Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25155 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22611-2016 proposto da:

T.U., Z.R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PARIOLI 79/H, presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato SERGIO GRANATA giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

ITALFONDIARIO SPA in persona del su legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AUGUSTO RIBOTY 28, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO PAVONI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2218/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 06/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.

FATTI DI CAUSA

Con citazione 11-5-2009 i coniugi T.U. e Z.R.A. proposero opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Milano aveva loro ingiunto, quali fideiussori di ***** srl (poi ***** srl, poi fallita), il pagamento, in favore della ricorrente Italfondiario SpA (procuratrice di Castello Finance srl, cessionaria di Banca Intesa SpA, fusa con la Cariplo), della somma di Euro 1.350.028,41, derivante dal saldo debitorio di due c/c intrattenuto dalla ***** con la Cariplo.

A sostegno dell’opposizione eccepirono preliminarmente l’incompetenza territoriale del giudice adito (e quindi la nullità del decreto ingiuntivo) in favore del Tribunale di Varese, luogo di residenza dei coniugi, persone fisiche non esercenti alcuna attività imprenditoriale o commerciale e che avevano stipulato le fideiussioni per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta; la clausola, contenuta nei contratti di fideiussione, attributiva della competenza di un foro (Milano) diverso da quello di residenza di entrambi (Varese) era da ritenersi vessatoria, e quindi nulla per contrasto con la disciplina del foro del consumatore (D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33 c.d. codice del consumo).

Nel merito eccepirono la nullità sia della clausola che rimandava per la determinazione degli interessi passivi agli “usi su piazza” sia della clausola che prevedeva il conteggio anatocistico degli interessi.

Con sentenza 9-5-2012 il Tribunale di Milano rigettò l’eccezione di incompetenza e, espletata CTU contabile, previa revoca del decreto ingiuntivo, condannò gli opponenti al pagamento della minor somma di Euro 858.056,53, oltre interessi.

Con sentenza 18-5/6-6-2016 la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il gravame proposto da T.U. e Z.R.A..

In particolare, per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha evidenziato che, in forza della natura accessoria dell’obbligazione fideiussoria, la qualità del fideiussore era attratta da quella del debitore principale; nel caso di specie il contratto principale di c/c era stato stipulato da ***** srl, la quale, per la sua natura di società, non era qualificabile come consumatore ai sensi dell’art. 3 codice consumo.

La Corte, inoltre, con riferimento alla doglianza concernente il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte di Italfondiario per non avere prodotto gli estratti conto relativi al c/c sin dalla data di inizio del rapporto, ha ritenuto inammissibile la censura, in quanto la detta eccezione era stata sollevata per la prima volta in grado di appello; al riguardo ha precisato che gli opponenti, in fase di formulazione dei quesiti al CTU, non avevano contestato la mancata produzione degli estratti conto precedenti al 1993, sicchè il giudice di primo grado, sulla base della documentazione fornita dall’opposto, aveva chiesto al CTU di ricostruire il rapporto con decorrenza dal saldo risultante dall’estratto dei c/c alla data del 30-9 e del 30-11-1993.

Avverso detta sentenza T.U. e Z.R.A. propongono ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

Resiste Italfondiario SpA, nella sua qualità di mandataria della Castello Finance srl, con controricorso, illustrato anche da successiva memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1469 bis c.c., comma 3, (poi D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. U), lamentano che la Corte territoriale, sul rilievo della natura accessoria dell’obbligazione fideiussoria rispetto all’obbligazione principale garantita, abbia rigettato la sollevata eccezione di incompetenza; al riguardo sostengono che la fideiussione è contratto con propria individualità e con autonoma causa, sicchè è irragionevole negare al fideiussore consumatore la tutela predisposta in suo favore.

Il motivo è infondato.

Non v’è ragione per discostarsi dal consolidato principio di questa S.C., secondo cui “in presenza di un contratto di fideiussione, ai fini dell’applicabilità della specifica normativa in materia di tutela del consumatore di cui agli artt. 1469 bis e segg. c.c., nel testo vigente “ratione temporis”, il requisito soggettivo della qualità di consumatore deve riferirsi all’obbligazione garantita, cui quella del fideiussore è accessoria, sicchè, difettando tale condizione, è valida la clausola derogativa della competenza territoriale contenuta nel contratto di fideiussione per le esposizioni bancarie di una società di capitali stipulato da un socio o da un terzo” (Cass. 16827/2016; 25212/2011; 10107/2005).

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e art. 2697 c.c., lamentano che la Corte di Appello abbia ritenuto nuova, e quindi inammissibile in quanto formulata solo in grado di appello, la contestazione relativa alla mancata produzione, da parte della Banca, degli estratti conto precedenti al 1993; siffatta eccezione non poteva considerarsi nuova, in quanto la pretesa di Italfondiario era stata contestata integralmente sin dall’origine, e comunque non poteva ritenersi “eccezione in senso proprio” (la sola vietata in appello ex art. 345 c.p.c.).

Il motivo è infondato.

Il thema decidendum è stato compiutamente definito in primo grado attraverso il comportamento degli stessi opponenti che, a fronte della generica domanda contenuta nell’atto di opposizione (accertare l'”insussistenza del credito nella misura postulata dalla opposta Italfondiario spa”), non hanno mai contestato (come evidenziato dalla Corte territoriale) la mancata produzione degli estratti conto dalla data della loro apertura (precedente al 1993) nè soprattutto hanno avanzato alcuna censura in ordine ai quesiti posti dal Giudice al CTU, al quale, proprio sulla base della documentazione fornita dall’opposta, è stato chiesto di ricostruire il rapporto “con decorrenza dal saldo risultante dall’estratto conto alla data per il c/c n. ***** del ***** e per il c/c ***** del *****”; detto comportamento degli opponenti ha escluso ogni rilevanza al periodo precedente al 1993 e, di conseguenza, ha fatto venir meno la decisività della documentazione relativa al detto periodo.

A fronte di siffatto thema decidendum, definito temporalmente dalle dette date e così delineato con concorde valutazione delle parti, correttamente pertanto la Corte ha considerato inammissibile la contestazione in questione.

Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 9.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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