Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.25148 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2599-2016 proposto da:

L.A. in proprio e quale titolare della Ditta individuale L.A. SCAVI SISTEMAZIONE TERRA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARCHIMEDE 138, presso lo studio dell’avvocato GIULIO BELLINI, rappresentato e difeso dagli avvocati GUIDO PARATICO, NADIA CORA’ giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.L., V.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TRIONFALE 5637, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO BATTISTA, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato FILIPPO VALCANOVER giusta procura speciale a margine del controricorso;

ADLER ORTHO SRL in persona del consigliere delegato e legale rappresentante pro tempore Dott. DA.AN., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SALARIA, 259, presso lo studio dell’avvocato MARCO PASSALACQUA, rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO BONETTA giusta procura speciale in calce al controricorso; OSPEDALE SAN CAMILLO ISTITUTO FIGLIE SANCAMILLO in persona del suo procuratore generale B.B. in religione Suor U., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

ALLEANZA TORO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 319/2015 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 14/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO ALBERTO che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato GIULIO BOLLINI per delega orale;

udito l’Avvocato EMANUELA SPINELLI per delega;

udito l’Avvocato UGO MARIA CILIBERTI per delega orale.

FATTI DI CAUSA

1.Con atto di citazione notificato tra il 22 del 29 marzo 2011, L.A. evocava in giudizio, davanti al Tribunale di Trento, l’ospedale San Camillo, Figlie di San Camillo, di ***** e i medici ortopedici D.L. e V.P. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito della rottura di una protesi d’anca impiantatagli nel *****, danneggiata nel *****. In particolare il *****, mentre si trovava fermo presso un cantiere aveva avvertito l’improvviso cedimento dell’arto sinistro e a seguito del ricovero gli era stata diagnosticata la rottura del collo della protesi impiantata due anni prima. A seguito dell’intervento chirurgico di sostituzione della protesi aveva subito danni da inabilità temporanea e invalidità permanente oltre al mancato guadagno e spese. Sulla base di tali premesse deduceva la responsabilità contrattuale del nosocomio e dei medici che lo avevano operato per avere scelto una protesi non idonea ovvero, in caso di corretta scelta, per difetto costruttivo della stessa, con violazione degli obblighi di protezione e di informazione del paziente. Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e la chiamata in causa della ditta produttrice della protesi, Adler Ortho Srl per essere da questa garantiti.

2. Costituitasi tale società contestava la propria responsabilità e l’esistenza di un nesso causale e di un difetto di produzione. In ogni caso chiedeva e provvedeva a chiamare in causa il proprio assicuratore, Toro Assicurazioni S.p.A. la quale aderiva alle richieste dell’assicurata chiedendo, in subordine, di limitare la polizza assicurativa secondo le disposizioni contrattuali.

3.Con sentenza del 3 maggio 2014 il Tribunale di Trento rigettava le domande proposte condannando l’attore al pagamento delle spese in favore del nosocomio e dei medici e compensando quelle relative agli altri rapporti processuali. Rilevava il Tribunale che, sulla base di un accertamento tecnico non contestato, l’intervento chirurgico era stato eseguito correttamente e che anche la riabilitazione era stata adeguata, che non vi era stato un errore nella scelta della protesi. Quanto alla caratteristiche di quest’ultima i consulenti ne avevano accertato la insufficiente tenuta biomeccanica, ragione per cui il produttore negli anni successivi aveva modificato e migliorato tale strumento per garantire una maggiore tenuta del collo amovibile. Alla data dell’impianto non era, comunque, neppure prevedibile da parte della struttura e dei sanitari un cedimento della protesi, poichè i primi inconvenienti si erano verificati nel corso dell’anno ***** e non erano riconoscibili con la diligenza professionale media alla data del *****, epoca di esecuzione del primo impianto. Poichè le pretese risarcitorie dell’attore non erano state estese anche al terzo chiamato, Adler Ortho, produttore della protesi, ogni altra domanda risultava assorbita.

