LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16027-2017 proposto da:
GENTLE GIANT SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SERAFINO GUALTIERO 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO VITTUCCI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8414/2/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 14/12/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 8414/2/16 depositata in data 14 dicembre 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla Gentle Giant srl avverso la sentenza n. 26159/20/14 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva parzialmente accolto il ricorso contro l’avviso di liquidazione per imposte di registro, ipotecarie e catastali relative ad una vendita immobiliare. La CTR osservava in particolare che tenuto conto delle risultanze documentali in atti (specificamente della perizia di parte prodotta dalla società contribuente), potevasi ulteriormente ridurre il valore di uno dei due cespiti oggetto della transazione in contestazione, fermo il valore dell’altro, non essendovi stata specifica devoluzione in appello della correlativa questione di merito.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo un motivo unico.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
Con l’unico motivo dedotto – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4-5 – la ricorrente lamenta al violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, della L. n. 241 del 1990 e della L.n. 212 del 2000, art. 7, poichè la CTR non ha adeguatamente motivato la propria decisione.
La censura è fondata.
Va ribadito che:
– “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01);
– “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830).
La motivazione della sentenza impugnata rientra paradigmaticamente nelle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti giurisprudenziali, dunque, concretizzando un chiaro esempio di “motivazione apparente” ossia del tutto mancante, si pone sicuramente al di sotto del “minimo costituzionale”.
Il giudice tributario di appello infatti, dopo alcune premesse meramente riepilogative/descrittive sui fatti di causa e sullo svolgimento processuale anteatto, ha limitato il proprio giudizio sull’oggetto sostanziale della lite ossia, secondo la devoluzione, sul valore da attribuire ad un cespite immobiliare alle seguenti affermazioni: “Questo giudice, in considerazione degli elementi innanzi descritti è dell’avviso di poter determinare, quanto al capannone, il valore complessivo di Euro 586.460,00 di cui per la parte del livello fuori terra Euro 442.260,00 (mq. 546 x 810 mq/Euro), mentre per quella interrata Euro 144.200,00 (mq. 412 x 350/mq/Euro)”.
Tali considerazioni/affermazioni sono all’evidenza apodittiche, assertive, al più rappresentative del convincimento del giudice tributario di appello, ma non estrinsecano il percorso argomentativo che lo induce a tale convincimento e pertanto nel loro – limitato – ordito realizzano un tipico esempio di “motivazione apparente”, così come denunciato nella censura de qua.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al dedotto motivo, con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018