LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11801-2017 proposto da:
P.F., EFFEPI DI P.F. & C. SNC, in persona del suo legale rappresentante P.A., P.W. in proprio, considerati domiciliati ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato DONATO AGRESTA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
AGRECO DI F.L. & C SAS, in persona del legale rappresentante L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, V. PORTA PINCIANA 6, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO COLLEVECCHIO, rappresentata e difesa dall’avvocato PATRIZIO CIPRIANI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1125/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/07/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
Agreco s.a.s. di F.L. & C. propose intimazione di sfratto per morosità in relazione a locazione ad uso commerciale di data ***** nei confronti di Effepi s.n.c. di P.F. & C., nonchè dei soci illimitatamente responsabili P.W. e P.F., innanzi al Tribunale di Pescara per canoni ed oneri condominiali non pagati, nonchè per i corrispettivi per il consumo d’acqua. La società intimata propose domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per inidoneità della cosa locata e di risarcimento del danno nella misura di Euro 480.000,00. Il Tribunale dichiarò la risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice, condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 47.324,14 oltre interessi, e rigettò la domanda riconvenzionale. Avverso detta sentenza proposero appello Effepi s.n.c. di P.F. & C., P.W. e P.F.. Con sentenza di data 23 febbraio 2017 la Corte d’appello dell’Aquila, dichiarata la nullità della sentenza di primo grado per omessa lettura del dispositivo in udienza, condannò gli appellanti al pagamento della somma di Euro 43.400,00 oltre interessi e rigettò la domanda riconvenzionale.
Osservò la corte territoriale che, in base alla dichiarazione della conduttrice, al momento della registrazione del contratto di locazione, di fabbricato strumentale all’esercizio d’impresa, il contratto era soggetto ad IVA, sicchè la locatrice era tenuta al pagamento dell’imposta e aveva il diritto di rivalsa nei confronti della conduttrice. Aggiunse, premesso che in base all’art. 7 del contratto erano a carico del conduttore le spese relative alle utenze ed ai servizi condominiali con il diritto del locatore di sostituirsi al conduttore in caso di inadempimento e di integrale rimborso entro venti giorni dalla richiesta, che, non controverso il mancato pagamento dell’acqua consumata e degli oneri condominiali ed il pagamento degli stessi da parte della locatrice, la richiesta era contenuta nella stessa intimazione di sfratto. Osservò inoltre che fra le attrezzature di cui all’atto di data 8 ottobre 2008 con cui Effepi aveva acquistato da M.P. l’azienda esercente l’attività di bar-caffè vi era anche l’impianto idraulico che la società appellante pertanto già conosceva ed utilizzava prima della stipulazione della locazione e che, mentre quanto agli allagamenti verificatisi nel 2008 non era stata data prova specifica, indicando i giorni in cui si sarebbero verificati e le parti del locale interessate, quanto al rigurgito di liquami di fogna avvenuto fra il 22 ed il 23 agosto 2009, secondo gli appellanti dovuto ad un pozzetto posto sotto la pedana del bar, esso non aveva costituito un rigurgito di liquami di fogna, ma di acque bianche, dovuto, secondo la testimonianza di D.Z., non alla presenza e struttura del pozzetto, ma al mancato azionamento di una pompa aspirante, fatto imputabile alla conduttrice, come imputabile alla conduttrice era anche la presenza di macchie di umidità e di scrostamento dell’intonaco, non presenti nel 2008 ma riscontrate dalla USL nell’aprile 2010. Aggiunse che l’allagamento del 2009 non aveva impedito alla conduttrice l’esercizio dell’impresa, come si desumeva dagli scontrini prodotti dall’appellata, e che era pacifico il mancato pagamento sia dei canoni richiesti con l’intimazione che di quelli successivi, da cui la risoluzione del contratto per morosità della conduttrice e la condanna al pagamento della somma corrispondente al credito indicato a pag. 25 della comparsa di risposta in appello.
Hanno proposto ricorso per cassazione Effepi s.n.c. di P.F. & C., P.W. e P.F. sulla base di tre motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 segg. c.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, in linea con le intese intercorse al momento della stipulazione della locazione, il canone doveva rimanere inalterato rispetto a quello corrisposto da M.P., nel cui contratto non si faceva riferimento all’IVA, e che in base al senso letterale delle parole (“canone annuo di Euro 16.800, da pagarsi in rate anticipate di Euro 1.400,00”) la volontà delle parti era nel senso di ricomprendere l’IVA nel canone pattuito. Aggiunge che la registrazione del contratto è stata effettuata non dalla conduttrice, ma dalla locatrice e che la motivazione sul punto è apparente non risultando indicata la fonte di prova secondo cui sarebbe stata la conduttrice a provvedere alla registrazione.
