Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25158 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3817-2016 proposto da:

S.M.L., M.P., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA BALDO DEGLI UBALDI 112, presso lo studio dell’avvocato MAURO CUPITO’, rappresentati e difesi dagli avvocati FRANCESCA CARAMIA, RICCARDO CARBONI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

RELEASE SPA, in persona del Presidente del C.d.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato SUSANNA LOLLINI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati RUGGERO CAMERINI, STEFANO DALPIAZ giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1054/2015 del TRIBUNALE di VERONA, depositata il 23/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. BASILE TOMMASO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

1. La fattispecie in esame riguarda un contratto di leasing di cui la società di leasing Release s.p.a. (odierna controricorrente), dopo avere attivato la clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto di leasing stipulato con S.M.L., cui è subentrato M.P., ha chiesto al Tribunale di Verona l’emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento dell’importo di Euro 7.648.858,13, dovuti dagli opponenti (odierni ricorrenti), in via tra loro solidale, per canoni scaduti e a scadere, attualizzati con gli interessi al tasso convenuto sino al 30/4/2009, dopo aver detratto dall’importo totale la somma di Euro 850.000,00, percepita con la vendita del bene (consistente in un’ imbarcazione da diporto) intervenuta il 25/5/2006 per opera della società di leasing, una volta tornata nella disponibilità del bene, per un corrispettivo equivalente al valore che l’imbarcazione aveva all’epoca, risultata danneggiata a causa di un incidente. Il decreto ingiuntivo era stato oggetto di opposizione e, all’esito del giudizio, il Tribunale di Verona lo aveva confermato con sentenza n. 1054/2015; la Corte d’appello di Venezia investita dell’impugnazione dagli opponenti, con ordinanza emessa ex art. 348 bis cod. proc. civ. in data 23 novembre 2015, depositata il 1 dicembre 2015, e comunicata per via telematica il 9 dicembre 2015, dichiarava l’inammissibilità dell’appello proposto.

2. Gli opponenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione, notificato il 5 febbraio 2016, per ottenere l’annullamento della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., deducendo cinque motivi di ricorso. La società di leasing ha notificato controricorso per resistere. I ricorrenti depositavano memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ.. Il pubblico Ministero ha depositato le conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 1, artt. 2697,2727,2729 e 1341 cod. civ., art. 33, comma 2, lett. l, art. 36, comma 2, art. 34, commi 4 e 5, art. 35 del Codice del Consumo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. I ricorrenti censurano la sentenza di primo grado ove ha sancito che le condizioni generali del contratto inerenti alla clausola risolutiva espressa, alla clausola penale, e alla clausola di indicizzazione degli interessi dovuti, erano da considerarsi conosciute e, in quanto tali, doveva escludersi il carattere vessatorio.

1.1. Il motivo è inammissibile.

1.2. Da un lato, ex art. 366 c.p.c., n. 6 si rileva che il motivo si pone in violazione del principio di autosufficienza perchè il contratto di cui si discute non è stato riportato nelle sue parti essenziali e, inoltre, esso non è stato prodotto e allegato al ricorso (v. Cass. S.U. 28547/2008); dall’altro, pur considerando assorbente il suddetto rilievo di inammissibilità, la censura riporta solo parzialmente la ratio decidendi, omettendo di considerare la parte in cui si riferisce che le parti contrattuali hanno dato atto di conoscere le clausole contenute nelle condizioni generali di contratto e che le suddette clausole sono state specificamente sottoscritte; nella pronuncia viene poi riportato come fatto di rilievo che lo stesso cessionario M.P., subentrato nel contratto il 1 ottobre 2006, poi risolto il 13 agosto 2008, aveva ugualmente sottoscritto le suddette clausole (Cass. 7692/2014).

