Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.25165 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9259/2016 proposto da:

D.P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, P.ZZA S.

ANDREA DELLA VALLE 3, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO MELLARO, rappresentato e difeso dall’avvocato SAITTA GIUSEPPE giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO EUROPEO DI ONCOLOGIA SRL in persona dell’Amministratore Delegato M.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentata e difesa dagli avvocati LORENZO BIANCHI, MANUELA MAGGI giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3974/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE FULVIO che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del ricorso principale, assorbimento del 4 motivo, inammissibilità e infondatezza del 3-5 motivo;

udito l’Avvocato GIULIANO SAITTA per delega;

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI per delega.

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione datato 27 agosto 2009 il notaio D.P.V. evocava in giudizio davanti al Tribunale di Milano l’Istituto Europeo di Oncologia chiedendo che, sul presupposto della responsabilità di tale istituto in ordine alle gravi menomazioni derivate dall’intervento chirurgico del 16 ottobre 2007 e alle terapie inappropriate, il nosocomio fosse condannato al risarcimento dei danni subiti: patrimoniale, emergente e da lucro cessante e non patrimoniale. Si costituiva in giudizio l’Istituto Europeo di Oncologia contestando le domande. La causa era istruita con consulenza tecnica.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 5 novembre 2014 rilevava che nell’operato dell’istituto era ravvisabile una condotta colposa professionale riguardo alla scelta della terapia chirurgica eseguita. Da ciò era derivata un’inabilità temporanea totale e postumi permanenti nella misura del 40% non incidenti sulla capacità lavorativa specifica, ma rilevanti in termini di maggiore usura. Il Tribunale con riferimento al danno non patrimoniale ed in applicazione delle tabelle di Milano liquidava il pregiudizio provvedendo ad una adeguata personalizzazione avendo riguardo ai profili della sofferenza soggettiva, ai pregiudizi alla vita di relazione, ai riflessi negativi sulle abitudini di vita collegati all’incidenza della menomazione dell’apparato respiratorio non sulla capacità lavorativa propria, ma in termini di disagio, affaticamento, usura e penosità della quotidiana attività professionale di notaio per quanto concerne la mobilità sul territorio, la facile stanca abilità, la difficoltà al prolungato eloquio e ai rapporti interpersonali. Elevava pertanto il valore risultante dall’applicazione delle tabelle da Euro 270.000 ad Euro 351.000 circa, ma escludeva la autonoma risarcibilità del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica.

Avverso tale decisione proponeva appello D.P.V. con atto notificato il 29 gennaio 2015 e si costituiva l’Istituto Europeo di Oncologia proponendo appello incidentale per assenza del nesso eziologico tra condotta ed evento.

La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 19 ottobre 2015 rigettava gli appelli proposti compensando le spese di lite tra le parti.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione D.P.V. affidandosi a sei motivi illustrati da memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.. Resiste con controricorso l’Istituto Europeo di Oncologia Srl.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo lamenta la violazione agli artt. 183 e 345 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè violazione dell’art. 132 c.p.c., con riferimento ai vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. L’art. 345 c.p.c. consente la produzione in appello di nuovi documenti ove la parte dimostri di non aver potuto produrli nel primo grado per causa non imputabile. Sotto tale profilo la motivazione del rigetto della produzione tardiva sarebbe inesistente, poichè alla data del 15 maggio 2010, di scadenza del termine di produzione documentale ai sensi dell’art. 183 c.p.c., non erano disponibili la dichiarazione dei redditi degli anni 2009 e 2010 e neppure gli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate dei precedenti anni: 2004, 2005 e 2006.

Riguardo alla produzione degli accertamenti fiscali 2004-5-6 la doglianza è inammissibile per difetto di specificità poichè non coglie la ratio decidendi della Corte (pagina 22) secondo cui la cognizione dell’infedeltà delle proprie dichiarazioni dei redditi prescinde del tutto dalla successiva ricezione degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate (peraltro quello relativo all’anno 2004 era stato notificato prima della scadenza dei termini di cui all’art. 183 c.p.c.).

Inoltre, non è censurata l’argomentazione della Corte territoriale che rileva la novità della questione sottoposta, evidenziando che è mancata l’allegazione dell’infedeltà delle dichiarazioni dei redditi rispetto alla situazione reale. Correttamente i giudici di Milano evidenziano che l’onere di provare l’infedeltà delle dichiarazioni dei redditi deve essere preceduto da quello di allegazione di tale fatto entro i termini di legge; adempimenti che, al contrario, non risultano espletati, poichè la questione è stata dedotta dopo che il thema decidendum si era cristallizzato.

