LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Lucio – rel. Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13889-2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
O.P.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A.
FARNESE n.7, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO BERLIRI, che unitamente all’avvocato MAURO BUSSANI lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1037/35/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 24/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, dal comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;
Con sentenza n. 1037/35/2016, depositata il 24 febbraio 2016, non notificata, la CTR della Lombardia accolse parzialmente l’appello proposto da O.P.I. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza di primo grado della CTP di Lecco, che aveva rigettato il ricorso del contribuente avverso l’avviso di accertamento per IRES, IVA ed IRAP relativo all’anno 2009, scaturente da indagini bancarie.
Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.
Il contribuente, che ha depositato controricorso, ha aderito alle conclusioni della difesa erariale.
1. Con l’unico motivo la ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 e art. 132 c.p.c., n. 4, per motivazione intrinsecamente illogica.
1.1. Il motivo è manifestamente fondato, ricorrendo, nella fattispecie in esame, un caso evidente di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, che comporta, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n 22232; Cass. sez. 3, 12 ottobre 2017, n. 23940), la nullità della sentenza impugnata, convertendosi, in tal caso, il vizio motivazionale in vizio di violazione di legge costituzionalmente rilevante.
1.2. Nella fattispecie in esame, nella quale l’accertamento nasceva da indagini bancarie che avevano portato l’Agenzia delle Entrate a rideterminare presuntivamente il reddito d’impresa del contribuente in Euro 578.197,00, la sentenza impugnata, dopo aver indicato che nessuna incidenza spiegava nella controversia in esame la declaratoria, ad opera di Corte cost. n. 228/2014, d’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, stante la natura di attività d’impresa (commercio all’ingrosso per cave ed edilizia) svolta dal contribuente, e dopo avere affermato che il contribuente non aveva provato costi deducibili, ha dato atto che il ricorrente aveva prestato acquiescenza all’accertamento limitatamente all’importo di Euro 70.515,00 sui prelevamenti e versamenti ritenuti dall’Amministrazione non giustificati.
1.3. Sennonchè la sentenza impugnata ha quindi detratto detto importo dal maggior reddito d’impresa presuntivamente accertato dall’Amministrazione, quantificando il maggior reddito d’impresa in Euro 507.682,00, laddove, evidentemente, la succitata parziale acquiescenza del contribuente avrebbe comportato unicamente l’effetto di ritenere definitivamente accertato, nell’ambito del maggior reddito d’impresa per l’anno di riferimento di cui all’atto impositivo, il minore importo per il quale il contribuente, aveva ritenuto di non poter offrire giustificazioni circa la non riconducibilità d’impresa degli anzidetti versamenti e prelevamenti per Euro 70.515,00; con la conseguenza che, in esito a verifica del difetto di prova contraria idonea a vincere la presunzione di cui al citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, l’accertamento avrebbe dovuto trovare integrale conferma.
2. L’irriducibile contrasto tra le sopra riportate affermazioni rese nell’impugnata sentenza della CTR omporta, in accoglimento del ricorso, la cassazione, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, che provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018