LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5714-2017 proposto da:
LOGISTICA AMBIENTALE SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, sig. P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ILDEBRANDO GOIRAN 23, presso lo studio dell’avvocato ADRIANA ROMOLI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
SERVIZI AMBIENTALI GRUPPO AMA SERVIZI SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore, Dott. C.G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, P. LE DELLE BELLE ARTI, 6, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CALAMONERI, che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7224/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 25/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/07/2018 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.
RILEVATO
Che:
1. La Corte d’Appello di Roma con sentenza n. 7224/2016 – nel rigettare l’appello proposto da Logistica Ambientale srl nei confronti di Servizi Ambientali Gruppo Ama srl in liquidazione – ha confermato la sentenza 22007/2015 con la quale il Tribunale di Roma – in accoglimento dell’opposizione proposta da Servizi Ambientali – aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso su istanza di Logistica Ambientale.
2. Era accaduto che Logistica Ambientale s.r.l. aveva ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti della società Servizi Ambientali per il pagamento della somma di Euro 259.3541,69, quale corrispettivo della prestazione di servizi di trasporto per l’emergenza Campania. La società Servizi Ambientali, pur dichiarandosi disponibile a pagare alla controparte le prestazioni effettivamente eseguite, aveva proposto opposizione, deducendo che nel ricorso monitorio era mancata l’indicazione delle fatture e dei titoli in forza dei quali era poi stato emesso il decreto, con conseguente impossibilità di verificare l’esistenza del credito.
Il Tribunale aveva dato atto della non controversa esistenza di un rapporto tra le parti, ma aveva ritenuto che non era stato provato nè l’effettiva prestazione del servizio nei casi contestati e neppure gli accordi sul prezzo convenuto (ritenendo non concludenti le dichiarazioni testimoniali assunte) e, pertanto, aveva accolto l’opposizione.
La sentenza del giudice di primo grado era stata appellata dalla società Logistica Ambientale, che aveva lamentato l’erroneità della sentenza impugnata sotto molteplici profili.
La Corte di appello aveva dato atto di alcune inesattezze contenute nella sentenza di primo grado, ma l’aveva confermata, rilevando che era “estremamente chiara nel suo percorso logico giuridico”, che si snodava nei seguenti tre passaggi: irrilevanza degli eventi relativi alla capacità delle parti ogni qual volta detti eventi si verifichino dopo che la causa è stata trattenuta in decisione e dopo la scadenza dei termini per il deposito degli scritti conclusionali; carenza di documentazione in ordine alla effettiva prestazione del servizio e al prezzo concordato; valutazione delle prove testimoniali come non concludenti, in quanto aventi ad oggetto circostanze generiche.
3. Avverso la sentenza della Corte territoriale propone ricorso la Logistica Ambientale S.r.l. con due motivi.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 2 e art. 167 c.p.c., commi 1 e 2, nonchè degli artt. 2697,2710 e 2712 c.c..
La società ricorrente lamenta che la Corte territoriale, procedendo ad un esame sommario degli atti e documenti di causa, abbia ritenuto contestato il credito ingiunto e non assolto l’onere (che su di essa gravava) di provarne l’esistenza, con conseguente declaratoria di rigetto dell’appello. Sostiene che la Corte – se avesse approfondito l’esame della documentazione allegata al ricorso monitorio (contratto di trasporto *****, fatture emesse, scritture contabili contenenti la specifica registrazione delle fatture azionate, diffida ad adempiere), della documentazione allegata alla memoria istruttoria (in particolare, i report settimanali inviati con allegati documenti di trasporto) e della documentazione formata successivamente alla remissione della causa in decisione – avrebbe potuto verificare, da un lato, l’infondatezza e l’inveridicità delle asserzioni dell’opponente circa la mancata indicazione nel ricorso delle fatture e dei titoli per i quali era stato richiesto il decreto ingiuntivo (perchè diversamente indicati e documentati); dall’altro, avrebbe dovuto ritenere non contestati detti fatti, perchè la documentazione offerta consentiva in realtà all’opponente di conoscere ogni elemento del credito azionato e, quindi, assolto l’onere probatorio di provare la sussistenza del credito azionato. La Corte d’appello, se avesse fatto corretta applicazione del principio di non contestazione, avrebbe dovuto valutare, preliminarmente, se la ritenuta mancata indicazione nel ricorso monitorio “delle fatture” e dei “titoli per i quali è richiesto il decreto ingiuntivo” fosse veritiera e incolpevole, nonchè se le ulteriori asserzioni difensive contenute nel medesimo atto introduttivo fossero compatibili o meno con la ritenuta “chiara presa di posizione” da parte dell’opponente. La Corte di appello avrebbe dovuto poi dichiarare inammissibile e tardiva l’eccezione (sollevata per la prima volta con la memoria ex art. 183 c.p.c.) di invalidità per difetto di forma dei singoli ordini di servizio conseguenti al rapporto contrattuale del *****.
