LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27778-2016 proposto da:
VITTORIA ASSICURAZIONI SPA in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO FRANCESCO GALANTINI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore p.t., domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
– controricorrente –
e contro
FALLIMENTO ***** SPA;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4573/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/05/2018 dal Consigliere Dott. MARIO CIGNA.
FATTI DI CAUSA
Vittoria Assicurazioni SpA propose opposizione avverso ingiunzione di pagamento di Lire 609.406.924 (pari ad Euro 314.732,41) rivolta nei suoi confronti dall’Agenzia delle Entrate per obblighi assunti da ***** SpA (poi dichiarata fallita) e garantiti dalla detta Compagnia Assicuratrice con polizza fideiussoria D.P.R. n. 633 del 1972, ex artt. 30 e 38 bisstipulata dall’agente D.V.G. in rappresentanza della Compagnia; obblighi concernenti la restituzione, da parte della ***** SpA, dell’ottenuto rimborso anticipato dell’IVA nonchè il pagamento di eventuali crediti IVA.
A sostegno dell’opposizione dedusse la invalidità della detta polizza sia – ex art. 1387 c.c. – per difetto di procura in capo all’agente, in quanto la procura notarile conferitagli conteneva un espresso limite (Lire 500.000.000) per la conclusione di contratti nel ramo cauzioni, sia – ex art. 1439 c.c. – per dolo della contraente ***** SpA, che, all’atto della stipula, pur essendo già in liquidazione e sprovvista della contabilità IVA, non aveva rappresentato tale situazione alla Compagnia Assicuratrice.
Al giudizio parteciparono, in quanto chiamati in causa, sia D.V.G. sia il notaio rogante M.M..
Nelle more del giudizio la Vittoria provvide al pagamento, in favore dell’Agenzia, della somma di Euro 336.288,99.
Con sentenza 29-6-2010 l’adito Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sez. distaccata di Aversa, in parziale accoglimento della domanda dell’Agenzia delle Entrate, confermò l’ingiunzione per la minore somma di Euro 258.228,45 (pari a Lire 500.000.000) e respinse le domande formulate nei confronti del D.V. e del notaio M.; in particolare il Tribunale qualificò la polizza come contratto autonomo di garanzia, e ritenne che la stessa, stipulata dall’agente D.V. con procura che gli consentiva di stipulare cauzioni per importi non superiori a Lire 500.000.000, potesse validamente impegnare la Vittoria solo sino al detto importo.
Con sentenza 17/25-11-2015 la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello principale proposto dalla Vittoria, ed ha dichiarato inammissibile quello incidentale dell’Agenzia.
In particolare la Corte, per quanto ancora rileva, in primo luogo ha ribadito la natura di “contratto autonomo di garanzia” della polizza fideiussoria in questione; tanto sia in astratto, per quanto previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 sia in concreto, in quanto nella detta polizza era espressamente previsto il divieto per il “fideiussore” di sollevare eccezioni relative al rapporto fondamentale, salvo quella (exceptio doli generalis) del già avvenuto pagamento da parte dell’obbligato principale; siffatto obbligo di pagare “senza eccezione alcuna” interrompeva inequivocabilmente il nesso di accessorietà tra garanzia ed obbligazione principale, che non poteva ritenersi ricostituito dalle altre previsioni contrattuali.
La Corte, inoltre, qualificata la polizza fideiussoria “contratto atipico ma strutturalmente articolato secondo lo schema del contratto a favore di terzo”, ha ritenuto inopponibile – ex art. 1413 c.c. – all’Agenzia delle Entrate l’ipotizzata annullabilità per dolo del contratto tra ***** e Vittoria Assicurazioni; dolo, comunque, ritenuto insussistente nel caso concreto in quanto, secondo la Corte, il solo silenzio serbato dalla ***** sui bilanci societari e sulla posizione fiscale (con particolare riferimento alla totale mancanza di libri IVA) non poteva costituire dolo idoneo ad annullare la polizza; l’affidamento, invero, non poteva trovare tutela giuridica se fondato sulla negligenza, e la Vittoria (società operante proprio nel settore delle polizze fideiussorie per i rimborsi IVA), prima di garantire l’eventuale restituzione delle somme incassate dalla ***** a titolo di rimborso immediato dell’IVA, avrebbe dovuto diligentemente effettuare controlli e verifiche che avrebbero agevolmente fatto emergere la totale mancanza dei libri IVA.
