Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24992 del 10/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17121-2011 proposto da:

R.G. SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA PANAMA 74, presso lo STUDIO IACOBELLI E COLAPINTO, rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE D’INNELLA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE DI BARI, EQUITALIA ETR AGENTE RISCOSSIONE PROVINCIA DI BARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 26/2010 della COMM. TRIB. REG. di BARI, depositata il 20/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2017 dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Commissione Tributaria di Bari (di seguito, CTP), decidendo sul ricorso proposto dalla Società R.G. & P. SNC – ad oggi R.G. SNC – (di seguito, la Società) con sentenza 24/6/08, richiamando la propria precedente sentenza – n. 218/6/07 – che aveva riconosciuto la validità del condono presentato dal contribuente e annullata la cartella di pagamento emessa in conseguenza dei dinieghi al perfezionamento della definizione, ha dichiarato la nullità della intimazione di pagamento notificata il 6 settembre 2007 per la somma di Euro 928.649,71, oltre accessori, emessa da Equitalia E. TR. S.p.A. a seguito del mancato pagamento della cartella emessa dall’Agenzia delle Entrate (di seguito, l’Agenzia) per il periodo di imposta 1999.

2. La sentenza è stata appellata dall’Agenzia e, in via incidentale, dalla Società.

3. La Commissione Tributaria Regionale della Regione Puglia (di seguito, CTR), con sentenza in data 15 aprile 2010 n. 26/15/10, ha accolto l’appello dell’Agenzia e ha rigettato l’appello incidentale proposto dalla Società, ritenendo esente da vizi l’intimazione di pagamento impugnata. La CTR ha motivato il rigetto dell’appello con i seguenti rilievi: a) la cartella di pagamento in contestazione era divenuta definitiva per mancata impugnazione; b) l’intimazione di pagamento era impugnabile solo per vizi propri e nessuna influenza esplicava la pregressa decisione della CTP in relazione al diniego di condono; c) l’intimazione era conforme al modello ministeriale approvato e riportava tutte le indicazioni richieste, sicchè nessuna conseguenza negativa, secondo quanto affermato anche dal Giudice delle leggi nella sentenza n. 58 del 27 febbraio 2009, conseguiva alla mancata indicazione del responsabile del procedimento; d) il mancato invio di un preventivo avviso bonario non era causa di nullità dell’intimazione di pagamento, trattandosi di adempimento previsto prima della iscrizione a ruolo. Compensava le spese tra le parti.

3. Avverso la sentenza di appello, la Società ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso l’Agenzia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Società ha proposto i seguenti tre motivi di ricorso:

A) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza della CTR;

in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. in tema di formazione del giudicato interno tra le parti;

B) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e conseguente nullità della sentenza della CTR, per aver pronunciato su questione non oggetto del giudizio e comunque su domande ed eccezioni non proposte;

C) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia la contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio.

2. Le censure sono infondate per le ragioni che seguono.

2.1. Quanto alla violazione dell’art. 112 c.p.c. di cui al primo motivo, va sul punto richiamato il costante e consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, siccome desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale. (Cass. n. 23794 del 14/11/2011; Cass. n. 3012 del 10/02/2010; n. 19331/07; n. 23819/07). Va allora considerato che nel ricorso di primo grado era stata la Società ad introdurre al punto 5 il tema della validità ed efficacia del condono e che la CTP aveva espressamente richiamato la precedente sentenza che “dichiarando la illegittimità dei dinieghi ha ritenuto valide le dichiarazioni di definizione (condoni) ed ha annullato la cartella”. Era, quindi, interesse dell’appellante, esaminando il tema del condono, contestare le ragioni che avevano portato il giudice di primo grado ad annullare la cartella esattoriale posta a fondamento dell’intimazione di pagamento. A sua volta, il giudice di secondo grado, ha delimitato l’oggetto dell’impugnazione all’intimazione di pagamento ed al fine di valutarne la legittimità ha preso in esame la validità degli atti presupposti, spiegando le ragioni per cui, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTP, la sospensione dei termini processuali introdotti dalla L. n. 289 del 2000 non esimeva la Società dall’impugnare la cartella di pagamento una volta scaduta la detta sospensione. Con la conseguenza di rendere non più impugnabile l’intimazione di pagamento.

Nessuna violazione del giudicato è, inoltre, ravvisabile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 9872/1994), può ritenersi formato un giudicato implicito tutte le volte in cui tra la questione risolta espressamente e quella risolta implicitamente sussista un rapporto indissolubile di dipendenza, nel senso che l’accertamento contenuto nella motivazione della sentenza cade su questioni che si presentano come la necessaria premessa o il presupposto logico e giuridico della decisione, coprendo il dedotto e il deducibile, e cioè non solo le questioni espressamente fatte valere in giudizio, ma anche tutte le altre che si caratterizzano per la loro inerenza ai fatti costitutivi delle domande o eccezioni dedotte in giudizio. Il giudicato, così inteso, riguarda il bene della vita fatto valere, che nel caso in esame si identifica nella dedotta legittimità della cartella di pagamento sulla cui base è stata emessa l’Intimazione. Un autonomo giudicato nel corso del giudizio non è configurabile invece in ordine alla norma applicabile, in quanto il giudice nell’interpretazione e nella applicazione di essa non è limitato dalle deduzioni delle parti.

2.2. Anche il secondo motivo è infondato. Il tema del condono non ha costituito oggetto di esame da parte della CTR, che lo ha affrontato solo per la necessità di ripercorrere le fasi che avevano condotto all’emissione della intimazione di pagamento, il cui presupposto era costituito dalla definitività della cartella perchè non impugnata nei termini.

2.3. Quanto al terzo motivo, nel discorso giustificativo della CTR non spiega effetto dirimente il riferimento all’orientamento della cassazione sul diniego del condono, perchè la ratio della decisione è chiaramente individuabile nella mancata impugnazione nei termini della cartella di pagamento.

V’è peraltro da rilevare che, come affermato nella pronuncia delle sezioni unite n. 25984/2010, citata parzialmente nel ricorso, il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorchè, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice.

3. Conclusivamente, va respinto il ricorso. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 12.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5^ sezione civile, il 13 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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