Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25030 del 10/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16224-2017 proposto da:

L.G., L.L., L.M.L., L.S., in qualità di eredi legittimi di I.C., elettivamente domiciliata in ROMA piazza Cavour presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato CATERINA URSO;

– ricorrenti –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA n. 190, presso l’avvocato ANNA MARIA ROSARIA URSINO dell’Arca Legale Territoriale Centro di Poste Italiane, rappresentata e difesa dall’Avvocato ANITA CORIGLIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 509/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 21/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

L.G. e I.C. convennero dinanzi al tribunale di Rossano la società Poste Italiane (d’ora in poi, brevemente, Poste), chiedendo il riaccredito sul libretto di deposito n. ***** della somma di Euro 6.000,00 decurtata d’ufficio illegittimamente in data *****, oltre al risarcimento dei danni;

nella resistenza della convenuta il tribunale respinse la domanda, e la sentenza è stata confermata dalla corte d’appello di Catanzaro sull’essenziale rilievo che il rapporto in questione era regolato ratione temporis dal cd. codice postale di cui al D.Lgs. n. 156 del 1973, in base alla disciplina transitoria di cui al D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7; trattandosi di libretti di deposito postale, non poteva trovare applicazione l’art. 1835 cod. civ. invocato dagli attori, siccome relativo ai rapporti bancari; per converso, in base alla disciplina per l’appunto del codice postale, era mancata la prova del versamento in contanti asseritamente effettuato in data 1-3-2002, non risultante dalla contabilità delle Poste nè riscontrato in modo alcuno; sicchè la somma di Euro 6.000,00 era da considerare infine accreditata due volte per un errore dell’impiegato addetto, così come stabilito dalla sentenza del tribunale;

L.G. (in proprio e quale erede di I.C.) e L.L., M.L. e S. (anch’essi eredi) ricorrono per cassazione con un motivo, al quale Poste italiane replica con controricorso.

Considerato che:

non può tenersi conto della memoria dei ricorrenti, inviata a mezzo Pec il 30-6-2018;

per il giudizio di cassazione non è difatti vigente il cd. processo telematico, donde l’invio telematico di memorie non è ammesso; l’unico motivo di ricorso, col quale è dedotta la violazione del D.M. n. 66 del 2002, è manifestamente infondato;

l’impugnata sentenza ha confermato la valutazione del tribunale, stando alla quale l’operazione di cui si discute era derivata da un mero errore di annotazione dell’impiegato postale in ordine all’operazione di accredito dell’unico Bot avente scadenza febbraio 2002;

tale somma era stata invero accreditata due volte, il 1-3-2002 (legittimamente) e il 28-2-2002 (per errore);

la corte d’appello ha ritenuto dunque legittimo il recupero di quanto erroneamente accreditato: difatti al rapporto tra le parti andava applicata la disciplina del codice postale, abrogato dal D.Lgs. n. 284 del 1999 ma in vigore per i rapporti in essere alla data di entrata in vigore dei decreti stabilenti nuove caratteristiche dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi; cosicchè sarebbe stato necessario, da parte degli attori, produrre la ricevuta attestante il versamento in contanti asseritamente effettuato il 1-3-2002, così come stabilito dall’art. 150 del detto codice;

i ricorrenti contestano la decisione affermando che invece la normativa alla quale parametrare la fattispecie doveva essere quella dettata dal D.M. 6 giugno 2002, artt. 1 e 12, che presupponeva l’annotazione sui libretti di risparmio come facente piena prova nei rapporti tra le Poste e il depositante fino a querela di falso;

sennonchè la tesi dei ricorrenti contrasta con la norma transitoria dettata dal D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 7, comma 3, in attuazione del quale risulta emanato, tra gli altri, il citato D.M. 6 giugno 2002 (come noto a sua volta abrogato dal D.M. 29 febbraio 2016, art. 2, comma 1);

tale norma prevede che: “Sono abrogate, a decorrere dalla data di entrata in vigore dei decreti che stabiliscono nuove caratteristiche dei libretti di risparmio postale e dei buoni fruttiferi postali, le disposizioni recate dai capi 5 e 6, titolo 1, libro 3 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e relative norme di esecuzione. I rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti continuano ad essere regolati dalle norme anteriori. Detti decreti possono disciplinare le modalità di applicazione delle nuove norme ai rapporti già in essere, al fine di consentire una disciplina dei rapporti più favorevole ai risparmiatori”; il secondo inciso della disposizione (“I rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti continuano ad essere regolati dalle norme anteriori”), omesso nella redazione del ricorso, rende piena ragione della tesi sostenuta dalla corte d’appello di Catanzaro, vale a dire del fatto che rispetto al rapporto in essere tra le parti al momento dell’annotazione dell’operazione di accreditamento (28-2-2002; 1-3-2002) l’unica disciplina applicabile era quella desunta dal codice postale;

poichè dalla sentenza emerge che l’episodio contestato afferiva al preteso “versamento in contante di Euro 6.000,00 in data 1-3-2002” e all’ “accredito del rimborso del Bot del 28-2-2002 del medesimo importo”, è corretta l’affermazione per cui la disciplina pro tempore vigente imponeva di attribuire rilevanza alla produzione della ricevuta di versamento (di contro nella specie non prodotta), stante la regola dettata dall’art. 150 del codice detto, in base alla quale “per ogni deposito eseguito nelle casse di risparmio postali, l’ufficio deve rilasciare al depositante una ricevuta, la cui efficacia è stabilita dall’art. 166”;

l’art. 166, come gli altri abrogato solo a far data dal D.M. 6 giugno 2002 (art. 13), prevede(va) che: “Nei casi di discordanza, fra le somme indicate nelle ricevute rilasciate ai depositanti e quelle iscritte nei libretti, fanno fede le ricevute stesse, salvo prova in contrario. Nei casi di discordanza fra le somme indicate nelle cedole di rimborso e quelle iscritte nei libretti, fanno fede le prime, salvo prova in contrario. In mancanza dei documenti sopra indicati fanno fede le scritture dell’Amministrazione centrale”;

non giova invocare l’art. 12, comma 2, del D.M. citato, in quanto tale norma transitoria stabilisce semplicemente che “a decorrere dall’entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni recate dall’art. 1, comma 3, dall’art. 3, comma 5, dall’art. 7 e dall’art. 11 si applicano anche ai libretti di risparmio postale in essere a tale data”;

si tratta infatti di previsioni specifiche, relative alle condizioni di emissione dei libretti di risparmio, al calcolo e capitalizzazione di interessi, all’ammortamento e alla rinnovazione e alla fissazione dei tassi di interesse;

per converso rileva la norma finale dettata dall’art. 13 del D.M. in questione: “salvo quanto disposto al precedente art. 12, comma 6, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogati, ai sensi del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, art. 7, comma 3, il capo 5 del titolo 1 del libro 3 del D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 e le relative norme di esecuzione contenute nel titolo 5 del D.P.R. 1 giugno 1989, n. 256”; la quale sta a significare che l’abrogazione della norma dettata dall’art. 7, comma 3, del codice postale (rettamente applicata dalla corte d’appello nel caso di specie) è semmai avvenuta solo in data 30-6-2002, mentre le operazioni di cui si discute si erano chiaramente esaurite al momento della rispettiva annotazione in conto (28-2-2002 e il 1-3-2002), con conseguente ovvia sottrazione all’ambito applicativo del D.m. sopravvenuto in base finanche ai principi generali in tema di successione delle leggi nel tempo;

le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella percentuale di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018

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