LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sui ricorso 2907/2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTIGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
VARM SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA A. FARNESE 7, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BERLIRI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALESSANDRO COGLIATI DEZZA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 157/2009 della COMM. TRIB. REG. LAZIO, depositata il 07/12/2009;
la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.
RITENUTO
che:
La società V.A.R.M. S.r.l. (già Ceramica VARM S.r.l.) esercente attività di produzione e commercio di prodotti in ceramica, impugnava innanzi alla CTP di Viterbo, due avvisi di accertamento relativi agli anni di imposta 2002 e 2003, per IRPEG, IVA ed IRAP, fondati su un P.V.C. redatto dalla G.d.F. e riguardante alcuni rilievi per indeducibilità di costi per spese pubblicitarie, manutenzione fabbricati e prestazioni di facchinaggio eseguite da terzi, oltre maggiori ricavi non dichiarati. La CTP, in parziale accoglimento dei ricorsi, previa riunione, determinava i maggiori ricavi non fatturati in Euro 13.586,00. L’Ufficio spiegava appello innanzi alla CTR del Lazio che, con la sentenza in epigrafe indicata, accoglieva parzialmente il gravame, ritenendo deducibili le spese pubblicitarie, sostenute per operazioni di sponsorizzazione in favore di squadre di calcio, valutando la legittimità dei recuperi a tassazione richiesti dall’Ufficio con riferimento ai costi dedotti nel “conto manutenzione fabbricati” e per “facchinaggio-prestazione di terzi”. L’Ufficio ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi. La società contribuente si è costituita con controricorso.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 54, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, atteso che la CTR nella motivazione utilizza affermazioni inficiate da palese error in procedendo, avendo posto a fondamento della decisione circostanze di fatto mai dedotte in giudizio dalla società contribuente, come confermato dalla mera lettura degli atti difensivi della stessa riportati nella pagine da 4 a 11, nonchè da 19 a 24 del ricorso. Si conclude chiedendo alla Corte di affermare il seguente principio di diritto: “Viola gli artt. 112 e 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 54, la sentenza della CTR che, nel respingere l’appello proposto dall’Ufficio, dichiari legittimi due avvisi di accertamento, contenenti la contestazione della indeducibilità ai fini IRPEG, IRAP ed IVA di spese di sponsorizzazione di alcune squadre di calcio partecipanti a campionati di livello provinciale o regionale (del Lazio), ritenute prive del requisito dell’inerenza in quanto sostenute da una società di capitali italiana operante, in modo quasi esclusivo, sui mercati internazionali (che originavano il 96,43% del fatturato complessivo), affermando che l’impossibilità di sostenere, ulteriormente, la concorrenza nel settore da parte delle imprese cinesi aveva indotto la società appellata a modificare la strategia commerciale, rivolgendosi, essenzialmente, al mercato interno. Ciò sebbene detta circostanza non fosse stata dedotta dalla società nè dinanzi al giudice di prime cure, nè in sede di appello”.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si censura, in subordine, la sentenza impugnata, denunciando insufficienza della motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che, anche volendo sorvolare sulla circostanza dell’omessa produzione in giudizio da parte della società contribuente di qualsivoglia documento attestante l’esistenza di un effettivo mutamento della strategia commerciale, si evidenzia che tutti gli elementi di fatto rilevati dalla G.d.F. nel corso delle operazioni di verifica e sui quali si fonda il recupero a tassazione sono stati ammessi, ovvero riconosciuti come veri dalla contribuente. Nè è comprensibile sulla base di quali elementi la CTR di Roma abbia ritenuto che la società VARM s.r.l. avesse fornito la prova dell’inerenza dei costi pubblicitari, in presenza di costi rappresentati da attività di sponsorizzazione di squadre di calcio iscritte a campionati delle province o della Regione Lazio.
3. Va preliminarmente precisato che, posto che la sentenza impugnata è stata depositata in data 7.12.2009, questa Corte non terrà conto della formulazione del quesito diritto, in quanto l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso le sentenze o i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. n. 24597 del 2014).
4. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.
Parte ricorrente, pur essendo a ciò processualmente onerata, ha omesso di riportare in ricorso il contenuto integrale di tutti gli atti relativi all’attività difensiva svolta dalla società contribuente nei giudizi di merito (ricorso introduttivo, verbali di udienza, memorie ecc.), al fine di consentire a questa Corte l’esame dei vizi denunciati, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne al ricorso stesso (Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 17399 del 2017; Cass. n. 12288 del 2016; Cass. n. 23575 del 2015).
Appare, infatti, verosimile che le circostanze poste a sostegno dal giudice di appello alla valutazione dell'”inerenza” delle spese di sponsorizzazione – il quale nella motivazione della sentenza impugnata precisa: “…essendo risultate plausibili e convincenti le giustificazioni al riguardo addotte dal rappresentante della società ricorrente. E’ stato, infatti, spiegato che proprio negli anni che sono stati oggetto di verifica, la società in questione ha ritenuto di dovere cambiare la propria strategia commerciale, orientandosi per il mercato interno, anzichè per quello estero, stante la insostenibile concorrenza delle imprese cinesi (in grado di offrire analoghi prodotti a prezzi estremamente più bassi)” – siano state riferite verbalmente nel corso dell’udienza di discussione della causa o siano state inserite in atti difensivi, il cui contenuto non è stato riprodotto da parte ricorrente nel ricorso per cassazione, in violazione del principio di autosufficienza.
