sua qualità di custode; l’accertamento compiuto dalla Corte d’Appello ha avuto come oggetto, pertanto, gli stessi fatti esposti in primo grado, sicchè, alla stregua del su riportato principio, non sussiste la dedotta violazione di legge.
Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, lamenta che la Corte non abbia considerato che, per l’affermazione della responsabilità del custode, la cosa in custodia deve avere costituito la “causa” e non l’occasione” del danno verificatosi; nel caso di specie, come risultava dalle descrizioni della dinamica compiute sia da dott. V. (incaricato dal P.M. nel procedimento penale) sia dal CTU ing. M. (che avevano riferito circostanze non prese in considerazione dalla Corte), la condotta di guida della defunta B.D. era stata abnorme e tale da assumere una efficienza causate esclusiva nella determinazione dell’evento.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2051 e 2697 c.c., nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, lamenta che la Corte non abbia considerato che la responsabilità da cosa in custodia presuppone la dimostrazione, in capo al danneggiato, dell’esistenza del nesso causale tra cosa in custodia e fatto dannoso, e cioè la prova dell’attitudine della resa produrre il danno in ragione dell’intrinseca pericolosità della stessa connaturata.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando -ex art. 360 c.p.c., n. 3, – violazione e/o falsa applicazione del D.M. Lavori Pubblici n. 223, del 18 febbraio 1992, nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, sostiene che l’assenza del nesso eziologico tra le condizioni della strada e l’evento lesivo (caduta) risultava evidente dagli elementi probatori acquisiti; al riguardo rileva, inoltre, la non sussistenza (all’epoca dell’incidente, avvenuto il *****) di alcun obbligo della Provincia di realizzare barriere protettive lungo le strade provinciali, stante sia l’inapplicabilità al caso in questione del D.M. N. 223 del 18 febbraio 1992, per te mancanza della necessaria successiva circolare, sia l’irrilevanza degli altri richiami normativi; erroneamente, pertanto, la Corte non aveva considerato che la P.A. aveva piena valutazione discrezionale nella realizzazione di misure di cautela (muretti laterali, guardrail etc.), dipendendo l’esigenza di adottare tali misure dalle caratteristiche e dalla natura di ciascuna strada; considerato lo stato dei luoghi, non era pertinente il richiamo, operato in sentenza, al principio de neminem laedere, che si risolveva in omesso esame di fatti decisivi ed in motivazione apparente.
Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., n. 3 -violazione e/o falsa applicazione degli artt. 40 e 41 c.p., nonchè – ex art. 360 c.p.c., n. 5, – omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che ha costituito oggetto di discussione tra e parti, si duole che la Corte non abbia considerato che, in base ai generali principi in ordine della causalità omissiva, non poteva riconoscersi responsabilità quando, come nella specie, il comportamento omesso, ove anche fosse stato tenuto, non avrebbe potuto comunque impedire l’evento prospettato; nella specie, infatti, quand’anche fosse esistito un muretto ancora più alto, la morte della B. si sarebbe comunque realizzata.
Detti motivi, da esaminare congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono tutti infondati.
I dedotti vizi motivazionali sono tutti inammissibili, in quanto non in linea con la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, (fatto da intendersi come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; conf. Cass. S.U. 8053 e 8054 del 2014; v. anche Cass. 21152/2014 e Cass. 17761/2016, che ha precisato che per “fatto” deve intendersi non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (conf. Cass. 29883/2017); nel caso di specie il ricorrente non ha indicato alcun “fatto storico” nel senso su precisato, con conseguente (come detto) inammissibilità delle relative doglianze motivazionali.
