Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25307 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizio – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18134-2014 proposto da:

ANAS S.P.A., AZIENDA NAZ.AUT.DELLE STRADE C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 441, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MARINI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO NAPPI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1751/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 15/07/2013, R.G.N. 2808/2008.

RILEVATO

1. che la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato il diritto di P.A. ad essere inquadrata nella posizione organizzativa ed economica A1 coordinatore amministrativo – ed ha condannato ANAS s.p.a., datrice di lavoro, al pagamento della somma di Euro 7.698,58 a titolo di differenze retributive per il periodo dal 1.3.2003-30.9.2004, oltre accessori di legge;

1.1. che il giudice di appello ha ritenuto che la prova orale e documentale confermava, quanto meno a partire dal novembre 2002, lo svolgimento da parte della dipendente di mansioni corrispondenti all’inquadramento reclamato ed ha determinato le differenze dovute sulla base del conteggio predisposto dalla P., come precisato a verbale dalla società appellata;

2. che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso ANAS s.p.a. sulla base di un unico motivo; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso successivamente illustrato con memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

CONSIDERATO

1. che con l’unico motivo di ricorso la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 437 c.p.c., degli artt. 2103 e 2697 c.c., degli artt. 64,66,67,68, c.c.n.l. ANAS 1998/2001, degli artt. 72, 74 e 75, c.c.n.l. ANAS s.p.a. 2002/2005 nonchè omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, censurando la sentenza impugnata per errata valutazione della prova orale e documentale che assume non confermativa dello svolgimento di mansioni corrispondenti all’inquadramento reclamato;

1.1. che il motivo è infondato;

1.2. che il giudice di appello, richiamato il contenuto della declaratoria relativa alla posizione A1 c.c.n.l. applicabile, ha evidenziato che essa descrive il profilo di collaboratore amministrativo con riferimento al lavoratore che: a) svolge attività istruttoria o direttamente o coordinando l’attività di un gruppo di lavoro e impiegati di professionalità inferiore, predisponendo provvedimenti ed atti riservati al settore di competenza, nell’ambito di procedure e direttive di massima… f) nell’ambito della specifica competenza partecipa ad organi collegiali e/o svolge attività di segretario di comitati, commissioni con piena autonomia organizzativa…”.

Premesso che le diverse tipologie di mansioni elencate nella declaratoria dovevano ritenersi esemplificative e non cumulative cosicchè lo svolgimento anche di una solo di esse giustificava l’inquadramento reclamato, purchè svolta in maniera prevalente, ha ritenuto confermato dalla istruttoria espletata il disimpegno, a partire dal novembre 2002, da parte della P. di mansioni riconducibili a tale declaratoria, mansioni consistite nella predisposizione di provvedimenti ed atti riservati al direttore di competenza, nel coordinamento di altri lavoratori e nella partecipazione, quale componente, a commissioni di gara;

1.3. che le doglianze articolate dalla società ricorrente, al di là della formale enunciazione della violazione (anche) di norme di diritto, si sostanziano nella denunzia di malgoverno delle risultanze istruttorie nel pervenire all’accertamento di fatto alla base della sentenza impugnata e risultano, quindi, intese, a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento del materiale probatorio, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357);

1.4. che, in particolare, con riguardo ai singoli rilievi formulati si osserva che il riferimento nella motivazione della sentenza impugnata alla “deposizione” della ricorrente P., esprime, al più, un’imprecisione terminologica, intrinsecamente inidonea ad inficiare l’accertamento del giudice di merito, frutto della valutazione coordinata e complessiva di una serie di elementi attinti alla prova orale (v. riferimento alla deposizione del teste S.) e, soprattutto, documentale (v. sentenza, pag. 4);

1.5. che la denunzia di “omesso esame” non è coerente con l’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando la stessa indicazione del fatto storico, di rilevanza decisiva ed oggetto di discussione fra le parti, il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito, tale fatto non potendo identificarsi, come sembra prospettare parte ricorrente, nella questione giuridica della inquadrabilità della P. nella posizione reclamata, questione che definisce la res controversa sulla quale il giudice di merito è stato chiamato a pronunziarsi;

1.6. che la doglianza avente ad oggetto il mancato riconoscimento della natura confessoria delle dichiarazioni della P. in sede di libero interrogatorio è inammissibile in quanto, trattandosi di questione giuridica implicante accertamento di fatto, non trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, costituiva onere del ricorrente – onere che in concreto non è stato adempiuto -, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa.” (v. tra le altre, Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540);

1.7. che il rilievo di non riconducibilità alla declaratoria relativa alla posizione organizzativa A1 dei compiti svolti dalla P. la quale si limitava solo a siglare gli atti e provvedimenti che venivano sottoscritti dal superiore il quale ne assumeva la relativa responsabilità, risulta ininfluente alla luce del fatto che il giudice di appello ha dimostrato di collegare il diritto al superiore inquadramento (anche) allo svolgimento di compiti diversi ed ulteriori quali il coordinamento di lavoratori e la partecipazione, come componente, alle commissioni di gara, (rispettivamente ipotesi sub a) ed f) della declaratoria contrattuale), ritenuti, con affermazione rimasta incontrastata, ciascuno idoneo, alla stregua della declaratoria contrattuale, a giustificare l’inquadramento reclamato;

2. che al rigetto del ricorso consegue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza;

3. che la circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore dell’Avv. Pasquale Nappi, antistatario.

Ai sensi dl D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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