LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. PERRINO A.M. – rel. Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 28989 del ruolo generale dell’anno 2011, proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, negli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente si domicilia;
– ricorrente –
contro
s.p.a. Nexans Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine del controricorso, dall’avv. Margherita Bariè, con la quale elettivamente si domicilia in Roma, alla via dei Condotti, n. 91, presso l’avv. Felice Patrizi;
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, depositata in data 11 ottobre 2010, n. 346/5/10;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 22 maggio 2018 dal consigliere Angelina Maria Perrino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
sentiti per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Carlo Maria Pisana e per la contribuente l’avv. Massimo Marconi, per delega dell’avv. Margherita Bariè.
FATTI DI CAUSA
In relazione all’anno d’imposta 1999 l’Agenzia delle entrate recuperò maggiore materia imponibile nei confronti della s.p.a. Nexans Italia, ai fini dell’irpeg, mediante rettifica della perdita dichiarata, per effetto del disconoscimento di componenti negativi di reddito; ai fini dell’irap, in virtù della rettifica del valore della produzione imponibile dichiarato, conseguente al disconoscimento di componenti negativi e, ai fini dell’iva, in esito al disconoscimento del diritto di detrazione dell’iva concernente attività di ricerca ritenute non inerenti, nonchè del recupero dell’imposta relativa a operazioni per le quali non era stata emessa l’autofattura prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17.
Successivamente fu annullato in autotutela completamente il recupero ai fini dell’irap e parzialmente quello relativo all’iva concernente la mancata emissione dell’autofattura. Ne scaturì l’annullamento delle sole sanzioni concernenti l’irap.
La società impugnò l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Salerno.
Quella regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, ha accolto l’appello dell’Ufficio, limitatamente all’eccezione di ultrapetizione, in quanto il giudice di primo grado, a seguito dell’acquiescenza della società su alcuni rilievi, si sarebbe dovuto limitare ad annullare l’avviso limitandosi ai profili rimasti controversi. Nel merito, per quanto ancora d’interesse, il giudice d’appello, quanto all’irpeg, ha rimarcato che la pretesa impositiva si basa pur sempre sulla riduzione di una perdita, il che esclude possibilità di recupero di materia imponibile; quanto all’iva, ha sottolineato la mancanza di specifiche contestazioni in appello e ha escluso la sanzionabilità della condotta per mancanza di danno per l’erario.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate, che affida a tre motivi, cui la società risponde con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Col primo profilo del primo motivo di ricorso l’Agenzia lamenta l’omessa o insufficiente motivazione sul fatto controverso e decisivo dell’inerenza e della documentazione dei costi delle ricerche sostenuti dalla capogruppo francese e addebitati in misura proporzionale alla contribuente. Secondo l’Agenzia difatti la mancanza d’inerenza e di adeguata documentazione osterebbe alla detrazione dell’iva relativa.
Il motivo è inammissibile perchè privo di autosufficienza.
Il giudice d’appello espone che, a fronte della decisione della Commissione tributaria provinciale, secondo cui era “…del tutto pacifico, data la mancata contestazione espressa al riguardo dall’Agenzia delle entrate e la dimostrazione ricavabile dai documenti prodotti in giudizio e dagli altri atti processuali, che le spese indicate dalla società ricorrente sono state effettivamente sostenute e che esse sono relative ad oneri di competenza della stessa società”, “non vi è alcuna specifica motivazione da parte dell’Ufficio per modificare la decisione dei primi giudici”.
1.1.- Al cospetto di questa motivazione, l’Agenzia non riporta, nè comunque menziona il contenuto dell’appello, indicando gli elementi di fatto volti a sovvertire la ricostruzione operata in primo grado, concernente, si è visto, sia la valutazione di adeguatezza della documentazione a sostegno del sostenimento dei costi, sia dell’inerenza di essi all’attività d’impresa.
Il motivo va quindi respinto.
2.- Infondato è poi il secondo profilo del primo motivo di ricorso, da esaminare insieme col secondo motivo di ricorso, con i quali l’Agenzia si duole rispettivamente della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 7, in quanto, sostiene, in caso di prestazioni di servizi rese da soggetto estero nei confronti di soggetto passivo residente nel territorio dello Stato, l’obbligo di registrare l’imposta a debito sussisterebbe sempre, a prescindere dall’inerenza all’attività d’impresa svolta dal committente; laddove, in mancanza d’inerenza, l’imposta assolta non sarebbe detraibile.
In definitiva, secondo l’Ufficio l’iva concernente i costi di ricerche dei quali si discute fatturati dalla società francese capogruppo costituiva un debito della società verificata, al quale però non corrispondeva alcuna imposta detraibile.
2.1.- Sussistevano, invece, nel caso in esame, i presupposti sostanziali del diritto di detrazione, i quali consistono (giusta, tra varie, Corte giust. 11 dicembre 2014, causa C-590/13, Idexx, punto 43), nelle circostanze che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili; presupposti da ritenere ormai cristallizzati per effetto della pronuncia d’inammissibilità del primo profilo del primo motivo di ricorso.
