Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.24183 del 04/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2749-2016 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MEDAGLIE D’ORO 157, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO SAULLE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO BENUSSI; giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SUDTIROLER VOLKSBANK BANCA POPOLARE DELL’ALTO ADIGE SCPA , in persona del Responsabile del servizio Legale dott. S.P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 334, presso lo studio dell’avvocato PIERGIORGIO VILLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO MENGONI giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

Z.V., PUBBLICO MINISTERO PRESSO PROCURA REPUBBLICA TRIBUNALE ROVERETO, PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO TRENTO , PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 376/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 01/12/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di Consiglio del 12/06/2018 dal Consigliere Dr. DI FLORIO ANTONELLA;

RITENUTO CHE 1. P.A., affidandosi a sei motivi illustrati anche con memoria, ricorre per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Trento che, respingendo l’impugnazione da lui proposta, aveva confermato la pronuncia del Tribunale di Rovereto con la quale era stata accolta la domanda della Sudtiroler Volksbank volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, avente per oggetto un immobile di sua esclusiva proprietà e stipulato il 30.4.2008 unitamente alla moglie Z.V.: la domanda dell’istituto di credito era fondata sulla circostanza che egli era debitore della banca sin dal 2006 quale fideiussore di due contratti di finanziamento (il secondo stipulato nel 2008, successivamente alla costituzione del fondo) concessi alla società di famiglia “Costruzioni P. srl”, risolti per inadempienza degli obbligati ed oggetto di decreto ingiuntivo anche nei suoi confronti per il recupero dell’esposizione debitoria.

2. La banca intimata ha resistito.

CONSIDERATO CHE 1. Il ricorrente deduce:

a. con il primo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, l’errata interpretazione dell’art. 2901 c.c., e degli artt. 1936 e 1938 c.c.: lamenta che la Corte territoriale, contraddicendosi, avrebbe dapprima affermato che il credito cui si riferiva la norma richiamata gravava sull’obbligato principale per poi statuire che gli atti compiuti dal fideiussore erano suscettibili di revocatoria sin dai momento della prestazione di garanzia. Assume l’irrilevanza della data in cui la fideiussione era stata prestata, affermando che ci si doveva riferire esclusivamente al momento in cui il credito era sorto.

b. con i secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, l’errata interpretazione dell’art. 2901 c.c., comma 1, in relazione alla individuazione del “pregiudizio” subito dalla banca; lamenta, altresì, la nullità della sentenza sulla specifica questione in quanto la Corte avrebbe reso una motivazione illogica ed apparente.

c. con il terzo motivo, ex 360 c.p.c., n 5, l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione, consistenti nella capienza patrimoniale della società debitrice, evincibile da una parallela azione revocatoria promossa dalla banca contro un altro fideiussore.

d. con il quarto motivo, ex art. 360 c.p.c., n 4, la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,115 e 356 c.p.c., : assumeva che la Corte aveva omesso di accogliere l’istanza di ammissione di una CTU contabile necessaria per dimostrare la capienza patrimoniale della società debitrice, senza tenere conto che nella parallela controversia avente per oggetto l’azione revocatoria contro il fondo patrimoniale costituito da un altro fideiussore della società, tale presupposto era stato in tal modo accertato.

e. con il quinto motivo, la violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per errata interpretazione delle emergenze processuali con riferimento alla scienza damni ed al consilium fraudis; e, per nullità della sentenza ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

f. con il sesto motivo, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per violazione dell’art. 92 c.p.c., e l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio; assume che la Corte aveva erroneamente respinto il motivo d’appello riguardante la condanna alle spese anche nei confronti della moglie, non prendendo in considerazione le gravi ed eccezionali ragioni che potevano giustificare la compensazione di esse, ascrivibili alla circostanza che la Z. non era la disponente del fondo patrimoniale ma si era limitata a non opporsi alla sua costituzione.

2. Il primo, il secondo ed il quinto motivo devono essere congiuntamente esaminati in quanto sono strettamente connessi fra di loro perchè concernono tutti il contestato esame dei presupposti dell’azione revocatoria ordinaria.

2.1 Le censure in essi contenute sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

Il primo motivo è inammissibile per la parte in cui richiama l’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5, il ricorrente, oltre a non indicare il fatto decisivo di cui sarebbe stato omesso l’esame in relazione alla titolarità del credito sul quale era stata fondata la domanda della banca, deduce un vizio che non può trovare ingresso in sede di legittimità in quanto, ex art. 348 ter c.p.c., u. comma, applicabile ratione temporis al caso di specie, la sentenza impugnata ha confermato, per le stesse ragioni, la pronuncia di primo grado.

2.2 Per il resto, la censura è infondata.

Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “l’azione revocatoria ordinaria presuppone per la sua esperibilita la sola esistenza di un debito e non anche la sua concreta esigibilità, sicchè, prestata fideiussione a garanzia delle future obbligazioni del debitore principale nei confronti di un istituto di credito, gli atti dispositivi del fideiussore, successivi alla prestazione della fideiussione medesima, se compiuti in pregiudizio delle ragioni del creditore, sono soggetti alla predetta azione, ai sensi dell’art. 2901 c.c., n. 1, prima parte, in base al solo requisito soggettivo della consapevolezza del fideiussore (e, in caso di atto a titolo oneroso, del terzo) di arrecare pregiudizio alle ragioni del creditore (“scientia damni”), ed al solo fattore oggettivo dell’avvenuto accreditamento di denaro da parte della banca, senza che rilevi la successiva esigibilità del debito restitutorio o il recesso dal contratto” (cfr. Cass. 3676/2011; Cass. 762/2016).

