Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.25388 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 288-2017 proposto da:

M.S., domiciliata ex lege in ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO CARBONI giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA LAORE *****, in persona del legale rappresentante Dott.ssa I.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 30, presso lo studio dell’avvocato ALFREDO BIAGINI, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA SANTORU, MARIA ELISABETTA CORONA giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 644/2015 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata il 24/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione in data 11/7/2013, M.S. conveniva innanzi al Tribunale di Sassari l’Agenzia LAORE per opporsi all’ingiunzione di rilascio e richiesta di pagamento di canoni inerente alla concessione “Servizio Infrastrutture e Patrimonio n. *****”, avente ad oggetto la revoca della concessione e ripresa in possesso in via di autotutela, nei confronti di M.S., di due immobili adibiti ad uso di abitazione e ad uso commerciale (bar pizzeria), ritenendo che fosse creditrice di una maggior credito per opere di miglioramento apportate al bene concesso per uso commerciale. L’Agenzia si costituiva in giudizio e proponeva domanda riconvenzionale volta far dichiarare la risoluzione dei due contratti per grave inadempimento della controparte, con condanna al pagamento dei canoni di concessione scaduti, per non aver l’attrice mai corrisposto dalla stipula, avvenuta nell’anno 2006, i canoni mensili dovuti. Il Tribunale di Sassari, con sentenza n. 644/2015, depositata in data 24/4/2015, dichiarava che il contratto intervenuto tra Ersat (ente cui l’Agenzia Laore era succeduta) e M.S. aveva natura di locazione, rigettava le domande dell’attrice ed accoglieva la domanda riconvenzionale della convenuta, pronunziando la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice, sia con riguardo all’immobile ad uso commerciale, sia con riguardo a quello ad uso abitazione, che al terreno di pertinenza, condannandola al pagamento dei canoni scaduti e alle spese di giudizio.

2. Con atto di appello notificato in data 23/11/2015, M.S. conveniva in giudizio l’Agenzia Laore ***** davanti alla Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari, per la riforma parziale della sentenza di primo grado, deducendo la violazione e/o erronea applicazione degli artt. 1553 e 1455 c.c., l’erronea interpretazione degli artt. 5 e 6 del contratto di locazione, l’erronea valutazione delle prove offerte da parte attrice, nonchè reiterava la richiesta di ammissione delle prove non ammesse in primo grado. L’Agenzia si costituiva e la Corte d’Appello, con ordinanza depositata in data 17/5/2016, dichiarava l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., in quanto carente di ragionevole probabilità di essere accolto.

3. Con atto notificato il 14/12/2016, M.S. proponeva ricorso per cassazione della sentenza di primo grado n. 644/2014 e per la revoca dell’ordinanza della Corte d’Appello. Con controricorso notificato in data 20/1/2017, la intimata resisteva al ricorso, deducendone l’inammissibilità e, comunque, l’infondatezza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., dell’art. 5accordo Serpi -Ersat, dell’art. 6 contratto M. – Ersat, nonchè l’erroneità, la contraddittorietà e la carenza di motivazione, per erronea interpretazione del “compendio documentale” relativo all’asserito grave inadempimento a lei imputato e alla rilevata infondatezza della eccezione di compensazione del credito dalla stessa vantato nei confronti dell’ente locatore, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e n. 5. La ricorrente deduce che il Tribunale ha erroneamente affermato la sussistenza di un grave inadempimento della conduttrice tale da giustificare la risoluzione del contratto di locazione, escludendo invece la compensabilità dei canoni non versati con il credito della conduttrice corrispondente ai miglioramenti e alle addizioni apportati all’immobile nel corso del rapporto.

1.1. Il motivo è inammissibile. La censura non è attinente a violazioni di norme, bensì a valutazioni in fatto sulla gravità dell’inadempimento dedotto in ordine al mancato pagamento dei canoni, non censurabili in questa sede. La medesima censura era stata, peraltro, dedotta in grado d’appello, con argomenti ritenuti dalla Corte non idonei a modificare l’esito dell’accertamento già svolto in primo grado. La giurisprudenza costante di questa Corte, infatti, afferma che “è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (ex multis, (Cass. sez. 6-3 n. 8758/2017).

