LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRECO Antonio – Presidente –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
TOSCANA COUNTRY, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Giacomo Puccini n.9, presso lo studio degli Avv.ti Prof. Leonardo Perrone e Giuseppe Marini che la rappresentano e difendono per procura in calce al ricorso dall’Avv. Alessandro Mainardi;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– resistente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n.50/01/11, depositata il 12 gennaio 2011.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2018 dal relatore Cons.Roberta Crucitti.
RILEVATO
che:
nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Toscana Country s.r.l. di avviso di accertamento relativo ad iva, irpeg e irap dell’anno di imposta 2003 (con il quale erano stati disconosciuti costi non documentati e ripresi a tassazione ricavi non dichiarati), detta Società, in persona del legale rappresentante, propone ricorso, su cinque motivi, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettandone l’appello, aveva confermato la decisione di primo grado, solo parzialmente favorevole;
in particolare, il Giudice di appello ribadiva la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione erariale, considerato che i costi relativi ad un contratto di servizi in essere con altra Società dello stesso gruppo cui apparteneva la contribuente non erano stati documentati nè da fatture nè da altri documenti contabili mentre, da altro lato, sempre secondo la Commissione regionale, l’evidente antieconomicità dell’operazione relativa al suddetto contratto (con costi elevati a fronte di esigui ricavi dichiarati) legittimava il ricorso all’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d);
l’Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si eccepisce l’esistenza di giudicato interno relativamente al capo delle sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto della Società all’utilizzo delle perdite fiscali pregresse ai fini della determinazione dell’IRPEG;
in particolare, la ricorrente – premesso che, avverso tale capo della sentenza di primo grado, l’Agenzia delle entrate, pur essendo soccombente, non aveva proposto uno specifico e tempestivo motivo di impugnazione – chiede, qualora questa Corte dovesse rigettare i motivi di ricorso e confermare, quindi, le riprese fiscali a tassazione ancora in contestazione, che si scomputi dal maggior reddito imponibile accertato l’ormai incontrovertibile diritto della Società all’utilizzo delle perdite fiscali pregresse;
con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 2, lett. b, laddove la C.T.R. aveva ritenuto necessaria, ai fini della deduzione del costo derivante dal contratto di prestazioni di servizi (avente ad oggetto l’utilizzo in via esclusiva del *****) che lo stesso fosse provato attraverso fatture o altri documenti contabili;
con il terzo motivo si denunzia la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, di omesso esame di elementi decisivi laddove la C.T.R., nell’affermare che la mera stipula di un contratto di servizi non costituisce idonea prova della reale esistenza ed effettività dei costi, essendo necessario, invece, aldilà della volontà delle parti….che risulti anche la concreta realizzazione dell’oggetto contrattuale documentata attraverso fatture o altri documenti contabili, non aveva tenuto conto di numerosi fatti decisivi quale l’avvenuta contabilizzazione di tale costo in bilancio, l’emissione di fattura in epoca successiva, il fortissimo interesse commerciale all’uso in via esclusiva del Castello, la circostanza che la stessa società proprietaria dell’immobile avesse iscritto in bilancio per la medesima annualità l’intero corrispettivo tra i ricavi;
le censure, esaminate congiuntamente, siccome vertenti sullo stesso capo di sentenza, sono fondate;
ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 applicabile ratione temporis: “1. I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi…concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. 2. Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza: ….b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate…”;
dette disposizioni normative sono state costantemente interpretate da questa Corte nel senso che in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito – inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario – seguono il principio di “competenza economica”, stabilito in generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 il quale implica che gli elementi reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio, non già con riferimento alla data del pagamento o dell’incasso materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, appunto con l’ultimazione della prestazione. Il costo, perciò, inerisce temporalmente all’esercizio in corso al momento dell’ultimazione della prestazione, indipendentemente dalla data della fatturazione e dell’effettivo pagamento del corrispettivo imputato nel conto economico” (v. Cass. n. 24474 del 17/11/2006; n. 16253 del 23/07/2007; n. 24055 del 13/11/2009 ed ancora, di recente, Cass. n.ri 3497/2011; 9096/2012; 27296/2014; 11311/2016);
alla luce di detti principi, appare evidente l’errore in diritto in cui è incorsa la Commissione tributaria regionale laddove, con motivazione insufficiente (non tenendo in debito conto gli ulteriori elementi fattuali prospettati dalla Società contribuente) non ha riconosciuto la deducibilità di parte del corrispettivo del contratto di prestazioni di servizi, ritenuto inidoneo a fornire prova del costo, perchè non provati i pagamenti, attraverso fatture o altri documenti contabili;
con il quarto motivo si deduce violazione di legge (artt. 2727 e 2729 cod. civ., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2) laddove la C.T.R. aveva ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo con rideterminazione di maggiori ricavi, facendo riferimento all’esistenza di una presunzione pur semplice ma significativa ovvero l’antieconomicità di una sola operazione (il contratto di servizi avente ad oggetto l’uso esclusivo del *****);
con il quinto motivo si deduce un’omessa e/o insufficiente motivazione laddove il Giudice di appello non aveva tenuto conto nell’asserire l’antieconomicità della condotta di impresa di tutta una serie di elementi di fatto dai quali emergeva che la Società aveva chiuso l’esercizio in attivo e che, pertanto, i ricavi complessivi dichiarati escludevano la presunzione di antieconomicità;
le censure, esaminate congiuntamente siccome vertenti sulla stessa questione, sono fondate;
in materia, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata” (cfr. tra le molte Cass. n. 20060 del 24/09/2014);
egualmente, in materia di IVA, si è statuito che “l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni” (Cass. Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015);
nella specie, la Commissione tributaria regionale, non solo ha erroneamente ritenuto fondato il ricorso all’accertamento analitico-induttivo sulla base di una circostanza, dalla stessa ritenuta presunzione semplice, ovvero l’antieconomicità di una sola operazione posta in essere dalla Società isolandola dal contesto complessivo risultante dalla contabilità sociale (non disconosciuta), ma non ha, altresì, tenuto conto, nella sua valutazione, di tutta una serie di elementi fattuali dai quali si evinceva la complessiva situazione finanziaria positiva della Società (dal chè la fondatezza, anche, del quinto motivo di ricorso);
l’accoglimento del ricorso esonera dall’esame del primo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, competendo al giudice del rinvio la valutazione dell’esistenza e della rilevanza del giudicato interno dedotto dalla Società;
conclusivamente, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio la quale provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, ed al regolamento delle spese processuali di questo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018