Il motivo è inammissibile. La censura si articola in tre passaggi. Secondo il primo passaggio in base all’accordo raggiunto al momento della conclusione del contratto il canone doveva restare immutato rispetto a quello convenuto nella locazione stipulata con il cedente l’azienda. Trattasi di circostanza fattuale non accertata dal giudice di merito e nella presente sede di legittimità scrutinabile solo nei limiti del vizio motivazionale, non specificatamente proposto. Il secondo passaggio è rappresentato dal riferimento alla clausola di determinazione del canone. La censura attiene non alla violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale (la ricorrente non indica in modo specifico in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sarebbe discostato – cfr. fra le tante Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536), ma direttamente al risultato interpretativo in sè, che costituisce ambito riservato all’apprezzamento del giudice di merito (Cass. 10 febbraio 2015, n. 2645). Infine la ricorrente afferma che priva di indicazione probatoria, e pertanto apparente, è la motivazione secondo cui la registrazione sarebbe stata effettuata dalla conduttrice. Il rilievo non coglie la ratio decidendi, la quale non attiene al soggetto che avrebbe (incidentalmente) eseguito la registrazione, ma al fatto che la locazione era soggetta ad IVA e comunque la motivazione non risulta apparente avendo il giudice di merito valutato la circostanza della registrazione del contratto.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 segg. c.c., nonchè dell’art. 2697 c.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che l’affermazione secondo cui non era controverso che la locatrice avesse pagato l’acqua e gli oneri condominiali era apodittica non essendo stata fornita la fonte di prova nè spiegato in base a quali ragioni si ritenesse incontestato il pagamento da parte della locatrice e che in base al senso letterale della clausola l’obbligo del conduttore presupponeva sia l’avvenuto pagamento che la richiesta di rimborso. Il motivo è infondato. Il giudice di appello ha affermato che la circostanza del pagamento di utenza relativa all’acqua e oneri condominiali da parte della locatrice non era stata contestata dalla controparte. E’ dunque chiara la ratio decidendi della statuizione, basata sul principio di non contestazione, e la presenza così del requisito legale della motivazione. Laddove poi la ricorrente denuncia l’indicazione della mancata indicazione delle fonti di prova la censura è estranea alla ratio decidendi, la quale, come si è appena visto, coincide non con la valutazione di risultanze probatorie, ma con la sottrazione della circostanza al thema probandum per essere circostanza non controversa.
Con il terzo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione degli artt. 1460,1578 e 1578 c.c., nonchè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 att. c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la corte territoriale ha omesso di esaminare sia la circostanza della presenza nel locale oggetto di locazione di un pozzetto di fogna a cielo aperto in violazione del regolamento comunale di igiene e sanità pubblica, come emerso sulla base delle testimonianze e della CTU svolta in primo grado (oltre che sulla base dei rilievi ispettivi della USL e dell’ordinanza sindacale di sospensione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande), tale da rendere inidoneo l’immobile all’uso per il quale era stato concesso in locazione ai sensi dell’art. 1578, che la circostanza della riconducibilità della fuoriuscita di liquami dai water del locale al collegamento della rete fognaria dell’immobile a quella condominiale (e all’inesistenza di una linea fognaria autonoma del locale) nonchè all’inesistenza di un sistema antireflusso. Aggiunge che costituiscono affermazioni apodittiche, tali da integrare motivazione apparente, la ricomprensione nella cessione di azienda dell’impianto idraulico che il rigurgito di acque bianche derivante dal mancato azionamento della pompa aspirante.
Il motivo è inammissibile. Va premesso che, contrariamente a quanto dedotto nel controricorso, non può trovare applicazione l’art. 348 ter c.p.c., u.c., in materia di “doppia conforme” essendo stata dichiarata la nullità della sentenza di primo grado.
L’inammissibilità del motivo deriva in primo luogo dalla sua natura promiscua in quanto vengono sovrapposte, senza poter essere agevolmente separate se non con un intervento ortopedico del giudice di legittimità che dia forma e contenuto giuridici alle doglianze, censure per violazione di legge (art. 1578), per vizio motivazionale e per motivazione apparente in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; anche 20 settembre 2013, n. 21611; 6 maggio 2015, n. 9100). In secondo luogo, quanto alla denuncia di vizio motivazionale, non si denuncia l’omesso esame di fatto storico, avendo le circostanze richiamate costituito oggetto di valutazione da parte del giudice di merito, ma l’errato apprezzamento delle risultanze istruttorie, che resta di competenza del giudice di merito (fra le tante Cass. 26 gennaio 2015, n. 1414; 10 giugno 2016, n. 11892). In terzo luogo, quanto alla denuncia di motivazione apparente, la ratio decidendi (e dunque la presenza del requisito legale della motivazione) si coglie nel rilievo del difetto di allegazioni specifiche in ordine agli allagamenti che si sarebbero verificati nel 2008, alla valorizzazione della testimonianza di D.Z. quanto al rigurgito di acque bianche fra il 22 ed il 23 agosto 2009 ed alla riconduzione causale del fenomeno al mancato azionamento di una pompa aspirante. In quarto luogo le diverse censure relative alle conseguenze che sarebbero derivate dall’allagamento del 2009, nonchè alla circostanza dell’allagamento medesimo, sono prive di decisività non risultando impugnata la ratio decidendi secondo cui il detto allagamento non aveva impedito alla conduttrice l’esercizio dell’impresa.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018
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