1.2. I fatti denunciati come omessi, per giunta, sono stati valutati dai Giudici di merito per il valore probatorio che essi hanno e il motivo di omessa valutazione non si conforma al novellato combinato disposto tra l’art. 360 c.p.c., n. 5 e l’art. 348ter c.p.c., che non ammette più tale valutazione in caso di pronuncia di inammissibilità dell’appello per motivi di probabile infondatezza, per i giudizi d’appello instaurati dopo la novella del 2012. Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse. (v. Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 26774 del 22/12/2016).

2. Con il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., dell’art. 5 accordo Serpi – Ersat, dell’art. 6 contratto M. – Ersat, degli artt. 1592 e 1593 c.c., nonchè l’erroneità, contraddittorietà e carenza di motivazione per erronea interpretazione della normativa e della giurisprudenza e del ” compendio documentale ” relativo all’asserito grave inadempimento dell’appellante e alla conseguente impossibilità di compensazione del credito dalla stessa vantato poichè carente di consenso dell’Ersat. In particolare, la ricorrente contesta la ricostruzione del Tribunale che ha ritenuto insussistente la prestazione del consenso alle opere di miglioramento da parte dell’Ersat, definendo il documento in questione “verbale di consistenza” e non “verbale di verifica”.

2.1. Il motivo è inammissibile. Il Tribunale, nel definire il verbale di riconsegna come “di consistenza” anzichè “di verifica”, non ha modificato quello che sarebbe stato l’esito della valutazione in quanto il consenso prestato da una Pubblica Amministrazione (qui l’Estat) deve pervenire in maniera esplicita e per iscritto (Cass. Sez. 3, n. 2494/2009; Cass. Sez. 3, n. 1032/2013). Mancando un documento che esprima tale consenso in maniera esplicita, dovendo peraltro pervenire preventivamente all’esecuzione dei lavori (Sez. 3, Sentenza n. 19162 del 29/09/2005), il Tribunale ha correttamente applicato le norme alla fattispecie concreta. Il motivo pertanto non tiene conto dell’essenza della ratio decidendi ex art. 366 c.p.c., n. 4, e risulta anche carente del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6, non essendo stato il contenuto del documento riportato in atti.

2.2. Sotto il profilo di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si veda quanto sopra detto al punto 1.2..

3. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1455 e 1456 c.c., nonchè l’erronea valutazione dell’inadempimento, laddove non è stata effettuata dai giudici di merito alcuna valutazione comparativa della funzione economica e sociale del contratto di locazione e della sua incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse.

3.1. Il motivo è inammissibile. La censura tende ad intaccare valutazioni di merito già espletate con equilibrio dai Giudici di merito, e nel rispetto delle pattuizioni contrattuali, sulla gravità dell’inadempimento a fronte dell’infondatezza dell’eccezione d’inadempimento e di compensazione opposta dalla ricorrente, priva di una causa concreta, in quanto la ricorrente, nell’eseguire le opere de quibus, ben conosceva le condizioni di contratto dalla stessa sottoscritto, consistenti nell’assenza di diritto al rimborso delle spese per adeguamento dei locali adibiti ad uso di bar – pizzeria, nonchè della necessità di una preventiva espressa autorizzazione da parte dell’Ente pubblico per effettuare le migliorie apportate all’immobile. Pertanto, non si desume alcun elemento di irragionevolezza e di mancato rispetto degli equilibri contrattuali nella decisione assunta dal Giudice del merito, nè si riscontra che i suddetti elementi non siano stati adeguatamente e pienamente valutati.

3.2. Sotto il profilo di violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 si veda quanto sopra detto al punto 1.2..

4. Conclusivamente, la Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente alle spese, liquidate come di seguito.

PQM

1. Dichiara inammissibile il ricorso;

2. Condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 2300,00, oltre e 200,00 per spese, spese forfetarie e oneri di legge.

3. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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