Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.25411 del 12/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28934-2017 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINO CIAFARDINI;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO PRESSO LA COMMISSIONE TERRITORIALE DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA, PUBBLICO MINISTERO PRESSO IL TRIBUNALE DI L’AQUILA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1482/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, emessa il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/09/2018 dal Cons Relatore Dott. ANTONIO PIETRO LAMORGESE.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 4 agosto 2017, ha rigettato il gravame di B.A. avverso l’impugnata ordinanza che aveva rigettato la sua domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria e di duella per ragioni umanitarie.

Egli aveva riferito di essere nato in *****, in un villaggio vicino a *****, di essere di religione musulmana, di appartenere al gruppo etnico di minoranza ***** e di essere fuggito dal paese, temendo di subire persecuzioni e danno grave a sè e ai propri congiunti.

La Corte ha ritenuto che la narrazione fosse estremamente generica e non credibile; di conseguenza, non ha riconosciuto la protezione sia sussidiaria, poichè dalle fonti consultate risultava la positiva evoluzione della situazione socio-politica in ***** ed egli non apparteneva ad alcuna categoria sociale discriminata, sia per motivi umanitari, non ravvisandosi situazioni di vulnerabilità personale del richiedente.

Avverso questa sentenza egli ha proposto ricorso per cassazione; il Ministero dell’interno non ha presentato controdeduzioni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo morivo il ricorrente ha denunciato nullità della sentenza impugnata ex art. 134 c.p.c., n. 2, per essere la sentenza impugnata fondata su argomentazioni inadeguate e illogiche, non avendo la Corte di merito esaminato la vicenda da lui descritta, essendo egli fuggito dal suo paese a causa di una faida familiare con i fratellastri del padre che avevano tentato di ucciderlo.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6, deducendo, in sostanza, l’omesso esame di fatti decisivi e controversi, tuttavia non menzionati nella sentenza impugnata e senza precisare se e in quale atto e momento processuale siano stati fatti valere nel processo, quale sia stata eventualmente la risposta del tribunale e quale la reazione del ricorrente in sede di gravame. In tal modo questa Corte non è stata posta in condizione di valutare la rilevanza di quei fatti e la decisività del mezzo in esame.

Con il secondo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2017, artt. 3 e 5, per avere la Corte di merito trascurato il dovere di cooperazione nell’accertamento dei fatti rilevanti per il riconoscimento della protezione richiesta, senza verificare la veridicità delle ragioni personali addotte dal ricorrente.

Il motivo è inammissibile, risolvendosi in una generica censura – tra l’altro, con mezzo inadeguato ex art. 360 c.p.c., n. 3 – di apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, i quali hanno confermato la valutazione del primo giudice di estrema genericità e, quindi, di incoerenza e implausibilità delle dichiarazioni del ricorrente, già rilevata dalla Commissione territoriale. Inoltre, il dovere di cooperazione istruttoria non può spingersi sino al punto che il giudice debba sostituirsi al richiedente la protezione nell’assolvere l’onere processuale, a lui incombente, di allegazione dei fatti rilevanti a fondamento della domanda, a dimostrazione della persecuzione e del danno grave, anche quando a tale onere egli sia venuto meno, essendo stato ritenuto in generale inattendibile.

Con il terzo motivo è denunciata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere riconosciuto la sussistenza di una minaccia grave ai danni del ricorrente, alla luce della situazione del *****, paese caratterizzato da forte insicurezza e violenza generalizzata, non controllata dalle autorità locali.

Il motivo è inammissibile. Esso critica genericamente incensurabili apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito e si risolve in un’istanza di rivisitazione complessiva delle incensurabili valutazioni compiute dai giudici di merito, alle quali contrappone apoditticamente una valutazione in senso opposto, senza intaccare l’autonoma e decisiva ratio decidendi costituita dalla valutazione di incoerenza e implausibilità del racconto del richiedente la protezione.

Con il quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per non avere riconosciuto la protezione umanitaria, nonostante la situazione socio-politica del *****, dove sussisteva il rischio di compromissione dei suoi diritti fondamentali e nonostante il suo radicamento in Italia dove lavorava da tempo.

Il motivo è inammissibile, essendo diretto a censurare l’apprezzamento di fatto compiuto dalla Corte di merito che ha escluso una situazione di vulnerabilità, ai fini della richiesta protezione umanitaria. A quest’ultimo riguardo, non può farsi leva soltanto sulla situazione di integrazione del richiedente la protezione umanitaria nel paese di accoglienza, avendo questa Corte (sentenza n. 4455 del 2018) chiarito che tale situazione dev’essere pur sempre comparata a quella del paese di origine, nel senso che il rimpatrio dovrebbe determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità della persona, ciò che nella specie è stato escluso dai giudici di merito.

Non si deve provvedere sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva. Non è dovuto il raddoppio del contributo unificato, essendo il ricorrente stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 12 ottobre 2018

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