Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.25309 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28722-2014 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO AMBROSIO 4, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO BELLOMI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A. – AZIENDA NAZ.AUT.DELLE STRADE C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALNERINA 40, presso lo studio dell’avvocato GINO SCARTOZZI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8088/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 08/02/2014, R.G.N. 7930/2010.

RILEVATO

1. Che la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha respinto integralmente la domanda di T.S., inquadrato nella posizione economica B1 di cui al c.c.n.l. applicabile, intesa all’accertamento del diritto all’inquadramento nella posizione A1 – Area quadri ed alla condanna della convenuta ANAS s.p.a. al risarcimento del danno da demansionamento;

1.1. che la domanda di superiore inquadramento è stata respinta non essendo emerso dalla espletata istruttoria il fondamentale aspetto della assunzione di decisione e di responsabilità economiche rilevanti richiesto per l’inquadramento nella posizione economica ed organizzativa A1 e stante la carente allegazione relativa alla complessità e variabilità dei compiti, all’autonomia decisionale, al controllo su “significativi” gruppi di risorse umane; il formale incarico di caporeparto non implicava il diritto all’inquadramento reclamato fondato sulla considerazione che molti caporeparto erano inquadrati in A1, stante l’assenza nell’ordinamento di lavoro privato, del principio di parità di trattamento;

1.2. che la prova orale e documentale aveva escluso in relazione all’epoca successiva al trasferimento dall’Ispettorato 4 all’Ispettorato 1 sia la esistenza di un periodo di totale demansionamento sia l’assegnazione di compiti dequalificanti ed inferiori a quelli corrispondenti alla qualifica rivestita;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso T.S. sulla base di nove motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1.1. cod. proc. civ..

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 74 e 75 c.c.n.l. 2002 nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Censura la sentenza impugnata per non avere offerto una puntuale e pertinente individuazione delle caratteristiche proprie delle mansioni attribuite dal contratto collettivo alla posizione A1 e per avere omesso di considerare la corrispondenza delle dette mansioni con quelle proprie della posizione funzionale posseduta; assume che l’art. 75, comma 1, lettera d) c.c.n.l. prevedeva un ampio spettro di ben sette ipotesi ciascuna delle quali concretava lo svolgimento di compiti idonei all’inquadramento in A1 e che il giudice di appello aveva errato mostrando di esigere, A1 fine del riconoscimento dell’inquadramento reclamato, la contemporanea presenza di tutte le ipotesi contemplate nella declaratoria. Contesta, quindi, la interpretazione della declaratoria contrattuale la quale, sostiene, non richiederebbe necessariamente l’assunzione di responsabilità sotto il profilo economico di autorizzazione della spesa bensì la responsabilità diretta ed autonomia decisionale in compiti complessi e altamente variabili sulla base di direttive generali. Contesta, infine, mediante richiamo alla prova orale e documentale, l’accertamento di fatto relativo all’attività del T. in relazione alle verifiche connesse agli elaborati progettuali provenienti dai Dipartimenti;

2. che con il secondo motivo deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, costituito dal l’ordine di servizio che attribuiva al T. la qualifica di capo reparto e dai successivi che lo avrebbero demansionato a mero assistente di altri caporeparto; ribadisce la incompatibilità delle assegnate mansioni di capo reparto con l’inquadramento in B1;

3. che con il terzo motivo di ricorso denunzia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti rappresentato dall’affermazione del teste S. il quale aveva dichiarato che la verifica di compatibilità relativa al programma di sicurezza stradale attribuita al T. riguardava ogni tipo di progetto relativo a tale programma a prescindere dall’importo dei lavori; lamenta l’omessa considerazione della deposizione del teste P.V. che avrebbe collegato univocamente alla qualifica di Capo reparto la posizione A1.