4.Avverso tale decisione proponeva appello L.A. con atto di citazione del 11 settembre 2014 censurando la adeguatezza della motivazione, deducendo la violazione di legge riguardo al profilo della imputabilità e della colpa, oltre che della valutazione degli elementi di prova. Costituitisi gli originari convenuti e il terzo chiamato, oltre al relativo assicuratore, la Corte d’Appello di Trento, con sentenza del 14 ottobre 2015 rigettava l’impugnazione provvedendo sulle spese.

5.Contro tale decisione propone ricorso per cassazione L.A. affidandosi a due motivi. Resistono in giudizio con separati controricorsi l’Ospedale San Camillo-Istituto figlie di San Camillo, V.P. e il terzo chiamato Adler Ortho Srl. Il nosocomio deposita memorie ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 1176 c.c., comma 2 e art. 1218 c.c., art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Rileva che la struttura ospedaliera e i chirurghi devono rispondere del difetto costruttivo della protesi fornita dal nosocomio e impiantata, sulla base del solo nesso causale e prescindendo dalla colpa perchè, diversamente, il paziente sarebbe destinatario di una tutela inferiore a quella del consumatore e ciò sulla base di una interpretazione del sistema della responsabilità medica alla stregua di criteri di speciale protezione della parte debole.

2. Il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità poichè non coglie la ratio decidendi e non si confronta con la puntuale ed analitica motivazione della Corte territoriale, fondata sull’accertamento, in concreto, dell’assenza dì ogni ipotesi di inadempimento da parte della struttura sanitaria e dei medici, sia con riferimento alla esecuzione dell’intervento, che per la scelta della protesi da applicare. Rispetto a tale motivazione il ricorrente prospetta una assimilazione della posizione del paziente a quella del consumatore pur riconoscendo la non applicabilità, alla fattispecie in oggetto della tutela del consumatore e non contestando la pacifica (in questi termini ribadita anche dalla Corte territoriale) non applicabilità della disciplina della responsabilità da prodotto difettoso al rapporto tra paziente e sanitari, ciò sulla base di un generico criterio di parità di trattamento.

3.In ogni caso sulla base di tali principi il ricorrente contesta la valutazione in termini di responsabilità operata dal giudice di appello rilevando che la Corte non avrebbe attribuito il giusto valore ad alcune omissioni ritenute determinanti, anche perchè i convenuti risulterebbero inadempienti anche in assenza di responsabilità. Nella sostanza, il ricorrente chiede un’inammissibile riesame del merito della causa attraverso la censura che si riferisce specificamente all’adeguatezza della motivazione. Una siffatta prospettazione è inammissibile poichè il riferimento all’omesso esame di fatti decisivi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (nonostante l’apparente riferimento alla violazione di legge) è precluso dall’nuovo testo dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, per quanto si dirà con riferimento al terzo motivo.

4.Con il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 99,106 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 rilevando che, al di là delle formule utilizzate, sia i medici convenuti che la struttura ospedaliera evocavano in giudizio il produttore, Adler Ortho s.r.l, quale corresponsabile. In questo caso la chiamata va intesa come riferita al terzo responsabile e non come chiamata in garanzia impropria poichè, in concreto, le parti attribuiscono al terzo la corresponsabilità dell’evento. Trattandosi di un unico fatto generatore della responsabilità si verifica l’estensione automatica della domanda. Sotto tale profilo sarebbe irrilevante la argomentazione della Corte territoriale secondo cui nessuna conclusione, neppure in sede di appello, il danneggiato avrebbe formulato nei confronti della terza chiamata.

5.Parte ricorrente, inoltre, censura l’omessa pronunzia riguardo ad una questione che il medesimo L. aveva sottoposto al giudice di appello richiamando copiosa giurisprudenza di legittimità attestante l’automatica estensione della domanda dell’attore al terzo chiamato, nell’ipotesi di attribuzione a quest’ultimo, da parte dei convenuti, della corresponsabilità nell’evento.

6.Preliminarmente va rilevato che il vizio da ultimo dedotto (omessa pronuncia) non sussiste perchè la Corte territoriale ha espressamente preso in esame la questione, affrontandola subito dopo l’eccezione di inammissibilità ex art. 342 c.p.c..