Ciò rende inconsistente l’argomentazione del ricorrente, dovendosi ulteriormente osservare che, come evidenziato dalla Corte territoriale, “qualora poi si sostenga che l’adesione a tali accertamenti è stata motivata solo dal timore di sanzioni, allora si rimette in discussione la sussistenza stessa di redditi più elevati di quelli dichiarati” ufficialmente.

Tale argomentazione rende irrilevante il deposito delle dichiarazioni dei redditi relative al periodo successivo alla scadenza dei termini (redditi del 2009 e del 2010) poichè la finalità della produzione è di dimostrare l’esistenza di una flessione nel reddito e ciò indipendentemente dal fatto che la Corte territoriale ed il Tribunale abbiano escluso la sussistenza di menomazioni incidenti sulla capacità di produrre reddito.

Infine, il motivo non prende in esame la valutazione in fatto operata dalla Corte (pagine 20-21) che, confermando la decisione del Tribunale, ribadisce l’insussistenza di una prova sufficiente riguardo all’esistenza di una perdita reddituale significativa. Anche sotto tale profilo, pertanto, la documentazione e il relativo motivo non sono decisivi.

Con il secondo motivo deduce la violazione di artt. 27272729 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3 rilevando che erroneamente la Corte ha fatto ricorso alla prova presuntiva senza considerare la pluralità di elementi caratterizzati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, ma. fondando la decisione solo su uno di essi.

Il motivo è inammissibile poichè, come osservato anche dal Procuratore Generale, l’argomentazione censurata non è decisiva, ma costituisce una ulteriore valutazione della Corte territoriale che si aggiunge a quella principale oggetto della precedente doglianza. Infatti, la Corte territoriale rileva che, “anche in denegate ipotesi di loro producibilità (con riferimento agli accertamenti tributari relativi agli anni precedenti), mancherebbe comunque ogni prova circa gli effettivi redditi conseguiti negli anni successivi e, quindi, anche la perdita reddituale effettiva”. Tale valutazione esula dal meccanismo della prova per presunzioni oggetto di doglianza da parte del ricorrente.

Con il terzo motivo lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 2043, 2056 e 1223, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, oltre alla violazione dell’art. 132 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4. La Corte avrebbe adottato nozioni di comune esperienza non sussistenti e ciò con riferimento alla circostanza che il notaio svolgerebbe la propria attività all’interno del proprio studio professionale, senza considerare gli spostamenti esterni per la stipula di contratti, omettendo di valutare che la difficoltà di respirazione incide sull’avviamento professionale, rendendo più difficoltosa la partecipazione a riunioni o alla lettura di un atto, e senza valorizzare la circostanza che l’età del pensionamento è di 75 anni con ciò rendendo rilevante le menomazioni riferite all’età di sessant’anni.

Con il quarto motivo deduce la violazione delle medesime disposizioni oltre che dell’art. 112 c.p.c. rilevando che la Corte territoriale ha fatto riferimento ad uno solo dei riscontri documentali relativi ai redditi dichiarati per l’anno 2009, senza consentire al ricorrente di dimostrare l’entità dei redditi successivi.

Con il quinto motivo lamenta la violazione delle medesime disposizioni con riferimento al mancato riconoscimento del danno da invalidità temporanea, rilevando di avere richiesto l’ammissione di mezzi di prova e il rinnovo della consulenza tecnica al fine di dimostrare il minor tempo dedicato al lavoro e la maggiore irritabilità nei confronti dei clienti.

I tre motivi possono essere trattati congiuntamente poichè strettamente connessi e sono inammissibili.

Sotto l’apparente deduzione della violazione di norme di legge e di nullità della sentenza in realtà consistono in una richiesta di rivalutazione del materiale probatorio al fine di ribaltare la ricostruzione operata dai giudici di merito in ordine all’insussistenza della prova del danno patrimoniale. Parte ricorrente intende dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la lesione della capacità lavorativa specifica e la riduzione del reddito derivante dai postumi permanenti correlati all’apparato respiratorio. In sostanza, intende contestare la valutazione operata dai giudici di merito richiedendo alla Corte di legittimità di verificare se l’affaticamento respiratorio abbia in concreto ridotto la capacità lavorativa specifica. Va aggiunto che non è prospettabile l’ipotesi di malgoverno delle norme processuali indicate dal ricorrente (artt. 115 e 116 c.p.c.) poichè tale censura è validamente posta solo allorchè il ricorrente alleghi che il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o al di fuori dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge oppure abbia disatteso prove legali e invertito la regola dell’onere probatorio. Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso concreto.

Con il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 91 c.p.c. rilevando che l’accoglimento dell’appello avrebbe determinato la condanna della controparte al pagamento delle spese.

La censura è inammissibile non consistendo in un motivo di ricorso.

Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 10.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Terza Sezione della Corte Suprema di Cassazione, il 6 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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