In definitiva, secondo la ricorrente, sarebbe stato violato il principio di non contestazione, i criteri di riparto dell’onere della prova e la corretta valutazione delle prove fornite.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, la società ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la nullità della sentenza o del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 1988 e 2697 c.c., nonchè dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., commi 1 e 2, in relazione alla determinazione del danno non patrimoniale e patrimoniale.
La società ricorrente lamenta che la Corte di Appello sembra non aver esaminato la documentazione prodotta a riprova del riconoscimento del debito da parte della società Servizi Ambientali.
In sintesi, secondo la ricorrente, la Corte, se avesse correttamente valutato le acquisite prove, documentali e testimoniali, e se avesse correttamente valutato il comportamento processuale della società opponente (del tutto incompatibile con la negazione del credito), all’esito della preventiva valutazione dei fatti non contestati, avrebbe dovuto ritenere fondato il diritto di credito azionato in via ingiuntiva.
4. Resiste con controricorso la Servizi Ambientali Gruppo AMA s.r.l. in liquidazione.
5. In vista dell’odierna adunanza entrambe le parti depositano memoria a sostegno delle rispettive ragioni.
RITENUTO
che:
Il ricorso è improcedibile.
Come è noto, gli atti introduttivi di un qualsiasi giudizio impugnatorio sono diretti non soltanto ad instaurare il contraddittorio, ma anche per l’appunto ad introdurre un nuovo giudizio su una decisione giurisdizionale che – per esigenze di certezza del diritto – può essere sottoposta al vaglio del giudice, funzionalmente superiore, solo entro termini perentori prestabiliti dal legislatore, sottratti alla disponibilità delle parti e soggetti a verifica ex officio da parte del giudice dell’impugnazione.
E’ parimenti noto che le disposizioni sul deposito telematico degli atti processuali di cui al D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-bis commi 1-4, conv. con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221 e succ. mod., non si applicano al giudizio di legittimità; ma a detto giudizio si applicano le norme processuali, che prevedono la notifica ed il deposito in Cancelleria di atti e documenti in forma analogica (i quali, ove richiesto, devono essere sottoscritti con firma autografa).
Orbene, a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, il ricorrente, ai fini della procedibilità del ricorso, depositare “copia autentica” della sentenza impugnata corredata di relata di notificazione.
E la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo più volte di precisare che, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche – come per l’appunto si verifica nella specie – per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico (Sez. 6, Ordinanza n. 30765 del 22/12/2017, Rv. 647029 – 01).
Nel caso di specie, risultando notificata a mezzo posta certificata la sentenza impugnata, è agli atti l’attestazione di conformità della sentenza impugnata, ma non è agli atti, come direttamente rilevato dal Collegio, l’attestazione di conformità della documentazione relativa alla notifica via PEC della stessa.
Occorre ribadire che, come per l’appunto precisato dalla Sez. 6 (nella composizione di cui al paragrafo 41.2. delle tabelle di questa Corte) nella sopra richiamata ordinanza, è necessaria l’autenticazione del messaggio p.e.c., perchè solo da detto messaggio si evince giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario; ed è altresì necessaria l’autenticazione dei suoi due allegati (sentenza impugnata autenticata dall’avvocato che ha provveduto alla notifica e relazione della notificazione a mezzo PEC), in quanto soltanto così si adempie a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., laddove richiede, a pena d’improcedibilità, il deposito di “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta”.
D’altronde, il ricorso per cassazione risulta essere stato notificato (il 20 febbraio 2017) oltre il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della sentenza (25 novembre 2016). Quindi era necessario dimostrare che la notifica del ricorso fosse avvenuta entro i 60 giorni dalla notifica del provvedimento impugnato.
Donde la improcedibilità del ricorso e la condanna della società ricorrente alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla controparte.
Sussistono infine i presupposti di legge per il pagamento a carico di parte ricorrente dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.
PQM
La Corte:
– dichiara improcedibile il ricorso;
– condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, spese che liquida in Euro 7200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018
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