E, con specifico riferimento alla questione in esame, è stato altresì affermato, che “l’atto di costituzione del fondo patrimoniale è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c., primo comma, n. 1, se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori, il cui credito anteriore non può considerarsi estinto per novazione oggettiva a seguito della mera modificazione quantitativa della precedente obbligazione e per il differimento della sua scadenza, essendo a tale effetto necessari l’animus novandi e l’aliquid novi. (cfr. Cass. 2530/2016).

2.3. Nel caso in esame la cronologia degli eventi significativi consente di ritenere che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione dei principi sopra riportati ricorrendo anche al ragionamento presuntivo in quanto, nel confermare la sentenza di primo grado, ha fatto riferimento alla garanzia prestata attraverso la fideiussione stipulata il 28.9.2006, contestualmente al contratto di finanziamento (“contratto di fido promiscuo di Euro 1.500.000,00 per anticipi su fatture commerciali e contratti e anticipi effetti/ricevute bancarie”) al quale, nel 2008, era seguito un altro contratto che aveva aumentato l’esposizione debitoria della società e, conseguentemente, la misura della garanzia prestata.

L’anteriorità del credito è stata pertanto correttamente inquadrata.

3. Ma anche la seconda e la quinta censura (quest’ultima inammissibile nella parte in cui denuncia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 2, n 5, trattandosi di ricorso avverso cd. “doppia conforme”) sono infondate, in quanto i giudici d’appello hanno dato seguito alla consolidata giurisprudenza di questa Corte in punto di “pregiudizio delle ragioni creditorie”.

E’ stato, al riguardo, affermato che “in tema di azione revocatoria ordinaria non è richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza patrimoniale del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerto o difficile il soddisfacimento del credito, che può consistere non solo in una variazione quantitativa del patrimonio del debitore, ma anche in una modificazione qualitativa di esso. Tale rilevanza quantitativa e qualitativa dell’atto di disposizione deve essere provata dal creditore che agisce in revocatoria, mentre è onere del debitore, per sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore, (cfr. Cass. 5972/2005; Cass. 7767/2007; Cass. 8931/2013).

3.1 E, al riguardo, vale solo la pena di rilevare che la circostanza che il fondo patrimoniale sia stato costituito in data (30.4.2008) precedente alla costituzione della seconda garanzia fideiussoria (24.10.2008 ) non sposta i termini della questione, in quanto non è stata fornita alcuna prova nè dell’effetto novativo di tale contratto nè della sorte del primo: la motivazione della Corte, che viene estesa (nella censura) alla critica della valutazione della “scientia damni” e della “dolosa preordinazione” attiene al merito della controversia ed, in presenza di una adeguata applicazione dei principi di diritto sopra richiamati e di una motivazione sicuramente al di sopra della “sufficienza costituzionale” come quella resa dai giudici d’appello, risulta incensurabile in sede di legittimità.

4. Anche il terzo motivo, con il quale viene richiamato il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 2, n 5, in relazione all’omesso esame della capienza patrimoniale della società accertata nella parallela azione revocatoria promossa dalla stessa banca contro altro fideiussore, è inammissibile per cd. “doppia conforme”.

5. Con il quarto motivo, ancora, il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non aveva ammesso la CTU contabile richiesta invano (sia in primo che in secondo grado) al fine di dimostrare la capienza patrimoniale della società: trae argomenti anche dalla circostanza che sarebbe stato dato ingresso ad analogo atto istruttorio nella parallela controversia proposta contro un altro fideiussore.

Pacifico che la CTU non è un mezzo di prova ma è finalizzata all’acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “il provvedimento che dispone una consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente sostenuto dalla necessità di risolvere questioni implicanti specifiche cognizioni tecniche, (cfr. Cass. 4185/2015): è evidente che, nel caso di diniego, l’insindacabilità della decisione non configura la violazione dei principi di corrispondenza fra il “chiesto ed il pronunciato” (che riguarda la domanda e non le scelte istruttorie del giudice) e di disponibilità delle prove. La censura, pertanto non può trovare ingresso in questa sede.

6. Anche il sesto motivo, infine, è inammissibile.

Nella controversia in esame, la Z. è stata parte processuale in entrambi i gradi di giudizio: pertanto sono irrilevanti le ragioni di merito da lei rappresentate a sostegno della richiesta di compensazione delle spese, essendo comunque risultata soccombente.

In tale situazione, premesso che come già sopra statuito nel corso dell’esame delle altre censure, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo non è invocabile nel caso di cd. “doppia conforme”, per il resto si osserva che in tema di spese processuali, la valutazione dell’opportunità della compensazione totale o parziale delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, senza che sia neanche richiesta una specifica motivazione al riguardo. Pertanto, la relativa statuizione, quale espressione di un potere discrezionale attribuito dalla legge, è incensurabile in sede di legittimità, salvo che non risulti violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, ovvero che la decisione del giudice di merito sulla sussistenza delle “gravi ed eccezionali ragioni” ai sensi del citato art. 92 c.p.c., ratione temporis vigente sia accompagnata dall’indicazione di motivi palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza od la evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto. (cfr ex multis Cass. 14964/2007; Cass. 20457/2011). Nel caso in esame, la Corte ha fatto corretta applicazione del principio della soccombenza e ha pure compiutamente motivato in ordine alla censura mossa alla correlativa statuizione del giudice di primo grado, rendendo con ciò insindacabile la decisione di non compensare le spese di lite.

7. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 10.200,00 per compensi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto , a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della terza sezione civile, il 12 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2018

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