Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25348 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11376-2017 proposto da:

P.F., elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO n. 9, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO BAUZULLI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PA.DA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO n. 50, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ROMITI, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3323/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

RILEVATO

che:

1. Con decreto ingiuntivo 22778/2008, emesso su istanza di Pa.Da., il Tribunale di Roma ingiungeva a P.F. di pagare in favore dell’istante la somma di Euro 21.000, oltre interessi e spese della fase monitoria, quale ammontare, mai restituito, di due assegni postali corrisposti dal P. a titolo di prestito personale. L’ingiunto proponeva tempestiva opposizione, assumendo che l’indicata somma costituiva il corrispettivo della cessione dell’azienda “Onoranze funebri Fam. P.”, effettuata da R.M.G., madre del P.. Dall’istruttoria emergeva che il contratto di cessione si era comunque risolto, dunque il Tribunale di Roma, con sentenza 16533/2011, rigettava l’opposizione, ritenendo valida la pretesa cartolare fatta valere in sede monitoria dal Pa..

2. Il P. proponeva appello avverso la predetta pronuncia.

La Corte d’Appello di Roma con sentenza 3323 del 24 maggio 2016, rigettava il gravame, ritenendo, innanzitutto, che la quietanza di pagamento sottoscritta dalla R. dovesse ritenersi priva di valenza probatoria poichè, non essendo stata prodotta dalla controparte, avrebbe dovuto costituire oggetto di conferma in sede testimoniale. In secondo luogo, la Corte riteneva infondato l’appello, in forza della ragione assorbente per cui il Tribunale aveva motivato il rigetto dell’opposizione facendo riferimento all’espressa indicazione sugli assegni della natura di prestito personale degli stessi in favore del P..

3. P.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello, con un motivo. Pa.Da. resiste con controricorso.

3.1. Tutte le parti depositano memoria.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denunzia la nullità della sentenza ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, non essendosi la Corte d’Appello pronunciata sul fatto storico principale della sussistenza del rapporto contrattuale di cessione d’azienda dedotto in giudizio. Ciò premesso, la motivazione posta a fondamento della decisione risulta conseguenzialmente apparente, non prendendo in considerazione quanto contestato nell’atto d’appello dal P..

Il motivo è inammissibile perchè richiede una rivalutazione di merito. Ed in ogni caso non sussiste il vizio lamentato dal ricorrente perchè il giudice ha ritenuto assorbente per l’accoglimento della domanda che il Pa. abbia fornito la prova della sua pretesa ovvero che l’obbligazione risarcitoria discendesse dalla natura di prestito personale facendo riferimento ad una serie di prove valutate dal giudice di primo grado. Pertanto la motivazione è tutt’altro che apparente.

Inoltre è principio consolidato di questa Corte che con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7921/2011). Inoltre la seconda parte del motivo è anche fuori dai limiti posti da Cass. 8053- 8054/2014.

7. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione sesta civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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