1.3. In ogni caso, prevale la considerazione in diritto che, sia la clausola risolutiva espressa, che la clausola penale, per giurisprudenza costante di questa Corte, una volta verificata che è stata specificamente sottoscritta, non può considerarsi come clausola vessatoria. Mentre per la prima, la possibilità di convenire la risoluzione di diritto in caso di determinati inadempimenti, non determina uno sbilanciamento nel sinallagma contrattuale, perchè la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto è insita nel contratto stesso e la relativa clausola non fa che rafforzare tale facoltà a mezzo dell’anticipata valutazione della gravità di un determinato inadempimento (v. Cass. 16253/2005; Sez. 3, Sentenza n. 20818 del 26/09/2006; Sez. 3, Sentenza n. 15365 del 28/06/2010); per quanto riguarda la seconda, invece, il carattere vessatorio è escluso dal fatto che il giudice conserva il potere equitativo di ridurre, anche d’ufficio, la penale concordata in relazione alle circostanze del caso, e dunque essa non è in grado di determinare in concreto squilibri contrattuali o eccessivi arricchimenti, pur sempre temperabili dal giudice di merito ex art. 1384 cod. civ. (Cass. sez.3 20744/2004; Sez. 2, Sentenza n. 6558 del 18/03/2010). In merito alle clausole relative alla indicizzazione dei canoni in base a un tasso di interessi, lo stesso giudice ha rilevato che detta pattuizione risultava appositamente stipulata tra le parti secondo quanto indicato dall’art. 17 delle condizioni generali e dalla lett. i) delle condizioni particolari, e pertanto escludeva che potesse allegarsi il carattere vessatorio delle medesime, non essendo state predisposte unilateralmente dalla controparte. Trattandosi, questi ultimi, di rilievi attinenti all’interpretazione del contratto, peraltro non prodotto, e dunque afferenti al merito dei fatti portati all’esame del giudice di merito, anche per tale motivo la censura appare inammissibile.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione dell’art. 33, comma 2, lett. f, art. 34, commi 1, 4 e 5, art. 35 Codice del Consumo in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Con riguardo al carattere vessatorio della clausola penale, considerata dal giudice in relazione all’art. 1526 c.c. ritenuto applicabile al contratto di leasing, l’art. 15 del contratto prevede che ove la richiesta di indennizzo sia avanzata dopo la vendita del bene, il locatore ha diritto di trattenere canoni già pagati, a chiedere il pagamento nei loro intero ammontare dei canoni scaduti e non pagati alla data di risoluzione del contratto, e a chiedere a titolo di indennizzo una somma pari alla totalità dei canoni a scadere attualizzati, con facoltà di recupero del bene ai fini della rivendita a terzi, salva l’imputazione del corrispettivo ottenuto alla somma dovuta. Sostengono i ricorrenti che il giudice di primo grado, nel condurre l’accertamento del carattere vessatorio della clausola penale, avrebbe dovuto considerare la relativa clausola contrattuale nel suo contenuto complessivo al fine di verificare se essa, per il modo in cui è formulata nella sua interezza, abbia l’effetto di imporre al consumatore il pagamento di una somma di danaro a titolo di risarcimento, di clausola penale o per altro titolo equivalente, un importo manifestamente eccessivo.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Il Tribunale ha escluso che la clausola fosse vessatoria in quanto la penale in essa prevista non era manifestamente eccessiva ai sensi dell’art. 33, lett. f del Codice del Consumo, ritenendo che nell’ipotesi di leasing traslativo deve escludersi che la penale comporti vantaggi eccessivi per il concedente nel caso in cui, pur prevedendo congiuntamente la restituzione del bene e il versamento dei canoni non ancora maturati, sia attribuito specificamente all’utilizzatore il diritto di imputare alla somma dovuta il valore del bene restituito, in conformità a quanto indicato questa Corte (v.Sez. 3 -, Ordinanza n. 15202 del 12/06/2018;Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 11962 del 16/05/2018; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 888 del 17/01/2014). Le sentenze citate dai ricorrenti, lungi dal mutare l’indirizzo che rende applicabile l’art. 1526 cod. civ. al leasing traslativo, non rilevano nel caso di specie perchè, essendo riferite alla materia della insinuazione nello stato passivo fallimentare dei crediti derivanti da un contratto di leasing che sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento, hanno sancito che rientra nei poteri del giudice delegato, ai sensi dell’art. 25, comma 1, n. 8) e art. 92 e ss. L.fall., provvedere alla determinazione dell’equo compenso per l’uso della cosa ex art. 1526 c.c., comma 1, (Sez. 1 -, Ordinanza n. 11962 del 16/05/2018 (Rv. 648457 – 01), e ciò in conformità al criterio di bilanciamento degli interessi che deriva dall’applicazione della clausola penale. La censura, pertanto, tende a indurre la Corte di legittimità a rivalutare nel merito l’interpretazione del contratto data dal giudice, dimostratasi conforme ai canoni sanciti dalla giurisprudenza.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526 cod. civ. e dell’art. 1384 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, in tale caso per contestare la logicità della sentenza nella parte in cui non ha considerato come incongrua la clausola penale che consente di detrarre il ricavato del bene venduto.