4. che con il quarto motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti con riguardo ad ulteriori risultanze isruttorie in punto di esclusione del demansionamento, richiamando, in particolare le deposizioni dei testi M. e P.;

5. che con il quinto motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e dell’art. 416 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione del principio di non contestazione, censurando la sentenza impugnata per avere omesso di rilevare che la circostanza che al T. era stata riconosciuta la qualifica di Capo Reparto per poi esserne privato, non era mai stata contestata da ANAS s.p.a. così come non era ai stata contestata la descrizione delle mansioni in concreto svolte fino al dicembre 2003, essendosi la difesa della società incentrata sulla non riconducibilità di detti compiti all’inquadramento reclamato;

6. che con il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione D.Lgs. 9 luglio 2003, n. 216, della L. 4 agosto 1955, n. 848, della L. 25 ottobre 1977, n. 881 nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti. Censura l’affermazione della Corte di merito in punto di ritenuta insussistenza nel nostro ordinamento del principio di parità di trattamento ed invoca a tal fine il D.Lgs. n. 216 del 2003 cit., artt. 1 e 3 in tema di divieto di discriminazioni, e, con riferimento al diritto alla eguale remunerazione per eguale lavoro, la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo resa esecutiva in Italia con L. n. 848 del 1955 cit. e la Convenzione di New York resa esecutiva in Italia con L. n. 881 del 1977 cit.. Il fatto storico di cui denunzia l’omesso esame è costituito dalla circostanza che i colleghi del T., F. e S., i quali svolgevano le sue stesse mansioni erano inquadrati nel livello A1;

7. che con il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, censurando la sentenza impugnata per avere posto a carico del lavoratore l’onere di provare il demansionamento laddove, in base al principio affermato da Cass. Sez. Un. 30/10/2001 n. 13533, la prova dell’esatto adempimento doveva ritenersi gravare sulla parte datoriale;

8. che con l’ottavo motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti e violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere omesso la indagine fra le mansioni comparative svolte dal T. quale Capo reparto e quelle espletate in seguito ai dedotti trasferimenti;

9. che con il nono motivo deduce omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti. Premesso che con l’accoglimento del gravame della società la Corte di merito aveva implicitamente respinto anche la domanda del lavoratore attinente al mobbing ed al relativo risarcimento del danno, ha dichiarato di voler insistere su tali domande evidenziando che l’accoglimento del ricorso per cassazione e il rinvio ad altro giudice di secondo grado avrebbe implicato per quest’ultima anche la necessità di trattare tale domanda;

10. che preliminarmente deve essere disattesa la eccezione di ANAS s.p.a. relativa alla violazione del termine semestrale di impugnazione di cui all’art. 327 cod. proc. civ. atteso che al presente giudizio, in ragione della data di deposito del ricorso di primo grado (il 20.6.2007), anteriore al 4 luglio 2009, trova applicazione, ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58,comma 1, il precedente termine annuale, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (v. tra le altre Cass. 06/10/2015 n. 19969; Cass. 21/06/2013 n. 15741);

11. che il primo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità in alcune delle censure articolate. In primo luogo, esso prospetta una pluralità di questioni, precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate oltre che dalla denunzia di omesso esame ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, questioni in relazione alle quali la continua mescolanza tra i profili attinenti all’accertamento di fatto con quelli attinenti alla violazione e falsa applicazione delle norme collettive, non sempre consente di raggiungere il livello di chiarezza necessario alla corretta individuazione delle censure mosse alla sentenza impugnata, come prescritto (Cass. 14/09/2016 n.18021). In secondo luogo, la narrazione dei fatti di causa è carente nella esposizione delle allegazioni in fatto formulate con il ricorso di primo grado e delle difese sviluppate sul punto da ANAS, carenza che pregiudica la intellegibilità di alcune delle doglianze formulate. Infine, il riferimento agli atti e documenti di causa della cui omessa o erronea valutazione la parte ricorrente si duole, non è articolato con modalità conformi alla previsione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 la quale esige il rispetto del duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte. (Cass. 12/12/2014, n. 26174);

