Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25372 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24951-2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 130, presso lo studio dell’avvocato ELISA NERI, rappresentato e difeso dall’avvocato RICCARDO CASARINI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MEDIOCREDITO ITALIANO SPA già LEASINT SPA in persona del procuratore Dott. H.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AMEDEO CRIVELLUCCI 21, presso lo studio dell’avvocato ANDREA LAMPIASI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato FERNANDO GABETTA giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2211/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/01/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/5/2015 la Corte d’Appello di Milano ha respinto il gravame interposto dal sig. G.G. in relazione alla pronunzia Trib. Milano 30/5/2010, di accoglimento della domanda nei suoi confronti originariamente proposta con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. dalla società Leasint s.p.a. di condanna al pagamento di somma a titolo di fideiussione, prestata in favore della società ***** s.r.l. all’esito della risoluzione di contratti di leasing con quest’ultima stipulati.

Avverso la suindicata decisione della corte di merito il G. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi.

Resiste con controricorso la società Mediocredito Italiano s.p.a. (già Leasint s.p.a.).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 1469 bis c.c., n. 19, D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 2, lett. u), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” del R.D. n. 267 del 1942, art. 24 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 2697 c.c., art. 702 ter c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” dell’art. 702 bis c.p.c., art. 63 L.F., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Va anzitutto osservato che manca invero nel ricorso l’esposizione del fatto e della storia del procedimento in termini comprensibili e stringenti cui ancorare le ragioni di censura, risultando a tale stregua non osservato il principio in base al quale il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3 postula che il ricorso per cassazione, pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia, offra elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti, ivi compresa la sentenza impugnata (v. Cass., 28/2/2006, n. 4403; Cass., 19/4/2004, n. 7392).

E ciò anche le in particolare, avuto riguardo al requisito – richiesto a pena di inammissibilità- ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nel caso non osservato laddove viene dal ricorrente operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (es., all'”atto di citazione in appello notificato in data 14.11.2011", alla sentenza di 1 grado, all'”atto introduttivo”, all'”ordinanza riservata 26-30.05.2011 (cfr. doc. 1 allegato atto di appello 10/11/2011)”, alla “clausola contrattuale di deroga della competenza ordinaria (recte, alla competenza per territorio”, al “contratto di fideiussione”, alla “clausola di pagamento a semplice richiesta”, alla “intervenuta tranzasione tra la Curatela del fallimento ***** e la società Leasint”, alla richiesta di “ammissione delle prove per testi, come capitolate nella memoria autorizzata 18.04.2011", nonchè l’ordine di acquisizione agli atti del giudizio di documenti… (copia dello stato passivo del fallimento, della perizia estimativa dei beni di cui è causa e del riferito accordo transattivo)”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle sole deduzioni contenute nel medesimo, (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).

E’ al riguardo appena il caso di osservare, avuto in particolare riguardo al 1 motivo (con il quale il ricorrente si duole che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine alla insussistenza dei presupposti di una pronuncia ex art. 702 bis c.p.c., avendo richiesto “fin dall’atto introduttivo l’ammissione di prova per testi e per interrogatorio formale”) che (anche) ai fini della censura di ex art. 112 c.p.c. i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.

I requisiti di formazione del ricorso rilevano infatti ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Nè può assumere in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tale ipotesi (anche) “giudice del fatto”.

Risponde invero a principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità che il requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., n. 6 deve essere dal ricorrente comunque rispettato nella redazione del ricorso per cassazione (come ripetutamente affermato in particolare con riferimento all’ipotesi ex art. 112 c.p.c.: cfr. Cass., Sez. Un., 14/5/2010, n. 11730; Cass., 17/1/2007, n. 978. E, da ultimo, Cass., 13/2/2018, n. 3406), giacchè pur divenendo la Corte di legittimità giudice anche del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934, Cass., 25/9/2017, n. 22333 e Cass., 13/2/2018, n. 3406).

A tale stregua, l’accertamento in fatto e le relative valutazioni operate dalla corte di merito nell’impugnata sentenza rimangono invero non idoneamente censurate dall’odierno ricorrente.

Senza sottacersi che nella specie si appalesa invero la sussistenza della diversa ipotesi della decisione implicita in argomento.

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici di merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.800,00, di cui Euro 7.600,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore della controricorrente.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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