La Corte, infine, ha sostenuto che l’agente D.V. aveva stipulato la polizza nell’ambito delle facoltà attribuitegli dalla Vittoria, e cioè per un importo non superiore a Lire 500.000.000; la polizza in oggetto recava, infatti, in grassetto, l’indicazione di un rimborso annuale non superiore a Lire 500.000.000, mentre il maggior importo in concreto escusso derivava solo dall’applicazione degli interessi (al tasso del 5%) per il periodo intercorrente tra la data di erogazione del rimborso ed il termine di decadenza dell’accertamento; interessi irrilevanti per la determinazione della somma massima garantita ai fini della verifica del rispetto del limite dei poteri conferiti all’agente.
Avverso detta sentenza la Vittoria Assicurazioni propone ricorso, affidato a cinque motivi ed illustrato anche da successiva memoria. L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente, denunciando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., lamenta che la Corte abbia ritenuto che la polizza fosse stata stipulata dall’agente nel limite del potere conferitogli dalla procura, senza considerare il senso letterale sia della polizza sia della procura rilasciata dalla Vittoria; ed invero, in base alla procura, era stato conferito all’agente il potere di stipula di “cauzione a garanzia del rimborso IVA con il limite di somma massima assicurata di Lire 500.000.000", con espressa esclusione di qualsivoglia potere di sottoscrivere polizze la cui somma garantita eccedesse i limiti sopra indicati”; la stipulata polizza prevedeva, invece, come importo massimo garantito quello di Lire 609.406.924, risultante dalla somma dell’importo del rimborso IVA (Lire 500.000.000 meno franchigia, pari a Lire 10.978.000, Lire 489.022.000) e degli interessi per il periodo intercorrente dalla data di erogazione del rimborso fino al termine di decadenza dall’accertamento (Lire 120.384.924); siffatta interpretazione letterale era, peraltro, suffragata dal tenore del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis (ai sensi del quale la polizza era stata emessa), secondo cui la cauzione doveva avere ad oggetto l’integrale restituzione non solo della somma rimborsata dall’Amministrazione ma anche dell’importo pari agli interessi sulla stessa maturati dal momento dell’erogazione alla data di escussione della polizza (escussione da effettuarsi entro il termine di decadenza dall’accertamento); tanto avrebbe dovuto comportare la nullità integrale della polizza (per insussistenza nell’agente di qualsiasi potere negoziale in relazione al negozio stipulato oltre i limiti quantitativi), e non la validità dell’atto entro i limiti espressi in procura.
Il motivo è inammissibile.
La censura, invero, non essendo stata specificamente denunziata la violazione di specifiche regole ermeneutiche, si risolve, sub specie di violazione di legge, in una inammissibile critica alle valutazioni espresse dalla Corte territoriale.
Come infatti ripetutamente affermato da questa S.C., “l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali” (Cass. 27136/2017; conf. Cass. 2465/2015, Cass. 14355/2016).
La censura, come formulata, si incentra solo sulla omessa valutazione, da parte della Corte territoriale, del tenore letterale della procura e della polizza (peraltro riportate in ricorso in modo frammentario), senza alcuna indicazione degli altri criteri ermeneutici non presi in considerazione dalla Corte; quest’ultima, peraltro, facendo leva proprio sul tenore letterale della polizza nella sua interezza, ha evidenziato che l’oggetto della stessa era stato chiaramente specificato (anche in grassetto) in un rimborso annuale non superiore a Lire 500.000.000, traendo da ciò la conseguenza, nell’esercizio del suo potere di valutazione del contenuto dell’atto, che la somma maggiore escussa in concreto era determinata dall’applicazione degli interessi e che siffatti interessi erano irrilevanti in ordine ai limiti del potere conferito all’agente Con il secondo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367 e 1369 c.c., lamenta che la Corte, senza valutare alcuni specifici elementi testuali (frontespizio di polizza, artt. 2, 5 e 8 condizioni di polizza), e quindi violando anche in tal caso le regole di interpretazione del contratto, abbia qualificato la polizza come fideiussoria.
