LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1915-2017 proposto da:
M.C., M.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA A. DE GASPERI n.35, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA GRAZIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato FULVIO RICCA;
– ricorrenti –
contro
COMUNE GIUNGANO C.F. *****, in persona del Sindaco e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO n.9, presso lo studio dell’avvocato BENEDETTA CIRRINCIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ALFONSO PONTONE;
– controricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – C.F. *****, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
contro
ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A., DITTA FUOCHI ARTIFICIALI DI D.M.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 670/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata i124/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.
RILEVATO IN FATTO
Che:
1. Nel 2003, M.D., quale genitore esercente la patria potestà sul figlio C., conveniva dinanzi al Tribunale di Salerno il Comune di Giungano e il Ministero dell’Interno, al fine di sentirli condannare, in solido, al risarcimento dei danni occorsi al minore a causa dell’esplosione di un petardo da questi raccolto, residuo dei fuochi d’artificio realizzati in occasione della festa patronale del Comune di Giungano. In particolare, parte attrice eccepiva la responsabilità dell’Ente comunale per aver omesso la bonifica della strada dopo lo spettacolo pirotecnico, e quella del Ministero dell’Interno, per avere il Sindaco autorizzato l’accensione dei fuochi d’artificio. Su richiesta del Comune di Giungano, venivano chiamate in giudizio la ditta D.M. e la Assicurazioni Generali Spa, quale sua compagnia assicuratrice.
Con sentenza 2180/2009, il Tribunale di Salerno accoglieva la domanda attorea, ritenendo provata la sussistenza del nesso causale tra il fatto dedotto in giudizio e l’evento lesivo. In particolare, il Giudice di prime cure accertava la responsabilità del Comune di Giungano ex art. 2051 cc, della Ditta terza interveniente ex 2050 c.c., trattandosi di attività pericolosa, nonchè quella del Ministero dell’Interno ex art. 2043 c.c., condannandoli in solido al risarcimento in favore di M.C..
2. La Corte d’Appello di Salerno con sentenza n. 670 del 24 novembre 2016, confeintava quanto già statuito in primo grado in ordine alla riconducibilità eziologica delle lesioni subite dal T. allo spettacolo pirotecnico avuto luogo nel Comune di Giungano. La Corte rigettava altresì la censura sollevata in relazione alla mancata valutazione di concause idonee ad interrompere il nesso causale, ritenendo che in primo grado fossero stati correttamente esaminati obblighi e posizioni di ciascuna parte convenuta, sì da giustificare la configurabilità della responsabilità solidale ex art. 2055 c.c..
Per contro, trovava accoglimento la censura concernente la liquidazione del danno non patrimoniale da riduzione della capacità lavorativa specifica, avendo il Giudice di prime cure erroneamente incrementato la percentuale di invalidità stimata dal ctu, piuttosto che la somma determinata a titolo di risarcimento mediante l’applicazione delle tabelle di Milano. Ne derivava il ricalcolo della somma liquidata in primo grado. Inoltre, la Corte escludeva il riconoscimento del danno patrimoniale per la perdita della capacità lavorativa specifica, non essendo stata dimostrata la riduzione della astratta capacità reddituale futura.
3. Davide e M.C. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, per due motivi articolati in più censure. Il Comune di Giungano resiste con controricorso.
4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.
4.1. Il ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.
6.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1226,2056 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Parte ricorrente lamenta l’erronea valutazione operata dal Giudice di merito nel qualificare il danno subito dal M. come danno da perdita della capacità lavorativa specifica, anzichè generica. In secondo luogo, si eccepisce che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente sussunto detta fattispecie nell’ambito del danno non patrimoniale, essendo il soggetto leso un minore con capacità lavorativa soltanto potenziale.
In realtà, malgrado tale ultima circostanza, si tratterebbe pur sempre di un danno di natura patrimoniale. Il M. lamenta l’erroneità della sentenza di secondo grado anche nella parte in cui la Corte non riteneva provata la perdita della astratta capacità reddituale futura, ai fini della liquidazione del danno da lucro cessante, potendo essere tale pregiudizio dedotto presuntivamente. Si lamenta altresì il mancato riconoscimento della liquidazione autonoma del danno esistenziale, genericamente ricondotto all’interno del danno non patrimoniale liquidato nella misura del 20%.