12. che tanto premesso, in relazione alle censure delle quali non è pregiudicata in ragione della richiamata tecnica redazionale la intellegibilità, si osserva che: a) la censura con la quale si addebita alla sentenza impugnata di non avere considerato che i dipendenti in posizione B della relativa declaratoria non potevano essere titolari di un reparto e che il T. era stato indicato tra i capi reparto nell’Ordine di servizio n. 520 del 22.12.2003 è inammissibile sia in quanto non riproduce 1"intero contenuto del richiamato ordine di servizio, sia perchè non dà contezza del contenuto delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate nel giudizio di merito con specifico riferimento alla questione della qualifica di Capo reparto attribuita al T., indicazioni indispensabili tanto più che la sentenza impugnata ha mostrato di considerare che la pretesa al superiore inquadramento per il riconoscimento di tale qualifica era fondato non sull’espletamento di mansioni corrispondenti al livello rivendicato ma sul fatto che molti capo reparto erano inquadrati nel livello A1; b) la censura con la quale si contestano la ampiezza e le caratteristiche dei compiti espletati dal T. in relazione ai livelli di autonomia e responsabilità nell’attività di verifica degli elaborati progettuali pervenuti dai compartimenti, quale ricostruita dal giudice di appello e se ne deduce la riconducibilità all’inquadramento reclamato, non è articolata con modalità idonee ad inficiare la ricostruzione del giudice di merito, per l’assorbente rilievo che non è individuato neppure il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di appello, con carattere di decisività (v. Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053). Tale fatto non potrebbe essere costituito dalle dichiarazioni rese dal teste S., la cui deposizione è stata espressamente presa in considerazione nella sentenza impugnata, trattandosi oltretutto di elemento privo di decisività in quanto suscettibile di apprezzamento probatorio destinato a concorrere unitamente agli altri alla ricostruzione fattuale alla base del decisum; c) la censura con la quale si ascrive alla sentenza impugnata di avere interpretato la previsione nel senso di richiedere per l’inquadramento in A1 il ricorrere in via cumulativa e non alternativa di tutte e sette le ipotesi previste dalla norma collettiva non trova riscontro nella motivazione; d) le ulteriori censure che imputano al giudice di appello di avere preso in considerazione parametri, – assunzione di decisione e responsabilità economica – estranei alla norma collettiva, sono inammissibili in quanto non si confrontano con il percorso argomentativo della decisione in quanto, anche a voler considerare come ipotesi autonomamente giustificativa del riconoscimento del superiore inquadramento, quella relativa allo svolgimento di compiti di istruzione e predisposizione diretta di atti e procedure (non richiedente, quindi, assunzione di responsabilità mediante sottoscrizione degli atti) si rileva che il giudice di appello ha comunque escluso, con accertamento di fatto non inficiato dalle censure articolate, che tali compiti presentassero quei connotati di complessità espressamente richiesti dalla norma collettiva; e) che la censura con la quale si ascrive al giudice di appello di non avere comunque considerato che anche l’attività di coordinamento di A1 Tecnico specializzato comportava lo svolgimento con autonomia funzionale ed organizzativa nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentali, di attività di direzione e coordinamento del proprio reparto specialistico in relazione allo specifico indirizzo professionale ed era, pertanto riconducibile all’inquadramento reclamato, è inammissibile in quanto non si confronta con l’affermazione del giudice di appello in ordine alla carenza di allegazioni in fatto sul punto nella originaria domanda;

13. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile dovendosi richiamare quanto già osservato al paragrafo 12 sub a) in ordine al difetto di autosufficiente esposizione della vicenda processuale nelle fasi di merito con riferimento alla richiesta di superiore inquadramento collegata alla qualifica di capo reparto, non essendo a tal fine sufficiente il mero richiamo alle pagine del ricorso di primo grado in assenza della trascrizione o del riassunto dei pertinenti brani dell’atto introduttivo destinati ad evidenziare il tenore delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto a riguardo esplicitate;

