Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.25024 del 10/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25950-2011 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA VIA E. Q. VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO CONTE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ILARIA CONTE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

Avverso la sentenza n. 329/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA, depositata il 30/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

FATTO E DIRITTO

RITENUTO CHE:

C.L. impugnava, innanzi alla CTP di Roma, l’avviso di rettifica e liquidazione di maggiore imposta di successione, con cui l’Agenzia delle entrate aveva proceduto alla valutazione di immobili ricevuti in successione da B.G. con altri due eredi. La contribuente aveva presentato, in data 14 gennaio 2000, denuncia di successione concernente dodici immobili, su alcuni dei quali la de cuius aveva diritto di proprietà, per intero o pro quota, su altri diritto di enfiteusi. La CTP, con sentenza n. 307/29/09, rigettava il ricorso della contribuente. La sentenza veniva appellata innanzi alla CTR del Lazio che, con pronuncia n. 329/38/11, accoglieva parzialmente il gravame, riducendo di un terzo il valore accertato. C.L. ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi, illustrati con memorie. L’Agenzia delle entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso, si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 20 e 26, del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 34, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, degli artt. 112 e 115 c.p.c. ed omessa pronuncia ed omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, atteso che i giudici di appello, richiamando i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di motivazione dell’avviso di accertamento, avrebbero completamente omesso di prendere in considerazione un aspetto essenziale della giurisprudenza medesima, quello concernente l’onere, posto a carico dell’Amministrazione finanziaria, di provare in sede giurisdizionale le circostanze di fatto che giustificano nell’ambito del parametro prescelto il quantum accertato. Si conclude formulando il seguente quesito di diritto: “In una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento dell’imposta di successione, motivato con la clausola di stile che il valore era stato determinato con riferimento alle caratteristiche, ubicazione e posizione del terreno, tenuto conto sia dei valori venali in comune commercio, che di quelli definiti per immobili similari, viola il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 20 e 26, il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 34, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e gli art. 112 e 115 c.p.c., la Commissione Tributaria Regionale, la quale ometta di prendere in esame il motivo di appello inteso a denunziare l’omesso assolvimento, da parte dell’Agenzia delle entrate, dell’onere di provare, nell’ambito del parametro da essa prescelto, la sussistenza delle concrete circostanze di fatto che giustificano il quantum accertato?”

2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per violazione, sotto altro aspetto, delle medesime disposizioni legislative indicate nel motivo che precede, nonchè motivazione insufficiente e contraddittoria circa fatti controversi e decisivi per il giudizio, posto che la CTR, dopo aver respinto il motivo di gravame relativo alla nullità dell’accertamento, ha parzialmente accolto il secondo motivo, concernente la congruità dei valori dichiarati con la denuncia di successione, riducendo di un terzo i valori accertati, con motivazione generica, insufficiente e contraddittoria. I giudici di appello, pur avendo riconosciuto che la documentazione prodotta dall’appellante era “sufficiente a dimostrare un valore di cespiti inferiore a quello determinato dall’Ufficio”, hanno confermato la sentenza della CTP anche se non era stato fornito alcun valido elemento di giudizio atto a giustificare che i valori reali dei cespiti caduti in successione corrispondessero ai due terzi degli importi accertati, piuttosto che a quelli dichiarati dal contribuente con la denuncia di successione. Si conclude chiedendo alla Corte di pronunciarsi sul seguente quesito di diritto: “In una controversia concernente l’impugnazione di un avviso di accertamento dell’imposta di successione, motivato con la clausola di stile che il valore era stato “determinato con riferimento alle caratteristiche ubicazione e posizione del terreno, tenuto conto sia dei valori venali in comune commercio, che di quelli definiti per immobili similari”, viola il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, artt. 20 e 26, il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 34, la L. 27 luglio, n. 212, art. 7, e gli art. 112 e 115 c.p.c., la Commissione Tributaria Regionale la quale, in presenza della prova documentale, fornita dal contribuente, dell’incongruità dei valori rettificati, non essendo in grado di determinare, sulla scorta degli elementi di fatto acquisiti, i valori specifici idonei a sostituire per ciascun cespite quelli incongruamente rettificati, anzichè confermare i valori indicati nella denuncia di successione riduce di un terzo i valori accertati?”.