6.2. Con il secondo motivo si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Parte ricorrente chiede la riforma della sentenza di secondo grado nella parte relativa alla definizione delle spese di lite, essendo stati i motivi di appello delle controparti rigettati, fatta eccezione per quello relativo alla quantificazione del risarcimento in favore del M..
7. Il primo motivo è infondato perchè i ricorrenti non colgono la ratio decidendi della sentenza. Il giudice del merito ha qualificato il danno come perdita di capacità lavorativa generica come si evince chiaramente dalla sentenza e l’ha liquidata come danno non patrimoniale ed ha escluso invece il danno da capacità lavorativa specifica che rientra nella categoria del danno patrimoniale (cfr. pag. 26 e ss- della sentenza impugnata) perchè non provato.
Infatti per quanto riguarda il risarcimento del danno alla persona, quello da riduzione della capacità lavorativa generica non attiene alla produzione del reddito, ma si sostanzia – in quanto lesione di un’attitudine o di un modo d’essere del soggetto – in una menomazione dell’integrità psico-fisica risarcibile quale danno biologico (Cass. 18161/2014).
Invece il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all’integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, nè tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica, sicchè è onere del danneggiato – per consentire al giudice di procedere ad una liquidazione del danno patrimoniale futuro con criteri presuntivi, e ciò anche nei casi in cui la ricorrenza dello stesso risulti altamente probabile per l’elevata percentuale di invalidità permanente – supportare la richiesta risarcitoria con elementi idonei alla prova del pregresso effettivo svolgimento di attività economica, ovvero del possesso di una qualificazione professionale acquisita e non ancora esercitata (Cass. n. 14517/2015).
Anche per quanto riguarda la censura relativa alla mancata liquidazione del danno esistenziale occorre precisare quanto segue.
Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) integrano componenti autonome dell’unitario danno non patrimoniale, le quali, pur valutate nello loro differenza ontologica, devono sempre dar luogo ad una valutazione globale. Ne consegue che, ove s’impugni la sentenza per la mancata liquidazione del cosiddetto danno morale, non ci si può limitare ad insistere sulla separata liquidazione di tale voce di danno, ma è necessario articolare chiaramente la doglianza come erronea esclusione, dal totale liquidato, nella specie, in applicazione delle cosiddette “tabelle di Milano”, delle componenti di danno diverse da quella originariamente descritta come “danno biologico”, risultando, in difetto, inammissibile la censura, atteso il carattere tendenzialmente onnicomprensivo delle previsioni delle predette tabelle.
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione di interessi costituzionalmente protetti, il giudice di merito, dopo aver identificato la situazione soggettiva protetta a livello costituzionale, deve rigorosamente valutare, sul piano della prova, tanto l’aspetto interiore del danno (c.d. danno morale), quanto il suo impatto modificativo “in pejus” con la vita quotidiana (il danno c.d. esistenziale, o danno alla vita di relazione, da intendersi quale danno dinamico-relazionale), atteso che oggetto dell’accertamento e della quantificazione del danno risarcibile – alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (sent. n. 235 del 2014) e del recente intervento del legislatore (artt. 138 e 139 C.d.A., come modificati dalla legge annuale per il Mercato e la Concorrenza del 4 agosto 2017 n. 124) – è la sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto, la quale, nella sua realtà naturalistica, si può connotare in concreto di entrambi tali aspetti essenziali, costituenti danni diversi e, perciò, autonomamente risarcibili, ma solo se provati caso per caso con tutti i mezzi di prova normativamente previsti (Cass. 901/2018).
Nel caso di specie la Corte d’Appello di Salerno ha tenuto debitamente conto del danno patito dal ricorrente sotto il profilo esistenziale procedendo alla personalizzazione del danno non patrimoniale mediante un aumento del quantum risarcibile richiamando anche gli specifici elementi da tenere in considerazione.
7.1. Il secondo motivo è inammissibile perchè oltre ad essere un non motivo, il giudice fa una valutazione complessiva dell’esito del giudizio per la liquidazione delle spese.
8. Le spese seguono la soccombenza.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore del Comune di Giungano, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge; e nei confronti del Ministero dell’interno liquida Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002 art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018