2.2.- Oltre ai presupposti sostanziali, sussiste nel caso in esame anche il regolare adempimento di quelli formali, secondo quanto accertato in sentenza, in cui si riferisce in narrativa, sia pure nel riportare il contenuto della decisione di primo grado, che il meccanismo di autofatturazione è stato “regolarmente operato dalla società” e si aggiunge in motivazione che “sul secondo motivo di appello non vi è alcuna specifica motivazione da parte dell’Ufficio per modificare la decisione dei primi giudici, i quali hanno condiviso la procedura adottata dalla società in ottemperanza degli artt. 7 e 17 del DPR n. 633/72”.
La stessa Agenzia, d’altronde, dà conto in ricorso che l’imposta detratta in relazione alle attività di ricerca era “…pari a quella registrata a debito per la medesima operazione…”.
La censura va quindi respinta.
3.- Il rigetto della censura si riverbera sull’infondatezza del terzo motivo di ricorso, col quale l’Agenzia denuncia la falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 5 bis, quanto alla declaratoria, contenuta in sentenza, d’inapplicabilità delle sanzioni per l’asserita inesistenza del debito d’imposta conseguente alle violazioni contestate, limitatamente alle violazioni concernenti le spese di ricerche, in relazione alle quali si è acclarato che sia stata correttamente operata l’autofatturazione.
4.- Fondato è, invece, il motivo, con riguardo alle operazioni per le quali l’autofattura non era stata emessa.
La violazione degli obblighi formali di contabilità e di dichiarazione, e, nel caso in esame, quelli di autofatturazione, pur non impedendo di per sè la nascita del diritto di detrazione, può incidere sul suo esercizio, allorquando, come nel caso in esame, entro il termine previsto dal legislatore nazionale il relativo titolare non ne faccia uso (in termini, fra varie, Cass. 15 luglio 2015, n. 14767; conf., 3 marzo 2017, n. 5401).
Nè risulta finanche prospettata l’applicabilità del temperamento introdotto dalla sentenza Ecotrade (Corte giust. 8 maggio 2008, cause riunite C-95-96/07), secondo cui la disciplina armonizzata osta alla prassi secondo la quale l’amministrazione neghi, una volta decorso il relativo termine di decadenza, il diritto a detrazione per l’inadempimento di obblighi solo formali – contabili o di dichiarazione – previsti in capo al soggetto passivo iva; ciò in quanto la medesima sentenza Ecotrade, escludendo dal proprio ambito di applicazione il caso in cui “… il contribuente, essendo a conoscenza della natura imponibile di una fornitura, ometta, per tardività o per negligenza, di richiedere la detrazione dell’Iva a monte entro il termine previsto dalla normativa nazionale” (punto 36), distingue tra tardività od omissione determinate da negligenza da una parte e buona fede dall’altra, e cioè consapevole seppur erronea convinzione di agire legittimamente (come si evince anche dal punto 46, che si riferisce, sempre con riguardo alla decadenza, al “contribuente non sufficientemente diligente”).
4.1.- L’intervenuta decadenza biennale esclude, inoltre, l’applicabilità della causa di non punibilità contemplata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, non essendo tali violazioni meramente formali.
In tema di sanzioni tributarie, difatti, la violazione meramente formale non punibile deve rispondere a due concorrenti requisiti: non arrecare pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e, al contempo, non incidere sulla determinazione della base imponibile dell’imposta e sul versamento del tributo (Cass. 8 marzo 2013, n. 5897; conforme, tra varie, 22 dicembre 2014, n. 27211).
4.2.- Di contro, la violazione consistita nell’omessa autofatturazione delle prestazioni ricevute dal fornitore comunitario e nell’omissione della registrazione dell’autofattura nel registro delle vendite e in quello degli acquisti incide sul versamento dell’imposta, in ragione dell’estinzione del diritto di detrazione, la quale impedisce l’operatività del meccanismo compensativo tra posta a debito e posta a credito e comunque ostacola l’attività di controllo dei verificatori.
5.- Il motivo va quindi in questi limiti accolto, con cassazione per il corrispondente aspetto della sentenza impugnata, e con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, che valuterà il trattamento sanzionatorio, anche alla luce del ius superveniens sul quale fa leva la società in memoria e delle indicazioni della Corte di giustizia, tra le quali vanno menzionate quelle rese da Corte giust. 26 aprile 2017, causa C-564/15, Tibor Farkas, secondo cui le modalità di determinazione della sanzione, nel caso al suo esame, commisurata in misura pari, automaticamente, al 50% dell’importo dell’imposta dovuta, garantisce, in linea di principio, che essa non ecceda quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta e di evitare la frode, in considerazione delle possibilità di riduzione o anche di esclusione, al cospetto di circostanze eccezionali.
Con la precisazione che in quel caso, in considerazione della natura e della gravità dell’infrazione, ma soltanto in base alla circostanza che in quell’occasione l’integrale versamento di quanto dovuto al venditore aveva comunque escluso la perdita di gettito fiscale, l’importo della sanzione è stato considerato sproporzionato.
PQM
accoglie il terzo motivo di ricorso nei limiti indicati in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018