LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 15234-2015 proposto da:
F.P., domiciliato in ROMA ex lege, P.ZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE rappresentato e difeso dall’avvocato GIANPAOLO DI PIETTO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, elettivamente domiciliato in RO,A, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 685/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/11/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE D’ASCOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto dei primi due motivi, per l’accoglimento del terzo motivo e per l’assorbimento del quarto motivo del ricorso;
udito l’Avvocato DI PIETTO Gianpaolo, difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1) La controversia concerne la sanzione pecuniaria di 21.977,00 Euro irrogata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze al ricorrente, per essere stato trovato in possesso, mentre entrava in territorio italiano provenendo dalla Svizzera, di danaro, titoli e valori non dichiarati.
In particolare era stato contestato il possesso di 10 certificati azionari al portatore della società Performance development Partners di ***** per un valore nominale di circa 83mila Euro e di una somma in contanti di 238.640,00 Euro.
Il tribunale di Como con sentenza n. 1642/2914 rigettava l’opposizione proposta dall’incolpato F.P..
La Corte di appello di Milano rilevava la assenza di adeguata motivazione della prima decisione, ma con sentenza 19 febbraio 2015 rigettava il gravame interposto dall’opponente.
Questi ha proposto ricorso il 5 giugno 2015 svolgendo quattro motivi.
Il Ministero, difeso dall’avvocatura dello stato, ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2) Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 8 adducendo che il provvedimento era stato emesso tardivamente, cioè oltre il termine di 180 giorni previsto dall’art. 8, comma 3 pur se aumentato di ulteriori sessanta giorni, ex comma 4, a causa della richiesta di audizione formulata dall’interessato.
Deduce che il provvedimento è stato adottato il 17 maggio 2013, quando il termine era spirato, perchè il Ministero aveva avuto “integrale e completa conoscenza” dell’atto presupposto, cioè del verbale dell’Ufficio Dogane, il 16 luglio 2012, data in cui era pervenuto al Ministero copia del processo verbale inviata dallo stesso ricorrente in allegato alla richiesta di audizione.
La Corte di appello ha respinto la tesi della equipollenza tra conoscenza del verbale da parte del Ministero tramite via amministrativa interna o tramite ricezione proveniente dall’interessato.
Ha osservato che il verbale era stato formalmente ricevuto dal Ministero il 19 ottobre 2012, a nulla rilevando gli scritti difensivi prodotti dalla parte.
2.1) La sentenza impugnata merita conferma.
Il vecchio testo del D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 8 prevedeva che: “1. Chi non si avvale della facoltà prevista dall’art. 7 può presentare scritti difensivi e documenti al Ministero dell’economia e delle finanze, nonchè chiedere di essere sentito dalla stessa Amministrazione, entro il termine di trenta giorni dalla data di ricezione dell’atto di contestazione.
2. Il Ministero dell’economia e delle finanze, udito il parere della commissione di cui al D.P.R. 14 maggio 2007, n. 114, art. 9 determina con decreto motivato la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento.
3. Il decreto di cui al comma 2 è adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze nel termine perentorio di centottanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 1.”
La norma di cui al comma terzo è stata modificata nel 2012 (L. n. 46), divenendo la seguente: “3. Il decreto di cui al comma 2 è adottato dal Ministero dell’economia e delle finanze nel termine perentorio di centottanta giorni dalla data in cui riceve i verbali di contestazione.”
In tal modo è stato reciso ogni ambiguo collegamento tra il termine per l’adozione del provvedimento sanzionatorio e l’iniziativa difensiva del trasgressore prevista al comma 1. Punto di riferimento per l’adozione del provvedimento è la ricezione del verbale da parte del Ministero.
La norma fa in tal modo riferimento all’obbligo di trasmissione del verbale di contestazione che incombe sull’autorità che ha provveduto alla constatazione della violazione. L’art. 4, comma 6 prevede infatti: “6. I verbali di contestazione sono conservati in forma nominativa per la durata di dieci anni e sono trasmessi al Ministero dell’economia e delle finanze, tramite supporti informatici, entro sette giorni dalla data di contestazione ai fini del procedimento sanzionatorio di cui al presente decreto.”
E’ evidente dunque che il termine perentorio per l’adozione del provvedimento decorre soltanto dalla data in cui è avvenuta la rituale trasmissione prevista (con termine ordinatorio) dalla disposizione citata. A nulla rileva quindi la conoscenza della contestazione avvenuta aliunde.
Nè potrebbe essere diversamente, giacchè, in presenza di un termine perentorio il dato di decorrenza dell’attività sanzionatoria deve essere necessariamente agganciato a un momento procedimentale certo e interno all’amministrazione.
Quest’ultima deve infatti poter organizzare il servizio relativo alle sanzioni da irrogare in termini brevi sulla base del prevedibile contenuto degli atti che riceve da fonte qualificata e secondo un canale all’uopo specificamente previsto.