3. Va preliminarmente precisato che questa Corte non terrà conto della formulazione dei quesiti di diritto, considerato che l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 e contenente la previsione della formulazione del quesito di diritto, come condizione di ammissibilità del ricorso per cassazione, si applica “ratione temporis” ai ricorsi proposti avverso le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006 (data di entrata in vigore del menzionato decreto), e fino al 4.7.2009, data dalla quale opera la successiva abrogazione della norma, disposta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47 (Cass. n. 24597 del 2014), mentre, nel caso di specie, la sentenza impugnata risulta depositata in data 30.6.2011.

4. I motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente in quanto inerenti alla medesima questione.

4.1. Va premesso che secondo l’indirizzo ampiamente condiviso da questa Corte l’obbligo legale di motivazione dell’avviso di accertamento di maggior valore mira a delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa ed a consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa. Pertanto, è necessario che l’avviso enunci i criteri astratti in base ai quali è stato determinato il maggior valore, salvi poi restando, in sede contenziosa, l’onere dell’Ufficio di provare gli elementi di fatto giustificativi del quantum accertato e la facoltà del contribuente di dimostrare l’infondatezza della pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall’Ufficio (Cass. n. 1150 del 2008, in tema di INVIM; Cass. n. 27653 del 2005, in tema di imposta di successione; Cass. n. 26863 del 2009).

4.2. Orbene, sulla base di tali premesse, le censure proposte sono fondate, atteso che la motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla estrema genericità dei criteri indicati (“…la Commissione, avuto riguardo alla natura, alla consistenza, caratteristiche ed ubicazione dei terreni e soprattutto, tenuto conto dei certificati urbanistici prodotti, dai quali si evince che i terreni, oggetto dell’accertamento sono sottoposti a numerosi vincoli che ne limitano il valore finale, ritiene che detto valore possa essere ridotto di un terzo, rispetto all’accertato”) deve considerarsi di puro stile, perchè può essere adattata ad un numero indefinito di casi e, quindi, da un lato non agevola di fatto il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente, atteso che non permette di controllare la ragionevolezza dei criteri seguiti e l’esattezza dei calcoli effettuati, e dall’altro non consente di rapportare l’imposta richiesta alla reale capacità contributiva (Cass. n. 14987 del 2018).

4.3. Questa Corte ha, infatti, precisato che l’avviso di liquidazione emesso dall’Ufficio finanziario deve aver un contenuto tale consentire al contribuente di controllare eventuali errori di calcolo nell’applicazione dei coefficienti e delle aliquote, e deve quindi includere, oltre all’importo del tributo, anche gli ulteriori elementi posti a base dell’imposizione ed in particolare i dati di classamento, consistenti nell’indicazione della zona censuaria, della categoria, della classe, della consistenza e della rendita (circostanza che nella specie non risulta essersi verificata: Cass. 18 aprile 2014, n. 9008), ciò al fine di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente e di delimitare l’oggetto dell’eventuale contenzioso (Cass. n. 12497 del 2016).

4.4. Nella specie, non solo non appare assolto l’onere della prova da parte dell’Amministrazione, ma non sembrano neppure presenti i suddetti dati ed enunciati i criteri astratti, a cui si sarebbe attenuta l’Amministrazione nella determinazione del valore degli immobili, e conseguentemente la decisione impugnata appare viziata sotto il profilo motivazionale, tenuto conto che non è dato comprendere l’iter logico giuridico seguito dai giudici di appello per giungere al proprio convincimento, avendo provveduto ad una rettifica del valore dei cespiti, senza illustrare in motivazione le ragioni della riduzione del valore di un terzo.

5. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, per il riesame e per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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