LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27280/2016 proposto da:
V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI;
– ricorrente –
contro
IFAUTO SRL, C.S., G.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1518/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. MILENA FALASCHI.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Monza, con sentenza depositata in data 26.08.2014, accogliendo parzialmente la domanda principale proposta da V.A., dichiarava la risoluzione del contratto di compravendita perfezionatosi tra il V. e la società Ifauto a r.l., per inadempimento di quest’ultima che condannava, inoltre, alla restituzione, in favore del primo, della somma di 5.000,00, oltre a corrispondergli, a titolo di risarcimento dei danni, una somma pari ad 280,00; accoglieva inoltre la domanda proposta dalla Ifauto s.r.l. nei confronti di C.S. e la domanda proposta da quest’ultima nei confronti di G.C., condannando ciascuno dei due detti ultimi soccombenti a tenere indenne la parte che li aveva, rispettivamente, chiamati in causa di quanto ella fosse stata costretta a corrispondere al proprio avente causa.
A seguito degli appelli interposti dal V. e dalla C., la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 1518 del 2016, confermava la sentenza di primo grado, rigettando entrambi gli appelli.
Avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano il V. propone ricorso per cassazione, fondato su un unico motivo.
E’ rimasta intimata la società Ifauto a r.l., mentre nei confronti dei chiamati C.S. e G.C. non è stata neanche tentata la notificazione del ricorso.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, regolarmente comunicata al difensore di parte ricorrente, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Atteso che:
– preliminarmente va rilevato che non può tenersi conto della memoria illustrativa di parte ricorrente, per essere il deposito dell’atto avvenuto solo il 09.04.2018 (come da annotazione della cancelleria) a fronte dell’adunanza camerale fissata per il 10.04.2018, e quindi oltre i cinque giorni previsti dall’art. 378 c.p.c., (ex art. 155 c.p.c., comma 1, in quanto dies a quo del temine di gg. 5 “a ritroso”: v. Cass. n. 18346 del 2015);
– sempre in via prioritaria va rilevato che la notificazione del ricorso per cassazione – come già detto – non è stata neanche tentata nei confronti dei chiamati C. e G.. Tuttavia il Collegio ritiene di non dovere emanare l’ordine al ricorrente di procedere alla notifica del ricorso ai predetti, giacchè per orientamento consolidato di questa Corte, cui si ritiene di dare continuità, occorre evitare qualunque inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue, non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio onde apprestare reali garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità ai soli soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti. Infatti, essendo il ricorso per cassazione, come vedremo, prima facie infondato, appare superfluo, pur potendone sussistere i presupposti, disporre la fissazione di un termine per la notificazione del ricorso, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti (Cass. Sez. Un. 22 marzo 2010 n. 6826; Cass. 17 giugno 2013 n. 15106);
– venendo al merito del ricorso, con l’unico motivo il ricorrente denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 169 c.p.c. e dell’art. 77 disp. att. c.p.c., per essersi la Corte d’appello limitata a riscontrare la mancanza dei fascicoli di parte, senza aver compiuto alcuna indagine tramite la cancelleria e senza aver concesso alle parti un termine per la ricostruzione del proprio fascicolo. In più, a detta del ricorrente, il giudice di merito non avrebbe tenuto in considerazione le altre possibili fonti di conoscenza dei fatti della causa, che avrebbero potuto condurre a una valutazione di fondatezza dell’impugnazione.
La censura non può trovare ingresso.
Questa Corte ha più volte affermato che “se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa.” (Cass. n. 18237 del 2008 e n. 16212 del 2017).
Inoltre, ove il giudice accerti che una parte, in vista dell’udienza, ha ritirato regolarmente il proprio fascicolo, ai sensi dell’art. 169 c.p.c., ed esso non risulti nuovamente depositato, nè reperito al momento della decisione, lo stesso giudice non è tenuto a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla parte appellante di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la causa allo stato degli atti (Cass. n. 10741 del 2015).
Nella specie, la Corte ha accertato che i fascicoli di parte depositati nel giudizio di appello erano stati “poi ritirati” e non “ridepositati”. Orbene, il ricorrente nella sostanza non nega il ritiro del fascicolo di parte, ma si limita a definire come ipotetica la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte. Inoltre, non illustra in alcun modo, al fine di dimostrarne la decisività, il contenuto dei documenti mancanti al momento della decisione.
Giova in proposito ricordare che: “Se al momento della decisione della causa risulti la mancanza di taluni atti da un fascicolo di parte, il giudice è tenuto a disporne la ricerca o, eventualmente, la ricostruzione solo se sussistano elementi per ritenere che tale mancanza sia involontaria, ovvero dipenda da smarrimento o sottrazione. Ove, pur in presenza di tali elementi, il giudice ometta di disporre la ricerca o la ricostruzione degli atti mancanti, tale omissione può tradursi in un vizio della motivazione, ma la parte che intenda censurare tale vizio in sede di legittimità ha l’onere di richiamare nel ricorso il contenuto dei documenti dispersi e dimostrarne la rilevanza ai fini di una decisione diversa.” (Cass. n. 18237 del 2008 cit. e Cass. n. 16212 del 2017 cit.). Ne deriva che la Corte di merito ha fatto buon governo dei principi sopra esposti, decidendo la causa allo stato degli atti e ritenendo che gli elementi probatori acquisiti fossero insufficienti al fine di riconoscere l’integrale risarcimento del danno, in favore del V..
In conclusione il ricorso deve pertanto essere rigettato.
Nessuna pronuncia sulle spese processuali, non avendo l’unica parte intimata svolto difese.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1 quater, dell’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 2 Civile, il 10 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 10 ottobre 2018