14. che il terzo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile, sostanzialmente per le ragioni già evidenziate al paragrafo 12 sub b) nell’esame del primo motivo; esso non è, infatti, articolato con modalità conformi all’attuale configurazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 mancando la identificazione del fatto storico di rilevanza decisiva, oggetto di discussione tra le parti; tale fatto non potrebbe identificarsi nelle deposizioni che fanno riferimento a circostanze che in quanto suscettibili, nella loro valenza indiziaria, di vario apprezzamento probatorio, sono privi di decisività;

15. che il quarto motivo di ricorso è inammissibile sia in quanto inteso a sollecitare direttamente un diverso apprezzamento di fatto del materiale probatorio ed in particolare delle deposizioni testimoniali menzionale, apprezzamento precluso al giudice di legittimità (Cass. 4/11/2013 n. 24679, Cass. 16/12/2011 n. 2197, Cass. 21/9/2006 n. 20455, Cass. 4/4/2006 n. 7846, Cass. 7/2/2004 n. 2357), sia perchè, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non risulta riprodotto il contenuto degli atti e documenti della cui omessa o errata valutazione parte ricorrente si duole;

16. che il quinto motivo di ricorso è inammissibile;

17. che questa Corte ha chiarito che ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica.(Cass. 24062 del 12/10/2017);

18. che l’esposizione delle censure non è coerente con tali indicazione attesa che non viene riprodotto il contenuto delle difese svolte dall’ANAS s.p.a. in sede di memoria di costituzione essendo a tal fine insufficiente la riproduzione solo parziale di brani di tale scritto difensivo inidoneo a dare contezza della posizione difensiva di ANAS;

19. che il sesto motivo di ricorso è inammissibile per il dirimente rilievo che la censura sul punto non è sorretta dalla esposizione delle allegazioni in fatto e deduzioni in diritto formulate nel ricorso introduttivo dal T. e della posizione a riguardo assunta dalla società nonchè dei termini con i quali si è sviluppato il contraddittorio nelle fasi di merito in relazione alla questione relativa alla parità di trattamento ed alla violazione della direttiva comunitaria in tema di divieto di discriminazione;

19.1. che dalla sentenza impugnata (v. pag.4, primo capoverso) si evince esclusivamente che la richiesta di superiore inquadramento è stata dal dipendente ancorata alla mera circostanza del fatto che altri dipendenti con incarico di Caporeparto erano inquadrati in A1, la quale non implica necessariamente che nella fase di merito sia stata prospettata una questione di diritto alla parità di trattamento legata alla parità di lavoro e, men che meno, una questione di violazione del principio di non discriminazione; ciò anche alla luce della ulteriore precisazione formulata dalla sentenza impugnata secondo la quale dalla documentazione prodotta risultava che non tutti i capo reparto erano inquadrati in A1;

19.2. che tali rilievi assorbono anche la denunzia di “omesso esame” in relazione alla quale valgono, altresì le considerazioni espresse al paragrafo 12 sub b);

20. che il settimo motivo è infondato atteso che il rigetto della domanda relativa al demansionamento non è stata dal giudice di appello fondata sul mancato assolvimento da parte del T. dell’onere probatorio posto a carico di questi ma sull’accertamento in concreto, sulla base delle emergenze in atti, dell’insussistenza di tale demansionamento;

21. che l’ottavo motivo di ricorso è infondato in quanto, a differenza di quanto assume parte ricorrente la sentenza impugnata ha espressamente valutato, sulla base di accertamento di fatto non inficiato da valida censura, la riconducibilità delle mansioni espletate nel periodo di preteso demansionamento ai compiti corrispondenti all’inquadramento della società;

22. che il nono motivo è inammissibile in quanto non svolge alcuna specifica censura alla sentenza impugnata limitandosi a dichiarare di voler insistere sulla domanda del lavoratore intesa al risarcimento del danno da “mobbing”, domanda che assume implicitamente respinta dalla sentenza impugnata e che richiama al fine di evidenziare l’obbligo del giudice del rinvio, in ipotesi di cassazione della sentenza impugnata, a pronunziare anche su tale domanda;

che al rigetto del ricorso segue la regolamentazione secondo soccombenza delle spese di lite.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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