3.1. Il motivo è inammissibile.

3.2. Il rilievo deve rapportarsi a quanto sopra detto in merito al secondo motivo, in relazione alla causa del contratto di leasing traslativo, ove è evidente che l’importo erogato dalla società finanziaria ha valore di finanziamento nell’acquisto di un bene in prospettiva di un futuro acquisto da parte del finanziato, e che pertanto il solo recupero del bene da parte della società locatrice non potrebbe soddisfare il proprio interesse a vedere realizzato il profitto insito nel contratto di finanziamento, collegato ai canoni a scadere che vanno a remunerare il finanziamento per l’acquisto del bene. Anche in tale caso il motivo non si raccorda alla ratio decidendi che, con giudizio in questa sede insindacabile perchè sorretto da adeguata motivazione, ha ritenuto che nel caso specifico non si sia verificato uno squilibrio contrattuale sia in astratto che in concreto, posto che la perizia allegata dalla parte opposta ha permesso di verificare il valore residuo di un bene (da scomputarsi dal residuo capitale dovuto) che, tra l’altro, è risultato irrimediabilmente danneggiato, avendo l’imbarcazione subito un semi-affondamento.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono l’omessa valutazione del carattere incongruo del prezzo di vendita ex art. 360 c.p.c., n. 5. Tale motivo è inammissibile, in quanto la deduzione della violazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione all’omessa considerazione di un fatto rilevante, in relazione a un giudizio d’appello che si è preliminarmente concluso con un’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 ter per le stesse ragioni inerenti alle questioni di fatto considerate dal giudice di primo grado, non trova più ingresso in sede di legittimità (v. anche Cass S.U. n.8053/2014).

5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono la violazione o falsa applicazione degli artt. 1418 e 1421 cod. civ. e del D.Lgs. n. 58 del 1998 e del D.Lgs.n. 385 del 1993, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sull’assunto del mancato rilievo di nullità del contratto di leasing per violazione delle disposizioni di cui al Testo Unico della Finanza e al Testo Unico Bancario, in relazione al principio di trasparenza delle operazioni e dei servizi finanziari, relativamente alle clausole di indicizzazione dei canoni a valuta estera e ai tassi di interesse convenuti.

5.1. Il motivo è preliminarmente inammissibile ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4 per mancanza di specificità, in quanto le violazioni di diritto dedotte non si raccordano a specifiche violazioni di norme di carattere imperativo o di ordine pubblico contenute nelle menzionate leggi di riferimento, ma vengono dedotte in via generale e astratta come violazione del principio di trasparenza cui sono informate le suddette leggi, senza alcun riferimento a fattispecie normative di settore specificamente violate che, peraltro, prevedono nullità relative e di protezione (v. SSUU Cass. nn. 26243 e 26243/2014; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 187 del 08/01/2014).

5.2. La deduzione, inoltre, è priva del carattere di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6 per il motivo indicato sopra in relazione al punto n.1.2, posto che la clausola di cui si discute non è riportata nel suo testo integrale e, inoltre, non è stato allegato al ricorso il contratto di leasing.

6. Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in via tra loro solidale, alle spese liquidate come di seguito.

P.Q.M.

1. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese, liquidate in Euro 22.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, spese forfettarie al 15% e oneri di legge.

2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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