Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25359 del 11/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16271-2016 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

M.F., in qualità di erede di F.V., già erede di M.B.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 732/11/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di BOLOGNA, depositata il 18/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, dal comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue;

Con sentenza n. 732/11/2016, depositata il 18 marzo 2016, non notificata, la CTR dell’Emilia – Romagna rigettò l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della sig.ra F.V., quale erede del coniuge M.B., avverso la sentenza di primo grado della CTP di Bologna, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso diniego di definizione agevolata L. n. 289 del 2002, ex art. 12 relativamente a carichi pregressi per mancato versamento di IRPEF e di IVA per gli anni d’imposta dal 1993 al 1996.

Avverso la pronuncia della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo.

L’intimato M.F., a sua volta erede di F.V., non ha svolto difese.

1. La ricorrente Agenzia delle Entrate denuncia, con l’unico motivo di ricorso, violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la pronuncia impugnata ha ritenuto perfezionato il condono, nonostante la tardività del pagamento della seconda rata, per tutte le imposte in contestazione.

1.1. Il motivo, espressamente limitato dall’Amministrazione finanziaria alla sola non suscettibilità di applicazione del condono alle somme dovute per IVA, è manifestamente fondato.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. unite 17 febbraio 2010, nn. 3674 e 3676 e successiva giurisprudenza conforme, tra cui, sempre con riferimento all’art. 12 legge citata, Cass. sez. 5, 15 aprile 2016, n. 7481), ha chiarito che “In tema di condono fiscale, la L. n. 289 del 2002, art. 12 nella parte in cui consente di definire una cartella esattoriale con il pagamento del 25% dell’imposta iscritta a ruolo, comporta una rinuncia definitiva dell’Amministrazione alla riscossione di un credito già definitivamente accertato e va pertanto disapplicato, limitatamente ai crediti IVA, per contrasto con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17 maggio 1977, alla stregua di un’interpretazione adeguatrice imposta dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17 luglio 2008, in causa C- 132/06, con cui, in esito a procedura d’infrazione promossa dalla Commissione Europea, è stata dichiarata l’incompatibilità con il diritto comunitario (in particolare con gli artt. 2 e 22 della 6^ direttiva citata) degli artt. 8 e 9 medesima legge, nella parte in cui prevedono la condonabilità dell’IVA alle condizioni ivi indicate”.

La sentenza impugnata, che ha confermato l’accoglimento in toto, anche con riferimento all’IVA di cui alle menzionate cartelle, del ricorso della contribuente avverso il provvedimento di diniego di condono, si è posta dunque in contrasto con il principio di diritto sopra enunciato, applicabile nella fattispecie in esame.

1.2. Il ricorso dell’Amministrazione finanziaria va dunque accolto con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza limitatamente alla declaratoria di perfezionamento del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 12 riguardo al mancato versamento dell’IVA per gli anni d’imposta dal 1993 al 1996.

1.3. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, dato atto della formazione del giudicato interno sull’illegittimità del diniego di condono relativamente agli importi dovuti per IRPEF e ritenute d’acconto dovute e non versate, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente avverso il diniego alla condonabilità dell’IVA.

2. Tenuto conto dell’andamento del giudizio, possono essere compensate tra le parti le spese del doppio grado di merito, ponendosi a carico dell’intimato, secondo soccombenza, le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente limitatamente al diniego di condono sull’IVA.

Dichiara compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna l’intimato al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 17 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2018

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