7.Quanto alla prima questione, come correttamente argomentato dalla Corte territoriale, dall’esame delle conclusioni rassegnate in appello, così come quelle in primo grado, emergeva chiaramente (la circostanza non è contrastata neppure in questa sede) che il danneggiato non ha rassegnato alcuna conclusione nei confronti del terzo. Pertanto ogni ipotetica automatica estensione della domanda al terzo chiamato è preclusa dal fatto che “nessuna conclusione e nessuna domanda l’appellante ha mai formulato nei confronti della terza chiamata”.

8.La censura ruota intorno alla pretesa erronea interpretazione, da parte del giudice di merito, della domanda con cui l’originaria convenuta ha chiamato in giudizio la società Adler Ortho. Occorre premettere che l’interpretazione della domanda è attività discrezionale del giudice di merito, la quale, risolvendosi in un tipico accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’esistenza, sufficienza e logicità della motivazione, per cui non merita censura ove sia sorretta da una motivazione congrua e giuridicamente corretta. Qualora, però, la parte sostenga che il giudice abbia pronunciato su una domanda diversa da quella proposta e lamenti la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deducendosi un error in procedendo, la Corte di Cassazione ha il potere-dovere di procedere alla diretta interpretazione degli atti. Nell’interpretazione della domanda il giudice del merito, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, non è condizionato dalla formula adottata dalla parte dovendo invece individuare l’effettiva volontà della parte e, quindi, i contenuto sostanziale della pretesa in una alle finalità in concreto perseguite, tenendo conto non solo della volontà espressamente formulata, ma anche di quella che possa implicitamente o indirettamente essere desunta dalle deduzioni o dalle richieste, dal tipo e dai limiti dell’azione proposta, dal comportamento processuale assunto.

9.Nella vicenda processuale che ci occupa parte ricorrente deduce che i convenuti (struttura ospedaliera e sanitari) sin dalla prima difesa svolta nel giudizio di primo grado avrebbero negato la propria responsabilità, facendo presente che l’intervento era stato correttamente eseguito, la riabilitazione era stata adeguata e non via era stato errore nella selezione della protesi, rispetto alla quale, all’epoca dei fatti, non era prevedibile alcuna ipotesi di cedimento strutturale. Con la conseguenza che l’atto di chiamata, proposto dai convenuti, non poteva non essere inteso che come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata di garanzia impropria. E ciò, al di là della formula adottata, (le parti avevano concluso l’atto di chiamata chiedendo, in subordine, in caso di affermazione della responsabilità che il produttore Adler Ortho fosse condannato a garantirle e manlevarle), dovendosi privilegiare l’effettiva volontà dei chiamanti in relazione alle finalità in concreto perseguite, che erano quelle di attribuire al terzo la responsabilità dell’evento a causa dell’inesistenza di condotte inadempienti riferibili ai sanitari.

10. Ed è appena il caso di sottolineare che, qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami un terzo, indicandolo come il vero legittimato, come correttamente rilevato dal ricorrente, si verifica l’estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l’attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Cass. n. 17954/08).

11. Ma tale criterio astratto non trova applicazione nel caso di specie poichè va temperato con i principi generali sull’impulso processuale e, quindi, sulla domanda. Nell’ipotesi di chiamata in causa di un terzo per comunanza di causa, la domanda dell’attore si estende direttamente al terzo senza necessità di apposita istanza quando la chiamata stessa sia rivolta a sentire affermare l’esclusiva responsabilità del terzo e ciò in quanto il giudizio verte sulla individuazione del responsabile sulla base di un rapporto (obbligazione ex illicito) oggettivamente unico. Non è possibile prescindere dalla valutazione delle condizioni dell’azione, giacchè, indipendentemente dalla titolarità passiva dell’obbligo risarcitorio che si va ad accertare, occorre che una domanda sia in concreto rivolta nei confronti di un soggetto (il terzo), senza di che difetta la legitimatio ad causam dal lato passivo.

12. Infatti, l’automatica estensione della domanda nei confronti del terzo muove da esigenze di economia processuale, al fine di individuare il responsabile all’interno di un rapporto che è oggettivamente unico. Questo induce a ritenere implicita la domanda dell’attore anche nei suoi confronti. Tale presunzione, tuttavia, è superata ove l’interessato non proponga la domanda nei confronti del terzo. Espressamente escludendo la condanna del chiamato nei suoi confronti, l’attore non fa altro che negare la legittimazione processuale del soggetto sopravvenuto.

