Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25409 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28349-2017 proposto da:

K.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO ROMAGNOLI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 853/2017 della CORTE di ANCONA, emessa il 4/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 30 maggio 2017, ha rigettato il gravame di K.F., cittadino del *****, avverso l’impugnata ordinanza che aveva rigettato la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

Egli aveva riferito di essere nato in *****, di essere di etnia bambara e musulmana, di essere rimasto vittima nel ***** di un agguato su un autobus da parte di un gruppo di ribelli armati MNLA che lo avevano picchiato, sequestrato e minacciato di morte se non avesse lasciato il *****; di essere quindi fuggito per l’Italia.

Ad avviso della Corte., essendo la narrazione generica, incongruente e non verosimile, la domanda di protezione non poteva essere valutata positivamente, essendo insufficiente il mero riferimento alla situazione socio-politica del paese di provenienza, senza riscontri idonei a consentire un ragionevole collegamento delle vicende generali del paese d’origine a quelle personali del richiedente la protezione; e comunque, non risultavano rischi in caso di rimpatrio, anche perchè la zona di provenienza (nel sud del *****) non era caratterizzata da violenza generalizzata, nè ricorrevano le condizioni per riconoscere la protezione umanitaria, non avendo l’interessato dimostrato di appartenere ad alcuna categoria di soggetti vulnerabili.

Avverso questa sentenza l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, illustrato da memoria; il Ministero dell’interno non ha presentato controdeduzioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con unico motivo il ricorrente ha denunciato omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della sentenza, per non essere stato informato che sarebbe stato ascoltato da un solo componente della Commissione territoriale competente, mentre avrebbe potuto chiedere di essere ascoltato dall’intera Commissione o dal suo presidente; inoltre, la Corte di merito non aveva valutato adeguatamente la situazione socio-politica del *****, paese caratterizzato da un quadro complessivo di insicurezza, che giustificava il riconoscimento quantomeno del permesso per ragioni umanitarie.

Il motivo è inammissibile in entrambi i profili in cui è articolato.

Il profilo concernente la mancata audizione da parte del presidente o dall’intera Commissione è privo di rilevanza e comunque di decisività, essendo il ricorrente stato ascoltato con modalità consentite dalla legge e il suo caso è stato esaminato dall’intera commissione, come per legge.

L’altro profilo, riguardante i presupposti dell’invocata protezione umanitaria, oltre ad involgere un incensurabile apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non scalfisce l’autonoma e autosufficiente ratio decidendi, costituita dalla valutazione di non credibilità delle dichiarazioni del richiedente la protezione (Cass. n. 21668/2015).

Il motivo involge, inoltre, incensurabili apprezzamenti di fatto, in ordine al fondo della domanda di protezione umanitaria, che il ricorrente impropriamente vorrebbe sovvertire con il mezzo proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, mentre l’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa, e cioè nei casi di radicale carenza di essa o nel suo estrinsecarsi in argomentazioni inidonee a rivelare la ratio decidendi (Cass., sez. un., vi. 8053/2014, n. 8054/2014), ipotesi questa insussistente nella specie.

Non si deve provvedere sulle spese, non avendo il Ministero dell’interno svolto attività difensiva.

Non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

L’istanza del ricorrente di liquidazione del compenso professionale è inammissibile, alla luce del principio secondo cui, in tema di patrocinio a spese dello Stato, secondo la disciplina di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la competenza sulla liquidazione degli onorari al difensore per il ministero prestato nel giudizio di cassazione spetta, ai sensi dell’art. 83 del suddetto decreto, come modificato dalla L. 24 febbraio 2005, n. 25, art. 3, al giudice che ha emesso la decisione impugnata con il ricorso per cassazione (Cass. n. 13806/2018, n. 23007/2010).

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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