5. Le censure oltre che inammissibili sono infondate, per le considerazioni che seguono.
5.1. Il contratto di sponsorizzazione è una figura negoziale atipica ricondotta dalla giurisprudenza al fenomeno attraverso il quale il prodotto o la denominazione di una impresa vengono accostati, dietro corrispettivo, a “beni o persone particolarmente noti od ammirati” ovvero ” ad enti o manifestazione o spettacoli” seguiti da un vasto pubblico (Cass. n. 18218 del 2009). Trattasi di un contratto a prestazioni corrispettive nel quale il soggetto sponsorizzato si obbliga a consentire ad altri l’uso della propria immagine o del proprio nome, per promuovere un marchio od un prodotto specificamente marcato, dovendo individuarsi la patrimonialità della prestazione dello “sponsee” nella affermata tendenza sociale alla valutazione economica dei diritti della personalità, quali il nome e l’immagine, in quanto normalmente connotati dalla concessione in “esclusiva” del loro utilizzo (Cass. n. 9880 del 1997; Cass. n. 7083 del 2006; Cass. n. 12801 del 2006).
5.2. Le spese di pubblicità hanno come obiettivo preminente l’incremento dei ricavi, dovendosi precisare che la nozione di pubblicità è un concetto ampio, rappresentato dalla esigenza di informare i consumatori circa l’esistenza di beni e servizi prodotti da una determinata azienda, con l’evidenziazione e l’esaltazione delle caratteristiche e della idoneità a soddisfare i bisogni mediante strategie promozionali che consentano di veicolare le scelte dei consumatori. Per cui i costi allo scopo sostenuti non si esauriscono solo nell’accrescimento del prestigio della società ma sono spesso tendenzialmente orientati a creare una vera e propria aspettativa di incremento delle vendite, atteso che odiernamente il messaggio pubblicitario non svolge ormai più un ruolo puramente informativo limitato alla notizia dell’esistenza di un prodotto già introdotto sul mercato ma ha la funzione anche di sensibilizzare preventivamente l’interesse dei consumatori anche verso beni o servizi che ancora non sono offerti concretamente e che semplicemente si preannunziano mediante iniziative e campagne di reclamizzazione destinate pertanto a svolgere un ruolo decisivo sullo sviluppo degli affari dell’azienda (Cass. n. 7803 del 2000).
Questa Corte ha puntualizzato la distinzione tra le spese di rappresentanza e le spese di pubblicità e propaganda, affermando che: “In tema di imposte sui redditi ai sensi dell’art. 108 (ex art. 74, comma 2) del D.P.R. n. 917 del 1986, costituiscono spese di rappresentanza quelle affrontate per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziarne la possibilità di sviluppo, mentre vanno qualificate come spese pubblicitarie o di propaganda quelle erogate per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta. Pertanto, le spese di sponsorizzazione costituiscono spese di rappresentanza, deducibili nei limiti della norma menzionata, ove il contribuente non provi che all’attività sponsorizzata sia riconducibile una diretta aspettativa di ritorno commerciale ” (Cass. n. 3433 del 2012; Cass. n. 8679 del 2011; Cass. n. 21270 del 2008; Cass. n. 9567 del 2007).
5.3. Alla luce di tali principi, le spese di sponsorizzazione, in quanto idonee al più ad accrescere il prestigio dell’impresa vanno ritenute spese di rappresentanza deducibili nei limiti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 art. 74, comma 2 (Cass. n. 8679 del 2011). Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 74, comma 2, nel testo vigente “ratione temporis”, consente la deducibilità delle spese relative ad un contratto di sponsorizzazione stipulato anche a favore di un terzo, previa dimostrazione, a carico del contribuente, del requisito dell’inerenza, consistente non solo nella giustificazione della congruità dei costi, rispetto ai ricavi o all’oggetto sociale, ma soprattutto nell’allegazione delle potenziali utilità per la propria attività commerciale o dei futuri vantaggi conseguibili attraverso la Pubblicità svolta dall’impresa in favore del terzo (Cass. n. 10914 del 2015; Cass. n. 24065 del 2011).
5.4. Nella specie, i giudici di appello hanno fornito adeguata giustificazione della “inerenza” delle spese di sponsorizzazione sostenute e, con accertamento in fatto, insindacabile in sede di legittimità, in quanto adeguatamente e congruamente motivato, hanno desunto la potenziale utilità di tali spese dalla volontà della società contribuente di orientarsi verso il mercato interno, a causa della concorrenza dell’industria cinese.
L’Ufficio ricorrente, invero, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, si induce piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali, così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all’impugnata sentenza censure del tutto inammissibili.
6. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono la soccombenza, liquidate come da dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 6 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018
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