Venendo all’esame delle dedotte violazioni di legge, accertata (per quanto detto sopra) la ritualità e correttezza dell’inquadramento della fattispecie in esame nell’ambito della responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c., va rilevato innanzitutto che la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla carreggiata, ma si estende anche alle pertinenze, comprese le eventuali barriere laterali di sicurezza, sì che può ben essere affermata la responsabilità per danni che conseguano all’assenza o all’inadeguatezza di tali elementi di protezione (cfr. (Cass.9547/2015; 6306/2013; 15723/2011; 24529/2009); al riguardo va, poi precisato che, quand’anche l’adozione di specifiche misure di sicurezza non fosse stata prevista, all’epoca dell’incidente, da alcuna norma astrattamente riferibile ad una determinata strada, la P.A. avrebbe avuto comunque l’obbligo di valutare, in concreto, se quella strada potesse costituire un rischio per l’incolumità degli utenti, atteso che la colpa della prima può consistere sia nell’inosservanza di specifiche norme prescrittive (colpa specifica), sia nella violazione delle regole generali di prudenza e di perizia (colpa generica); valutazione sindacabile dal giudice ordinario, che, nonostante la discrezionalità caratterizzante l’attività della P.A., resta pur sempre titolare del potere di stabilire se attraverso quelle scelte, la P.A. abbia violato il precetto del neminem laedere, ledendo i diritti di terzi (conf. Cass. 10916/2017).
In termini generali va poi ribadito che il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno, mentre al custode spetta l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, inteso come fattore che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno, ed è comprensivo della condotta incauta della vittima, che assume rilievo ai fini del concorso di responsabilità ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, e deve essere graduata sulla base di un accertamento in ordine alla sua effettiva incidenza causale sull’evento dannoso, che, in caso di condotta colposa ed oggettivamente imprevedibile secondo la normale regolarità causale nelle condizioni date dai luoghi, può anche essere esclusiva (in termini, da ultimo, 30775/2017 e 25487/2017); ne consegue che, dovendosi individuare il fortuito in ciò che interrompe il nesso della res con l’evento dannoso e non in ciò che concorre a concretizzarlo, ove il sinistro sia riconducibile – anche in parte – all’assenza o all’inadeguatezza di barriere di protezione, non vale ad interrompere il rapporto di derivazione causale, e ad integrare quindi il fortuito, la circostanza che a determinare il sinistro abbia contribuito la mera condotta colposa dell’utente, ove quest’ultima costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, essendo invece necessario che siffatta condotta sta, secondo il medesimo criterio, oggettivamente imprevedibile (conf. Cass. 9547/2015; v. anche Cass. 2480/2018); l’accertamento in ordine alla sussistenza della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, e quello in ordine all’intervento del caso fortuito che la esclude, involgono valutazioni riservate al giudice del merito, il cui apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, se non nei predetti ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nuova formulazione, ratione temporis applicabile, non ricorrenti (per quanto sopra precisato) nella specie; (conf. Cass, 6753/2004).
La Corte territoriale, nell’impugnata sentenza, ha correttamente applicato i su esposti principi, non incorrendo in alcuna delle denunziate violazioni di legge.
La stessa, invero, ha dapprima ritenuto sussistente l’anomalia della res, ritenendola in rapporto causale con l’incidente, in quanto per come evidenziato anche dalle indagini peritali del dott. V. e dell’ing. M. (tenute quindi in considerazione dalla Corte territoriale), nonostante il generale obbligo della P.A. di tenere e mantenere il bene come adatto e non pericoloso per l’uso fattone dagli utenti, il tratto di strada in questione, come a ben conoscenza della stessa P.A. tramite i suoi tecnici e funzionari, era in stato precario; io stesso, invero, a fronte di un latitante burrone, presentava, tra l’altro, un muretto “non solo basso ma persino inclinato in modo da costituire un invito alla fuoriuscita medesima” e comunque inadeguato ed insufficiente; ciò posto, con vantazione di merito, incensurabile in questa sede, ha poi ritenuto esistente un preponderante “concorso colposo” della vittima per la sua imprudente ed inadeguata condotta di guida (determinato nel 60%), con ciò implicitamente escludendo che siffatto comportamento fosse eccezionale ed imprevedibile tanto da integrare il caso fortuito ed interrompere il nesso causale tra la res e l’evento dannoso.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità relativamente al rapporto tra la ricorrente Provincia Regionale di Messina (oggi Città Metropolitana di Messina) e B.L. e B.M.T. e C.A., in proprio e nella loro qualità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Considerato che il ricorso della Provincia non è stato rivolto verso la statuizione di rigetto della domanda risarcitoria avanzata dagli attori anche nei confronti della ditta G.A., si ritiene sussistano giusti motivi per compensare tra le dette parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dichiara compensate tra la Provincia e G.C. e Gi.Cl., nella loro qualità, le spese del presente giudizio di legittimità; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte de ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018