Se così non fosse, l’amministrazione finanziaria sarebbe costretta a uno scrutinio occhiuto e minuzioso di ogni atto e relativi allegati (come nella specie) proveniente dai privati, per scoprire l’eventuale presenza in esso di verbali di contestazione di violazioni valutarie da sanzionare: il che, oltre che contrario alla sopraindicata interpretazione letterale del testo normativo, sarebbe palesemente illogico e contrastante con ogni canone di buon andamento dei servizi amministrativi.
Restando perciò prive di peso le ardite comparazioni, prospettate in ricorso, con la materia disciplinare, segnata da peculiarità non esportabili alla materia speciale qui esaminata.
La censura va quindi respinta.
3) Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di motivazione in relazione all’omesso esame del fatto decisivo, esposto in appello, relativo alla assenza di valore legale dei certificati azionari detenuti dal ricorrente, che non attribuivano al portatore alcun diritto di proprietà nella società.
In proposito il ricorso torna a esporre la tesi della peculiarità della normativa svizzera e la conseguente assenza del carattere di titoli al portatore dei documenti, sostituiti da atri titoli nominativi a seguito delle vicende societarie descritte in ricorso e nei precedenti scritti difensivi.
Sul punto la sentenza si è limitata a riferire che l’annullamento dei titoli provato dal ricorrente si riferirebbe a titoli diversi da quelli oggetto di contestazione indicati nel capo C) del verbale.
Il rilievo è contestato dal ricorso, che fa presente che i titoli indicati nel punto C e nel punto A) sono i medesimi e sono quelli per cui è stato eseguito il sequestro, come desumibile dal successivo punto D che escluse dal sequestro sette dei dieci certificati azionari contemplati al capo A).
La Corte di appello, al di là dell’incerta identificazione dei titoli oggetto del provvedimento, che dovrà essere riesaminata poichè i tre titoli sequestrati fanno parte dei dieci trasportati dalla parte secondo il verbale di accertamento doc 1 (illustrato con precisione a pag. 19 del ricorso e sommariamente in sentenza), non si è infatti preoccupata della tesi relativa al completo annullamento di tutti e dieci i titoli, ritenendolo avvenuto solo per alcuni di essi non oggetto di sanzione.
Il sommario esame condotto dalla Corte di appello non ha colto che il provvedimento cautelare non era dipeso dalla diversa natura attribuita ai titoli, su cui non v’è cenno nel provvedimento riportato nei passi salienti in ricorso, ma ai limiti di sequestrabilità cui all’art. 3 D.Lgs. indicati in ricorso.
In sostanza se i titoli erano stati annullati, come la stessa Corte ammette, essi non avevano valore ai fini della violazione valutaria, l’annullamento doveva essere verificato in relazione a tutti e il sequestro era possibile solo su percentuale dei titoli validi e non di tutti. La circostanza che alcuni fossero stati sequestrati e altri non lo fossero non era infatti motivata – nel provvedimento amministrativo impugnato – dal dedotto annullamento del valore dei titoli.
Si è avuto quindi un completo omesso esame della censura in relazione ai titoli sequestrati, perchè la decisione è stata veicolata su un presupposto (l’annullamento di alcuni titoli e non di altri) non posto a base del provvedimento E’ rimasta priva di esame la questione dell’integrale annullamento di tutti i titoli, su cui pertanto la Corte doveva pronunciarsi consapevolmente.
4) Il terzo motivo denuncia violazione del D.Lgs. n. 195 del 2008, art. 9 in relazione alla determinazione della sanzione, che secondo tale norma deve essere correlata al valore dei titoli.
Parte ricorrente assume che nella specie il valore dei titoli era pari a zero, perchè la società aveva patrimonio netto negativo, come da bilancio certificato a suo tempo prodotto.
Invoca pertanto Cass. 19020/09, a mente della quale “In tema di infrazioni valutarie, ai fini della quantificazione della sanzione per la violazione degli obblighi previsti dal D.L. 28 giugno 1990, n. 167, art. 3 convertito nella L. 4 agosto 1990, n. 227, in relazione all’importazione o esportazione di titoli e valori mobiliari, l’Amministrazione deve tener conto del valore reale e non del valore nominale del titolo”.
Anche questo motivo è fondato.
La Corte di appello ha apoditticamente affermato che la sanzione è stata “correttamente rapportata al valore nominale dei titoli”. In tal modo è andata in contrasto con il principio soprariportato, che va invece confermato.
Il giudice di rinvio, al quale la causa va rimessa, oltre ad accertare quanto rimessogli in relazione al secondo motivo, circa l’annullamento di tutti i certificati azionari, dovrà verificare se sia vero che all’epoca, secondo il diritto applicabile, le quote societarie non avessero valore reale e fossero quindi -o meno – assoggettabili a sanzione in caso di occulto trasferimento transfrontaliero.
5) Resta assorbito l’esame del quarto motivo, relativo alla misura del regolamento delle spese di lite.
PQM
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso.
Accoglie il secondo e il terzo motivo; dichiara assorbito il quarto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione seconda civile, il 7 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018