Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25150 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2364-2016 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON G MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO GALLETTI, che lo rappresenta e all’avvocato SALVATORE ORESTANO medesimo giusta procura speciale;

– ricorrente –

contro

PROVINCIA D’ITALIA MISSIONARI OBLATI DI MARIA IMMACOLATA OMI in persona del suo legale rappresentante G.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAVINANA 1, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PECORA, che la rappresenta e difende giusta procura speciale notarile;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5613/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/02/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 26/6/2015 la Corte d’Appello di Roma ha respinto il gravame interposto dal sig. O.S. in relazione alla pronunzia Trib. Roma n. 24961/2007, di accoglimento della domanda proposta dalla Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata – OMI di cessazione, all’esito di regolare disdetta, del contratto di locazione avente ad oggetto l’immobile tra di essi intercorso avente ad oggetto immobile sito nella locale via *****.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’ O. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi.

Resiste con controricorso la Provincia d’Italia dei Missionari Oblati di Maria Immacolata – OMI.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione” della L. n. 431 del 1998, artt. 2 e 6, artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “omessa” motivazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” della L. n. 359 del 1992, art. 11, L. n. 392 del 1978, artt. 12 ss. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è sotto plurimi profili inammissibile.

Va anzitutto osservato che il requisito – a pena di inammissibilità richiesto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, – della sommaria esposizione dei fatti di causa non risulta invero soddisfatto allorquando come nella specie vengano nel ricorso pedissequamente riprodotti (in tutto o in parte) atti e documenti del giudizio di merito (nel caso, la sentenza impugnata), in contrasto con lo scopo della disposizione di agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), essendo necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità (cfr. Cass., 8/5/2012, n. 6909), con eliminazione del “troppo e del vano”, non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/09/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè ilricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698), il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito (v. Cass., 23/6/2010, n. 15180).

Va al riguardo ulteriormente sottolineato che la soluzione di fare rinvio per la sommaria esposizione del fatto (anche) all’impugnata sentenza non esime in ogni caso il ricorrente dall’osservanza del requisito – richiesto a pena di inammissibilità – ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene operato il riferimento de relato ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione notificato in data 6.10.2006", alla “copia del contratto” di locazione “versato in atti”, all'”accordo avente ad oggetto il rinnovo del contratto di locazione sino alla data 15.7.2014, a fronte della rinuncia di esso conduttore alla riduzione del canone e al risarcimento dei danni…”, all'”atto di citazione notificato in data 24.10.2006", alla sentenza del giudice di prime cure, alla “domanda riconvenzionale”, all’atto di appello, alla “disdetta (doc. B fascicolo dell’appellata) inviata con lettera raccomandata del ***** all’avv. O.S.”, al “contratto di locazione… concluso fra la OMI e l’avv. O. in data *****, per una durata… di anni quattro più quattro (art. 1 del contratto, nostro doc. n. 1 dei fascicoli di primo grado relativi ad entrambi i giudizi riuniti)”, alla “disdetta data dal locatore in vista della scadenza del ***** (nostro doc. n. 10 di entrambi i fascicoli di primo grado)”, ai “motivi di appello formulati dal ricorrente”, all'”accordo provato anche documentalmente in prime cure dall’avv. O.”, alle “prove testimoniali così come articolate dall’avv. O. fin dal primo grado di giudizio”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

Va ulteriormente posto in rilievo, con particolare riferimento al 1 motivo, che laddove si duole non essersi dalla corte di merito considerato che il contratto prevedente una durata di 4 anni più 4 era stato “concluso prima dell’entrata in vigore della L. n. 431 del 1998” ed era “venuto a scadenza… con il decorrere del primo quadriennio dalla conclusione, e cioè in data 14 luglio 2002”, sicchè si era “verificato, a tale data del 14 luglio 2002, il rinnovo tacito del contratto di locazione”, da considerarsi pertanto scaduto nel 2010, risulta invero dal ricorrente non idoneamente censurata la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui l'”ipotesi formulata dall’appellante e cioè che solo dalla prima scadenza del contratto (nel caso in esame il 14/7/2002) si sarebbe dovuta applicare la nuova normativa e cioè far decorrere il doppio quadriennio, porterebbe all’ipotesi assurda di avere un contratto della durata di tre quadrienni, non prevista da alcuna normativa”.

Del pari, con particolare riferimento al 2 motivo, laddove si duole che non sia stata nemmeno ammessa la dedotta prova testimoniale risulta invero dal ricorrente non idoneamente censurata l’ulteriore ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui “Quanto alle doglianze per la mancata ammissione delle prove testimoniali volte a dimostrare l’esistenza di un accordo per una rinnovazione del contratto è sufficiente ribadirne l’inammissibilità tenuto conto che l’art. 17 del contratto per cui è causa prevede espressamente che qualsiasi modifica debba essere provata con atto scritto”.

A tale stregua, come questa Corte – anche a Sezioni Unite (v. Cass., Sez. Un., 19/7/2016, n. 5302) – ha già avuto modo di affermare, non risulta dal ricorrente osservato il consolidato principio in base al quale allorquando come nella specie la sentenza di merito impugnata si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa o l’inidonea impugnazione, con ricorso per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità anche del gravame proposto avverso le altre, non potendo le singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, quand’anche fondate, comunque condurre all’annullamento della decisione stessa (v. Cass., 11/1/2007, n. 389), in quanto l’eventuale relativo accoglimento non incide sulla ratio decidendi non censurata, su cui la sentenza impugnata resta pur sempre fondata (v. Cass., 23/4/2002, n. 5902).

E’ dunque sufficiente che, come nel caso, anche una sola delle rationes decidendi su cui si fonda la decisione impugnata non abbia formato oggetto di (idonea) censura (ovvero sia stata respinta) perchè il ricorso (o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa) debba essere rigettato nella sua interezza (v. Cass., 14/7/2011, n. 15449; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602).

Un tanto non già per carenza di interesse (come pure si è da questa Corte sovente affermato: v. Cass., 11/2/2011, n. 3386; Cass., 12/10/2007, n. 21431; Cass., 18/9/2006, n. 20118; Cass., 24/5/2006, n. 12372; Cass., Sez. Un., 8/8/2005, n. 16602), quanto bensì per essersi formato il giudicato in ordine alla ratio decidendi non censurata (v. Cass., Sez. Un., 19/7/2016, n. 5302; Cass., 13/7/2005, n. 14740. V. altresì Cass., 11/1/2007, n. 1658; Cass., 14/7/2011, n. 15449).

Senza sottacersi che laddove si duole della “motivazione erronea circa la volontà espressa dalle parti in relazione all’uso prevalente cui era destinato l’immobile” il ricorrente in realtà prospetta doglianza di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’erroneità della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

L’inammissibilità del ricorso preclude invero la sua disamina nel merito (come invero non si dubita in caso d’inammissibilità del ricorso per tardività, irrilevante essendo che lo stesso possa essere eventualmente fondato, tale non potendo in realtà esso propriamente mai dirsi, atteso che il relativo accertamento rimane in ogni caso in limine precluso).

Rimane a tale stregua fermo l’accertamento operato dai giudici di merito nell’impugnata sentenza, in base al quale il contratto di locazione de quo, stipulato in data 15/7/1998, è cessato – a seguito di regolare disdetta – per finita locazione alla data del 14/7/2006).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.800,00, di cui Euro 3.600,00 per onorari, oltre spese a generali ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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