Il motivo è infondato.
La Corte, applicando correttamente i criteri ermeneutici di interpretazione del contratto, ha ritenuto che, sia in astratto sia in concreto, la polizza in questione avesse natura di contratto autonomo di garanzia.
Al riguardo va, invero, ribadito, in astratto, che “la polizza fideiussoria prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis al fine di consentire al contribuente il rimborso delle eccedenze IVA risultanti dalla dichiarazione annuale in forma accelerata (ossia senza preventivo riscontro della spettanza) e consistente nell’obbligo per la società di assicurazione di versare le somme richieste dall’ufficio IVA, a meno che non vi abbia già provveduto il contribuente, configura un contratto autonomo di garanzia che, diversamente dal modello tipico della fideiussione, è connotato dalla non accessorietà dell’obbligazione di garanzia rispetto all’obbligazione garantita” (Cass. sez. unite 10188/1998; conf. 5239/2004; 65/2012; 26965/2014; 19609/2015; 7884/2017).
Esattamente, poi, la Corte, esaminando in concreto la polizza in questione, ha evidenziato che la stessa prevedeva il divieto per il “fideiussore” di sollevare eccezioni relative al rapporto fondamentale e l’obbligo per lo stesso di pagare, sicchè ha correttamente concluso per la sua natura di contratto autonomo di garanzia; tanto in conformità al principio ripetutamente affermato da questa S.C. secondo cui “l’inserimento in un contratto di fideiussione di una clausola di pagamento “a prima richiesta e senza eccezioni” vale di per sè a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia (cd. Garantievertrag), in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione, salvo quando vi sia un’evidente discrasia rispetto all’intero contenuto della convenzione negoziale”. (Cass. sez. unite 3947/2010; conf. Cass. 15152/2016); discrasia non sussistente nel caso in questione.
Con il terzo motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1413 cc, lamenta che la Corte abbia ritenuto inopponibile all’Agenzia, da parte del garante, l’eccezione di annullamento della polizza per dolo della contraente *****.
Con il quarto motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 1439 c.c., lamenta che la Corte, sostenendo che l’affidamento non poteva trovare tutela giuridica se fondato sulla negligenza, abbia ritenuto non sussistenti nella specie gli elementi costitutivi dell’annullamento della polizza per dolo contrattuale della *****.; in particolare la Corte non avrebbe considerato che l’esistenza della documentazione fiscale di riferimento doveva ritenersi circostanza già acquisita “alla luce della disciplina applicabile, del tipo di affare cauzionato e delle dichiarazioni rese dalla contraente nelle premesse della polizza”.
Con il quinto motivo la ricorrente, denunziando – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta che la Corte, nell’escludere la sussistenza del dolo, abbia omesso di considerare ulteriori gravi elementi a carico della *****.
Il quarto ed il quinto motivo sono inammissibili, con conseguente assorbimento del terzo (concernente l’inopponibilità del dolo all’Agenzia), atteso che gli stessi si risolvono in una critica (non consentita in sede di legittimità, se non nei ristretti limiti dell’art. 360, n. 5 ratione temporis vigente) all’accertamento compiuto dalla Corte sulla mancanza di diligenza della Vittoria e quindi sulla insussistenza del dolo; accertamento, peraltro, esattamente compiuto “in relazione alle particolari circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni soggettive dell’altra parte…” (Cass. 1585/2017; conf. 20792/2004).
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 10.200,00, oltre spese prenotate a debito; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018
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