13. Alla luce delle considerazioni che precedono appare condivisibile la valutazione della Corte territoriale che ha escluso l’effetto automatico dell’estensione nell’ipotesi, verificatasi nella fattispecie, in cui l’attore avesse espressamente chiesto la condanna della sola parte convenuta, con esclusione della condanna nei suoi confronti della parte chiamata in causa.

14. Così interpretate dal giudice di appello le conclusioni di primo grado dell’attore (senza che il punto sia stato oggetto di una specifica e chiara censura), la decisione della Corte territoriale è immune dalle censure prospettate.

15. Con il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 2797,1218,1176 e 2236 c.c., nonchè dell’art. 43 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 rilevando che sui medici e sulla struttura incombeva la prova dei criteri in base ai quali era stata eseguita la scelta della protesi, da ciò discenderebbe la responsabilità per negligenza o imprudenza dei convenuti o comunque la responsabilità presunta ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Sotto altro profilo non appare condivisibile la motivazione della Corte con riferimento alle risultanze della consulenza di ufficio poichè le problematiche verificatesi nell’anno ***** avrebbero potuto essere conoscibili da parte dei sanitari nel *****, in considerazione di quanto già dedotto nell’atto di appello e dell’onere di puntuale aggiornamento professionale dei medici.

16. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità poichè non si confronta con il nucleo centrale della motivazione della Corte territoriale la quale ha ricostruito la ripartizione dell’onere probatorio conseguente al fatto che la consulenza, non contestata neppure in questa sede, escludeva ogni ipotesi di inadempimento della struttura e dei sanitari, sia in sede di esecuzione dell’intervento, sia per la scelta della protesi da impiantare, aggiungendo che non era prevedibile l’insufficiente tenuta biomeccanica e non erano conoscibili, nel *****, le criticità verificatesi nel *****.

17. Inoltre, rispetto alla complessa motivazione della Corte territoriale che si fonda sostanzialmente su cinque valutazioni fattuali, tutte autonome e idonee a giustificare la decisione di rigetto dell’impugnazione, il ricorrente, in questa sede si limita a prospettare una diversa lettura della ripartizione dell’onere probatorio ed una astratta conoscibilità delle problematiche relative a quella tipologia di protesi, verificatesi nell’anno *****, e ciò sulla base dell’onere di aggiornamento professionale che grava sui sanitari.

18. Pertanto non avendo censurato tutti i profili posti a sostegno della decisione il ricorso è, altresì, inammissibile anche sotto tale profilo. In particolare, la Corte rileva che non era possibile sapere se le problematiche del ***** erano le stesse che avevano riguardato il caso dell’appellante, in secondo luogo l’onere di provare la conoscibilità delle criticità verificatesi l’anno prima, secondo un criterio di ordinaria diligenza, gravava sul danneggiato e non era stato assolto; in terzo luogo i forum relativi alle criticità delle protesi si riferivano al *****. In quarto luogo, risultava condivisibile la argomentazione del Tribunale secondo cui non vi era la certezza che i problemi derivassero da un difetto del prodotto e non da altre cause, come le inadeguate conoscenze scientifiche del settore costruttivo (fattispecie riferibili alla posizione del produttore e non alla struttura sanitaria e ai medici) ed infine che il rischio di rottura, sia pure eccezionale, era espressamente menzionato nel foglio relativo al consenso informato.

19. In ogni caso, parte ricorrente pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova inammissibile valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così strutturando il giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.

20. Una siffatta censura non è consentita in questa sede per quanto appena detto oltre che perchè sarebbe riferibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Ricorrendo il caso di doppia conforme, cioè di pronunzia fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione non può essere proposto con riferimento al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 trovando applicazione dell’art. 348 ter c.p.c., i commi 4 e 5 poichè l’atto di appello è stato notificato dopo la data di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134.

21. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidandole, in favore della controricorrente Adler Ortho s.r.l., in Euro 2.800,00, in favore dei controricorrenti D. e V., in Euro 2.800,00 ed in favore del controricorrente Ospedale San Camillo in Euro 3.700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 21 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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